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       REPORTER - «DENTRO» LA PUGLIA

a cura di Marco Brando



Il parco archeologico di Manduria resta un tesoro negato. Dal castello di Federico II si sovrasta una città «toscana».

Il castello di Oria domina la città

   
«Ah, cerca quelli che producono pure vino? », ci dice l’addetto d’un distributore di benzina, nel centro di Manduria, sotto un sole spaccapietre. È una di quelle risposte che lascia un po’ storditi, soprattutto se un istante prima s’era chiesto: «Gentilmente, mi sa dire dov’è il Fonte pliniano?». Come chiedere, invano, aRoma dove sia la Fontana di Trevi. Per la cronaca, il Fonte pliniano è una grotta naturale, poi ampliata: scesi quaranta gradini, s’arriva in un spiazzo sotterraneo di diciotto metri di diametro e sette d’altezza; al centro sgorga acqua freschissima, con un flusso costante e ininterrotto che dura almeno da duemila anni. Da quando lo storico e naturalista romano Plinio il Vecchio (Como, 23-24 - Pompei, 79) la descrisse nella sua Naturalis Historia col nome di «lacus» (Nat. Hist. 111, 6).

Detto questo, all’inizio dell’avventura prendiamo la risposta del benzinaio come un aspetto pittoresco del nostro tour, dedicandoci poi alla ricerca della meta con l’aiuto di eventuali cartelli e lo spirito di Indiana Jones. Peccato che i cartelli siano rari; per giunta, quando s’arriva esausti davanti al parco archeologico, con Fonte annesso, si trova tutto chiuso, senza neppure un avviso che giustifichi qualcosa. «Sono parecchi mesi che è chiuso», c’informa una signora, seduta con tutta la famiglia di fronte all'uscio di casa. «Ma se vuole può scavalcare», aggiunge, impietosita dalla nostra timida ricerca di un varco. Peccato che il Fonte sia sotto terra, strachiuso. Una telefonata alla Pro Loco non aiuta: «C’è da tempo una controversia in corso tra il Comune e il gestore». Quando riaprirà? «Purtroppo non lo sappiamo». Amen. Pare siano tre anni che il gestore, un privato cittadino di Galatina, litiga col municipio. Così tutto resta serratissimo, con tanti saluti a Plinio. Roba che fa innervosire noi; figurarsi un tedesco con famiglia assetata al seguito. Insomma, un vero «requiem » per quella Puglia che vorrebbe puntare su cultura e turismo.

Il fatto è che s’arriva aManduria, provenienti da Avetrana, con le migliori intenzioni. Come se fossimo alle porte di Pompei o Siena o Venezia. Complice la guida rossa del Touring Club, che di questa antichissima città - «di nobile aspetto, su un gradino delle Murge tarantine » - racconta meraviglie. Complici pure gli enormi e prolissi cartelli posti lungo la superstrada: per avere il tempo di leggerli bene non serve andare a passo d’uomo, meglio fermarsi sul ciglio della strada: oltre al Fonte pliniano, il Palazzo Imperiali, il Ghetto degli Ebrei, il Duomo, le mura megalitiche, la necropoli e via promettendo.

Infatti Manduria ha una storia trimillenaria: nacque come insediamento di popolazioni messapiche, poi fu assediata da Archidamo di Sparta nel 338 aC, conquistata da Annibale durante la seconda guerra punica, devastata dai Romani, distrutta da Goti e Saraceni. Ora le beghe tra Comune e gestore rischiano di far rimpiangere gli antichi invasori. E pensare che lo stemma di Manduria è costituito da un mandorlo che emerge da un pozzo; ai lati dell’albero le lettere maiuscole F ed M, che sono le iniziali dei termini «Fons Mandurinum». Tanto è vero che il pozzo raffigurato nello stemma è quello che sovrasta il lucernario naturale della volta della caverna del Fonte. Per la legge del contrappasso, si propone al Comune di lasciare sullo stemma solo il mandorlo, in attesa di tempi migliori.

Fortunatamente, a Manduria c’è anche il bel Museo della Civiltà del Vino Primitivo (099/9735332), all’interno del Consorzio Produttori Vini: un vero abbecedario sulla civiltà contadina. Tra l’altro, s’apprende che il nome del Primitivo (oggi diffuso come doc a cavallo tra le province di Taranto, Brindisi, Bari e Matera e introdotto dai Fenici o dagli Illiri oltre duemila anni fa) non significa che sia un vino un po’ rustico; il nome deriva dal latino «primativus », che vuol dire maturazione precoce: i grappoli sono raccolti in genere a fine agosto. Mentre «di Manduria» nasce dal fatto che - fino a qualche decennio fa - vagoni di Primitivo prodotto nel Tarantino per raggiungere il Nord Italia («assetata» di vino da taglio) partivano dalla cittadina, l’unica servita da una stazione ferroviaria. «Giunto a destinazione - ci spiegano alle Cantine Soloperto - il vino era identificato col nome della città da cui era partito e che risultava in bell’evidenza dall’etichetta daziale. Da qui l’origine del nome».

Oria: nel centro storico gli anziani si radunano per chiacchierare tra loro

Un’altra fortuna? Il fatto che a 11 chilometri da Manduria, in provincia di Brindisi, c’è Oria, l’antica Hyria o Uria messapica. Deve la fama soprattutto al suo castello che domina dall’alto il tavoliere. Fu voluto da Federico II di Svevia, poi restaurato negli anni Trenta dal proprietario conte Giuseppe Martini Carissimo. I suoi eredi ci vivono ancora. E qui funziona tutto alla perfezione («Sarà che la gestione è privata e sa com’è...», ci dice la guida): i turisti - italiani ma incontriamo anche danesi, tedeschi, brasiliani - entrano a scaglioni, su e giù per i merli. Ma il castello non sarebbe così affascinante se non fosse incastonato in un paese che sembra trapiantato qui dalle colline toscane, tanto è pulito, piacevole e a misura d’uomo. Lo testimoniavano i signori più o meno anziani, ma tutti sorridenti, seduti in cerchio davanti al Circolo Europa, intenti a chiacchierare. Per di più, nel primo sabato d’agosto vi si svolge un corteo storico con quattrocento figuranti in costume «medievale », dedicato a Federico II. è giunto nel 2005 alla trentanovesima edizione e, sebbene abbia radici storiche non proprie solide, rende Oria ancor più gradevole.

Da Oria la strada porta a Francavilla Fontana, dove sono nati gli stilisti Emanuel Ungaro (da anni vive a Parigi ma racconta di pretendere dalla moglie Laura la tipica pasta con le polpette alla vigilia delle sfilate) e l’emergente Angelo Galasso. Poi si risale la Murgia verso Ceglie Messapica, culla dell’arte culinaria regionale (ben tre dei dodici migliori ristoranti pugliesi sono qui), ai margini della Valle d’Itria. La bella strada che conduce alla nota città barocca e roccocò di Martina Franca (dovè nata la show girl Rossella Brescia) comincia a svelare le magia dei trulli. Finché di fronte a noi spunta Cisternino: un gioiello dall’aspetto orientale, con le sue case bianche che brillano al sole.

    

    

©2006 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» del 23/7/2005.

      


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