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       REPORTER - «DENTRO» LA PUGLIA

a cura di Marco Brando


 


Il Salento del vecchio idioma fa innamorare i milanesi. Dopo l’hotel nel bosco ecco la via degli artisti e dei santi.

Il grande cartello che segna l’ingresso principale di Calimera, uno dei nove Comuni salentini in cui si parla il griko

   
«Stia tranquilla... Scherzava», abbiamo dovuto dire alla signora, barricata dietro al banco. Non c’è stato il tempo d’approdare - assetati, durante un torrido pomeriggio - in un bar di Calimera, che s’è subito dovuta mettere una pezza: all’intraprendenza milanese. Motivo? Occorre fare una premessa... Questo è uno dei nove comuni della Grecìa salentina, tra Maglie e Lecce. Vi è ancora diffuso un idioma (guai a chiamarlo dialetto) con robuste radici elleniche. Calimera, come rivela il nome («Buongiorno », nella lingua di Atene), ne è un po’ il cuore. Anche se qui di turisti se ne vedono pochi; perché, come al solito, solo rari pionieri decidono di avventurarsi all’interno, lasciando i lidi di Torre dell’Orso od Otranto.

Tra quei pochi, ecco un gruppetto di milanesi, tra cui spiccava una tipa di nome Sara, la traumatizzatrice di bariste calimeresi. Un’attenuante? È vero che nella vicina Corigliano d’Otranto, sempre in Grecìa, c’è persino una fonte d’acqua minerale che si chiama «Eureka» (cioè «ho trovato», prima persona singolare del perfetto di «heurískein»): magari può dare alla testa.

Comunque, ecco Sara vantare pubblicamente gli «antichi» studi al Liceo classico «Berchet» del capoluogo lombardo: nel tentativo di sfoggiare le memorie del suo greco scolastico e di conversare - a colpi di aoristi - con la signora in questione. Tentativo vano, almeno quanto quello in cui potrebbe cimentarsi un greco dei nostri giorni in vena di parlare latino a Roma.

Rassicurata la signora, tramortita dall’aoristo/ milanese, eccoci a vagare in questa zona del Salento. Proprio la barista, per riconoscenza, ci ha indicato in quale angolo dei giardini pubblici è «nascosta» una stele funeraria di marmo attico, risalente al IV secolo a.C. e donata nel 1960 da Atene, come simbolo dell’origine comune. Tanto è vero che sul frontone dell’edicola c’è un’iscrizione in greco, tradotta in italiano, che rassicura pure la stele: «Straniera tu non sei qui a Calimera». Un tempo si parlava greco in venticinque paesi, oggi sono nove: oltre Calimera e Corigliano, Castrignano dei Greci, Martano, Martignano, Melpignano, Soleto, Sternatia e Zollino. Nella Grecìa una parte della popolazione riesce ancora a esprimersi in griko, lingua assai simile a quella parlata oggi in Grecia e, pare, normale evoluzione di quella usata queste zone all’epoca della Magna Grecia. Poi il flusso di nuove genti greche e greco-sicule - tra il VII ed il IX secolo, a causa soprattutto delle invasioni arabe - fu favorito dall’esistenza di lingua e costumi ellenici nel Salento. Tanto che il rito religioso greco s’è mantenuto fino al XVII secolo.

Comunque non tutti i milanesi, quaggiù, vengono per traumatizzare. Ai margini della Grecìa, a Borgagne, abbiamo scoperto - oltre all’isola grecofona - anche un atollo «meneghinofono». È la masseria «Bosco di Makyva», un vero hotel di campagna più che un agriturismo. La gente del posto lo conosce come Bosco Coppola, dal nome dei vecchi proprietari. E infatti quando alla persone si chiedono informazioni dicendo «Makyva», ti guardano, anche loro, tra il perplesso e il preoccupato. Il bosco c’è davvero, un po’ surreale, tra gli ulivi. Al centro, uno strano edificio ottocentesco, una via di mezzo tra la classica masseria salentina e uno chalet tirolese (fu voluto nell’Ottocento da un Coppola, diplomatico in Germania, innamorato di una tedesca). Accanto piscina, camere e suite.

Al timone, appunto, un milanese. E che milanese: è proprio lui, Michele Girani, classe 1941, qui con la sua collaboratrice Luisa Airoldi. Un’istituzione, in senso ludico. Girani è stato un inventore-creatore di ristoranti e ritrovi alternativi nella Milano degli anni Sessanta e dopo. Partì col mitico Tencitt, primo di una serie di locali belli e informali frequentati da giovani ma anche dal fior fiore della politica e dell’intellettualità cittadina: dai Craxi ai Montale, per intenderci; per poi passare pure ai sessantottini, «molti dei quali - conferma lui - oggi ai vertici delle istituzioni e dei giornali». Anni fa, a cavallo tra anni Settanta e Ottanta, Girani capitò ad Otranto in una appartamento in affitto, accanto alla casa di Carmelo Bene: «Allora ci andavano pittori, artisti, bella gente di tutta italia. Mi piacque molto».

La stele del IV secolo a.C. donata nel 1960 da Atene al Comune di Calimera

Cosicché dopo qualche anno - facendo il pendolare con Milano - ha rimesso le radici qui, inventandosi il «Bosco di Makyva» (nome coniato da Luisa, mescolando i nomi di Michele e di sua sorella). Lui è un appassionato di golf e spera di portare quaggiù molti golfisti, oltre ai normali turisti, grazie al vicino Acaya Golf Club. E dice: «Per gli amanti del golf, è garantita l’attività tutto l’anno. Certo, siamo aperti dal 2004 e, così come stanno le cose, si lavora appena due mesi in estate. Ma se solo i voli per la Puglia fossero più economici, come quelli che portano, ad esempio, da Milano a a Sharm o in Tunisia ». «Possibile - si chiede - che non ci si dia da fare, quaggiù, per raggiungere questo obiettivo? La Puglia potrebbe diventare come la Toscana. È bellissima, sul mare e anche all’interno. Se potessi, lo direi direttamente al nuovo governatore, Vendola. Incoraggiate i voli charter dal Nord, Italia ed Europa. Non ve ne pentirete ». E accanto a lui, annuisce Franco Testa, ospite del Bosco: un altro mito milanese, padre della Magolfa sui Navigli, ospite del Bosco. Se lo dicono loro, che se ne intendono, c’è da crederci. Beh, tanti saluti e via, verso la prossima tappa: Manduria. Prima, nell’arco di pochi chilometri, ci sono il paese natale di Carmelo Bene (Campi Salentina), quello dove visse da ragazzino Domenico Modugno (San Pietro Vernotico) e quello dove è nato e regna Al Bano Carrisi (Cellino San Marco). Poi Copertino, il paese, appunto, del francescano San Giuseppe, «santo dei voli»: patrono di aviatori, viaggiatori, studenti e anche, udite udite..., di Cupertino, cittadina californiana della Sylicon Valley, sede della Apple. Fu Padre Pedro Font a dare alla baia cui guarda Cupertino il nome di Arroya St. Joseph de Copertino, perché quel giorno, 23 marzo 1776, cadeva la ricorrenza del santo. Nel 1963 il municipio della cittadina Usa scrisse al lontano fratello salentino,rivolgendo «an invitation to become a sister-city», «un invito a diventare una città gemella». Così è stato.

Un giro di boa a Leverano - il cui vino Primitivo, prodotto dalla Cantina sociale (0832/925053) nel 2002 meritò sul Corriere della Sera le lodi di Luigi Veronelli: «M’incanta. Sì, m’incanta!» - ed eccoci a Manduria, su un gradino della Murgia tarantina. Promette, in teoria, bene: tra l’altro, al Primitivo offre il proprio nome, tanto da avergli dedicato un museo.

    

    

©2005 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» del 20/7/2005.

      


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