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«Contraddire la "pugliesità" di Federico II può apparire a tanti quasi un sacrilegio. Eppure, senza voler nulla togliere all’enorme rilevanza storica del personaggio, quel sovrano guardò alla Puglia in misura non del tutto dissimile rispetto ad altre aree del suo vasto regno».

MARCO BRANDO

 

Federico II,

il padre che ci siamo scelti

 

Il medievista Raffaele Licinio «smonta» la convinzione che l’imperatore svevo avesse un vero debole per la Puglia. E spiega con la debole identità regionale la sua fortuna postuma in questa terra

 

 

Chi è Federico II di Svevia per i pugliesi? Seguendo il filo della storia ufficiale, è il prestigioso esponente del casato tedesco degli Hohenstaufen, figlio del sovrano del Sacro Romano Impero Enrico VI (a sua volta figlio di Federico Barbarossa) e di Costanza (figlia di Ruggero II d’Altavilla, re normanno di Sicilia). Fu imperatore di Germania e d’Italia, re di Sicilia. Aveva un albero genealogico germanico ma natali e traguardi italiani: nacque nel 1194 a Jesi (Ancona), morì a Castelfiorentino (Foggia) nel 1250, è sepolto nel Duomo di Palermo.

Già queste tappe della sua vita nella Penisola testimoniano che lasciò un segno notevole in tutto il Mezzogiorno, in Puglia come in Campania, in Calabria come in Sicilia e Basilicata. Eppure per i pugliesi è, oggi, quasi un patrimonio esclusivo. Il senso comune gli conferisce una presenza in Puglia così assidua e intensa da indurre a far ritenere che altrove andasse di rado o per nulla.

La promozione turistica e spesso anche istituzionale gli attribuiscono la «paternità» di castelli ovunque, anche quando la loro fondazione è antecedente al suo regno (è il caso del Castello Svevo di Bari, che in realtà fu fatto costruire da Ruggero II, primo sovrano normanno) o posteriore (è il caso del castello di Manfredonia, che invece, come testimonia il nome della città, fu fatto costruire da suo figlio Manfredi). Non solo. Il marchio federiciano non è attribuito soltanto ad itinerari culturali o per turisti, ma anche a linee aeree, vini, siti internet e prodotti di ogni genere.

Insomma, Federico II è diventato per la Puglia un marchio di denominazione d’origine controllata. Ed è per certi versi considerato, forse suo malgrado, il capostipite della «pugliesità». Per quale ragione? Ne abbiamo parlato con il professor Raffaele Licinio, ordinario di Storia medievale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bari, direttore dal novembre 2002 del Centro di Studi normanno-svevi dell’ateneo barese.

 

Intervista al professor LICINIO

 

Professor Licinio, dunque Federico II è davvero quel nume tutelare della Puglia cui, in questa regione, l’opinione comune - sui più svariati fronti e per le più svariate esigenze - sembra guardare?

«Mi rendo conto che contraddire la "pugliesità" di Federico II può apparire a tanti quasi un sacrilegio. Eppure, senza voler nulla togliere all’enorme rilevanza storica del personaggio, quel sovrano guardò alla Puglia in misura non del tutto dissimile rispetto ad altre aree del suo vasto regno. Certo, veniva in Puglia, ma non era certo il suo chiodo fisso. Solo in Capitanata svolse alcuni importanti esperimenti che oggi chiameremmo imprenditoriali, fondando le prime masserie statali. Ma fu una scelta dettata dalle favorevoli caratteristiche geografiche e ambientali di quel territorio, non da una particolare predilezione».

Ma se Federico II non mostrò particolare predilezione per la Puglia perché, già durante il suo regno, fu definito «puer Apuliae». Proprio a questo appellativo fanno continuamente riferimento quanti vogliono sottolinearne il legame con il tacco d’Italia...

«Prima di tutto è opportuno ricordare che allora il termine Apulia non si riferiva solo alla regione oggi chiamata Puglia, i cui confini furono definiti solo nell’Ottocento, dopo l’unità d’Italia, e delineati dal punto di vista amministrativo nell’ultimo Dopoguerra. Durante l’epoca di Federico II veniva definita Apulia un’area che comprendeva anche parte della Basilicata e della Calabria; in alcuni casi veniva definito con questo nome tutto il Mezzogiorno non insulare. Detto questo, è il caso di sottolineare che chi coniò quell’appellativo, "puer Apuliae", non aveva certo intenzione di rendere omaggio a Federico. Anzi...».

In che senso?

«Nel senso che fu un termine coniato dagli intellettuali alla corte di Ottone di Brunswick, rivale di Federico II nei primi anni del regno. In palio c’era la corona imperiale. Ottone ebbe la peggio. Tuttavia nell’entourage di Ottone Federico fu presentato, appunto, come "puer Apuliae", in senso degenerativo. Cioè, veniva accusato di occuparsi solo del lontano Sud Italia, trascurando la Germania. Questo aveva un senso nell’ottica di un tedesco di allora. Insomma, dargli del "puer Apuliae", cioè figlio del Mezzogiorno, era una sorta di affronto. Come se avessero usato il termine con cui i meridionali d’oggi vengono dipinti nel Nord Italia: terrone».

Però nessuno può togliere a Federico II un altro soprannome dell’epoca che ha ancora oggi ha molta fortuna: «Stupor mundi», «stupore del mondo».

«Anche in questo caso bisogna attribuire a questa espressione il significato che poteva avere ottocento anni fa. "Stupor" può significare "stupore" ma anche "mostruosità". Come possiamo notare, le conclusioni si prestano ad essere controverse».

Morale: i pugliesi si sono appropriati in maniera, come dire..., indebita di un personaggio storico che non appartiene in maniera così esclusiva alla Puglia. O no?

«Di certo Federico II in Puglia è un mito più che altrove. E tale circostanza è anche determinata dal fatto che questa regione ha un’identità meno marcata di altre regioni del Sud in cui egli ha svolto ruoli analoghi, come la Sicilia o la Campania. Ciò ha determinato la ricerca, più o meno consapevole, di un punto di riferimento storico. Tuttavia Federico è oggi, e non solo in Puglia, quello che noi storici definiamo un mitomotore. In più, il suo mito è in grado di generare altri miti».

Dove affondano le radici di questo mito che in Puglia ha attecchito così tanto?

«In Italia Federico II fu riscoperto nella seconda metà dell’Ottocento, nel clima dell’unità d’Italia, privilegiando il suo ruolo antiguelfo, perché all’epoca lo Stato sabaudo era in polemica col Papa. Ma è in Germania che l’imperatore torna alla ribalta dopo la Prima Guerra Mondiale. Di fronte alla grande crisi economica e morale seguita al conflitto, soprattutto lo storico Ernst Kantorowicz guardò a lui come prototipo del demiurgo che unificava le masse e costruiva la coscienza del popolo tedesco. È fondamentale il suo libro Federico II Imperatore, edito a Berlino nel 1927. Ed è soprattutto a quella lettura della biografia di Federico che guardano ancora coloro che in Puglia si sono appassionati alle radici locali del sovrano. Non solo. Quell’interpretazione di Kantorowicz piacque molto, durante gli anni Trenta, alle locali società di Storia patria. Ed è a quegli anni, infatti, che si deve il radicamento del mito di Federico II in chiave pugliese».

Resta da capire quali circostanze indussero le società di Storia patria a quell’infatuazione.

«Gli studiosi locali lessero Kantorowicz. In quell’epoca il regime fascista incoraggiava, più o meno ufficialmente, gli addetti ai lavori affinché rintracciassero le radici nazionali e imperiali pure in chiave locale. E quale migliore radice ci può essere rispetto a quella rappresentata da un personaggio incoronato re di Sicilia nonché imperatore tedesco? Non solo. Egli era ai vertici del Sacro Romano Impero. Tre parole che, in quegli anni di retorica nazionalpopolare, non potevano passare inosservate».

Cosicché Federico II fu incoronato pure come Mito, con la M maiuscola, della Puglia. I percorsi del mito, tuttavia, nulla tolgono alla rilevanza del personaggio. Vero?

«Certo. Federico II era e resta un personaggio storico straordinario. E, tra i tanti, c’è un aspetto della sua storia che proprio in questi giorni dovrebbe essere assunto come esempio».

Quale?

«Ciò che veramente egli garantì alla Puglia fu la sua proiezione verso Oriente, cucendola con la Palestina. Federico II diventò infatti anche re di Gerusalemme, grazie ad una crociata impostagli di fatto da Papa Gregorio IX. Fu tuttavia una crociata anomala, perché non si ricorse mai alle armi. Nel 1228, benché scomunicato dal papa, l’imperatore partì per i Luoghi Santi. Ma decise di riconquistare Gerusalemme con la diplomazia. Aprì così negoziati con il sultano d’Egitto Malik al-Kamil, ottenendo la restituzione di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e Sidone e l’impegno a sospendere le ostilità per dieci anni. Insomma, riconquistò la corona di Gerusalemme con una crociata basata su accordi diplomatici. Risultato cui contribuì, con pari meriti e pari ragionevolezza, anche il sultano. Una dimostrazione concreta del fatto che la strada del dialogo e del confronto può dare ottimi risultati, senza bisogno di spargere altro sangue. Oggi come allora».

 

 

Marco Brando

 
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