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LE OPERE E I GIORNI a cura di Stefania Mola   Otranto

Le opere e i giorni       Il mosaico pavimentale      I mesi

 

Una figura riccamente vestita, assisa in trono, ostenta (reggendoli con ambo le mani) due rami fioriti del grande albero che si insinuano nel clipeo del mese. La "regalità" della figura, al primo impatto ed al di fuori di un'analisi iconografica approfondita, è data sia dal tipo di trono che dal tipo di abito, simili a quelli dell'Alexander rex raffigurato nello stesso mosaico in corrispondenza della terza campata.

Accompagna la raffigurazione di maggio il segno zodiacale del Toro, governato da Venere, secondo segno dello zodiaco (e, insieme al Capricorno e alla Vergine, segno di Terra). 

All'interno dello zodiaco, il Toro è il segno situato in posizione intermedia tra l'equinozio di primavera ed il solstizio d'estate, a cui viene associato il simbolismo della materia prima, della sostanza iniziale, assimilabile all'elemento Terra come terra materna, nonché quello della natura animale, della complessione istintiva, della ricchezza sensoriale, della bramosia dei nutrimenti terrestri, dell'abbandono all'ebbrezza degli incantesimi dionisiaci.

La scena è accompagnata dall'indicazione del mese (MA/DII).

Con questo tipo di personificazione, qui ad Otranto come altrove, la coerenza di rappresentare l'attività agricola corrispondente al mese viene meno. L'ambiente contadino, nel quale è necessario lavorare duramente per ottenere il pane quotidiano, viene messo da parte per aprire la complessità dei rimandi figurativi e dei valori simbolici alla ricchezza, allo sfarzo, alla festosità della natura che si risveglia, della primavera che ritorna, con attributi e caratteristiche di indubbia regalità ed inequivocabile splendore, corrispondenti alla diffusa e coeva iconografia di Tellus, la Terra, nei panni di una giovane donna dall'aspetto regale.

Il contesto otrantino posticipa di un mese quella che in tutti i cicli dei mesi italiani è la personificazione della primavera, assegnando a maggio la funzione di rappresentare il "risveglio" della terra solitamente proprio dell'iconografia di aprile.

 

Tellus: la Terra, la Regina, la Grande Madre

Il rimando iconografico più immediato e "vicino" per la personificazione del mese di Maggio scelta ad Otranto è una delle miniature presenti nel cosiddetto Exultet 1 dell'Archivio del Capitolo Metropolitano di Bari. Si tratta della miniatura che precede l'esordio al testo della benedictio cerei della liturgia beneventana («Gaudeat se tantis tellus inradiata fulgoribus...»). Qui la Terra è raffigurata come una giovane donna con il capo adorno di fiori e foglie, vestita di un abito multicolore e a maniche ampie. Essa, nel mezzo di un prato, stringe con ciascuna mano un albero di palma ed è affiancata da quattro animali (cinghiale, ariete, capro e cane).

Tale personificazione della Terra che a primavera si rinnova, interpretabile probabilmente anche in riferimento all'Apocalisse di Giovanni (21, 1-4: la visione di una "terra nuova" dove la nuova Gerusalemme appare "pronta come una sposa abbigliata per il suo sposo"), ricalca modelli iconografici e stilistici orientali e rinvia forse alla rappresentazione di Artemide asiatica, signora degli animali e delle fiere, o a quella di Ecate o di altra divinità d'Oriente.

Ad antichissimi riti arborei di origine celtica (che coincidevano con la solennità del 1° maggio, Beltane, in occasione della quale era consuetudine appendere ad un tronco sfrondato una corona primaverile) si ricollegano molte delle celebrazioni legate al trionfo della luce sulle tenebre, così come lo stesso Calendimaggio medievale.

Sulla notte di vigilia (30 aprile), caratterizzata dall'evocazione del mondo infero e dalla comunicazione con i defunti, vegliava la Grande Madre della fertilità, signora tanto del destino dei morti quanto di quello dei semi sepolti nella matrice tellurica. Come in tutte le feste della fertilità, vi si svolgevano riti, banchetti e danze in un'atmosfera orgiastica, modificata solo dall'avvento del Cristianesimo, che "adottò" l'intercessione di santa Valpurga (monaca anglosassone vissuta nell'VIII secolo) per sostituire una figura più "consona" nelle funzioni della Grande Madre ed espellere streghe e spiriti inferi nel corso della notte che prese il suo nome ("notte di Valpurga").

Una volta cacciate le streghe (cioè ricacciati i morti negli inferi), il 1° maggio dal bosco si portava (ed ancora in alcuni luoghi si porta) un albero destinato ad essere innalzato al centro del paese (l'Albero di Maggio o, semplicemente, il Maggio, memoria dell'antico tronco sfrondato, ovvero del simbolo dell'albero cosmico) ed adornato di cibi e nastri variopinti che diventavano oggetto di gara e contesa. Ulteriore derivazione da questa consuetudine è l'Albero della Cuccagna.
Come già per la notte del 30 aprile, nel tempo la Chiesa cercò di rendere più accettabili anche le cerimonie del 1° maggio: l'albero divenne in molti paesi la "Croce di Maggio", metafora dell'idea del Cristo come Arbor vitae.

Ancora un ricordo delle origini e della Grande Madre come principio vitale e dominante sulla vegetazione e sugli animali si ravvisa nell'usanza quasi del tutto scomparsa dell'elezione della "Regina del Maggio", colei che - eletta in occasione della festa ed incoronata di fiori di campo - regnava per tutta la sua durata, e talora per tutto l'anno, sulle feste, sulle danze e sui giochi, presiedendo alle riunioni campestri dei giovani.

In questo contesto, oltre alle usanze di derivazione celtica come la Notte di Valpurga e l'Albero di Maggio, vanno ricordate le tradizioni romane legate alla medesima atmosfera festosa del periodo, e consacrate ad alcune dee come Flora, Bona e Maia.

Alla prima, la Mater florum di Ovidio, cui era consacrata la protezione di fiori e piante nel periodo della fioritura, erano associati i Floralia, celebrati dal 28 aprile al 3 maggio al Circo Massimo, durante i quali si gettavano alla terra i semi per renderla propizia.

Alla dea Bona, ovvero Fauna, divinità delle selve severa e casta (quasi anticipazione della Grande Madre cristiana, la Madonna), era consacrato il 1° maggio e tutto un complesso rituale destinato a rendere innocui i serpenti.

Alla dea Maia, infine, è legata l'etimologia del mese. Confusa nella tradizione tra la moglie di Vulcano e la madre di Mercurio, viene indicata da Macrobio come "la terra", così denominata per la sua "magnitudine, cioè grandezza, allo stesso modo che nei sacrifici viene invocata come Mater Magna".

 

Mitologia della costellazione del Toro

Le testimonianze del culto del Toro, seconda costellazione dello zodiaco, sono diffuse dall'Asia all'Europa, finanche in America (dove, però, veniva identificato con il Tapiro che popolava le foreste). Sul dorso del Toro celeste giace la nebulosa delle Pleiadi, le sette figlie di Atlante che vennero inseguite da Orione cacciatore finché non furono tramutate dapprima in colombe e quindi in stelle.
Simbolo di forza e fertilità, circa 5000 anni fa la costellazione segnava il punto del Sole all'equinozio di primavera ed era come tale celebrata dai Babilonesi.

Per i Persiani il Toro si ricollegava al culto di Mithra, divinità della luce e della giustizia, rappresentato in cielo da Orione: il mito narra dell'uccisione da parte di Mithra del toro Geush Urvan, dal sangue del quale sarebbero nati tutti gli esseri viventi. In altre versioni, l'uccisione del Toro raffigurava la precessione degli equinozi, e Mithra, identificato con la costellazione del Perseo, metteva in movimento l'intero universo, uccidendo il Toro e spingendo la Terra nella costellazione dell'Ariete all'equinozio primaverile. Tracce di questi miti legati al dio-toro Mithra si rintracciano anche presso alcuni scrittori latini.

Il mito classico ha due versioni, entrambe incentrate sugli amori extraconiugali di Zeus: una riguarda la principessa argolide Io, figlia di Inaco, dio dei fiumi (il cui mito è spesso citato anche in relazione alla costellazione del Pavone), l'altra invece Europa, figlia di Agenore re di Tiro, e sorella di Cadmo, fondatore di Tebe.

Io era sacerdotessa del tempio di Era; Zeus, innamoratosi di lei, ogni volta che andava a trovarla, avvolgeva Argo in una nube dorata. Era, però, scoprì la tresca e Zeus fece appena in tempo a trasformare Io in una bianca giovenca. Era, tuttavia, non paga, chiese in regalo l'animale e lo condusse a Micene perché fosse custodito da Argo, mostro dai cento occhi che non dormiva mai. Zeus chiese ad Ermes di liberare Io: l'astuto messaggero riuscì a far addormentare Argo alla melodia del suo flauto magico, cosicché poté decapitarlo e liberare la giovenca.
Ma Era, alla quale nulla era sfuggito, mandò un terribile tafano a pungere la giovenca, la quale, resa folle dal dolore, percorse tutta la Grecia, oltrepassando anche lo stretto del Bosforo (che significa appunto "guado della giovenca"), finché ai piedi del Caucaso trovò Prometeo che le pronosticò che in Egitto avrebbe partorito Epafo, figlio di Zeus, riacquistando le sue sembianze umane.

Circa Europa, il mito ci narra che, per conquistarla, Zeus si trasformò in un toro bianco con una mezzaluna sulla fronte. La fanciulla, subito ammaliata dall'animale, gli salì sul dorso e fu trasportata per mare fino a Creta. Dall'unione di Zeus con Europa nacquero Minosse, Radamante e Sarpedonte. Europa, in seguito, andò in sposa ad Asteriore, re di Creta, che adottò i suoi figli; Minosse, una volta diventato re al posto del patrigno, fece costruire il famoso labirinto e un grande palazzo, dove ogni anno venivano celebrate feste in onore dei tori bianchi, reputati animali sacri.

In un ulteriore mito la costellazione del Toro si identificherebbe con il bianco toro amato da Pasifae, moglie di Minosse, dalla cui unione sarebbe nato il mostruoso Minotauro. Anche quest'ultimo, secondo altre leggende, sarebbe rappresentato nella costellazione, con gli occhi resi fiammeggianti di ira da Aldebaran, stella fissa di colore rosso e di luce intensa.

Più tardi, in epoca romana, in un toro ornato di fiori - accompagnato da fanciulle danzanti (rappresentanti le Iadi e le Pleiadi) durante le feste in suo onore - si identificò Bacco, dio del vino e dell'ebbrezza.

  

  

I mesI:  Settembre (primo mese dell'anno nello stile di datazione più diffuso nel Medioevo) - Ottobre - Novembre - Dicembre - Gennaio - Febbraio - Marzo - Aprile - Maggio - Giugno - Luglio - Agosto

  

  

©2002-2003 Stefania Mola


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