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       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino


 


Dopo Milano anche in Puglia un monumento per le mille vittime dello stalinismo.

    

«Milano ricorda i mile italiani esuli antifascisti, emigrati nella speranza di un mondo migliore, membri della comunità italiana in Crimea, che furono perseguitati in Unione Sovietica, privati della libertà, deportati nel Gulag o fucilati negli anni dello stalinismo». È il testo che si legge sulla lapide posta ieri nel Parco Valsesia di Milano, intitolata - a cura del Comitato della Foresta mondiale dei Giusti (gariwo.net) e del Comune - alla memoria delle vittime italiane del Gulag sovietico. Dove “Gulag” è in russo l’acronimo di Gosudarstvennyj Upravlenje Lagerej, Direzione statale dei lager. Furono ufficialmente 1028 i connazionali morti nei gulag o fucilati. La metà apparteneva alla comunità italiana di Kerc in Crimea (gli altri erano per lo più emigrati antifascisti, soprattutto militanti comunisti): quando l’Armata rossa liberò la regione, invasa nel dicembre 194l dalle truppe tedesche, le minoranze nazionali furono deportate con l’accusa «di aver simpatizzato e collaborato con gli occupanti».

Certo, la sorte di tutti i deportati nei 384 campi di lavoro dell’Urss è una pagina ancora oscura: tra 1917 e 1956 ci passarono decine di milioni di persone. Eppure l’iniziativa milanese fa venire in mente che una lapide analoga dovrebbe essere posta in Puglia. Per lo meno a Trani e a Bisceglie. Magari a cura della neonata Sesta Provincia e della Regione. Perché? Pochi sanno che gli italiani di Kerc - città portuale della Crimea (Ucraina) tra Mar Nero e Mare d’Azov, con centomila abitanti - erano nipoti e pronipoti di contadini e marinai originari di quelle due città, trasferitisi lì nell’Ottocento con qualche campano, ligure, piemontese, sardo e Veneto.

Nel censimento del 1897 - secondo l’ambasciata italiana a Kiev - gli italiani costituivano l’1,8% della popolazione nella provincia di Kerc. In quello del 1921 erano il 2%, nel ’31 l’1,3%. All’inizio del Novecento disponevano già di una scuola elementare con corsi d’italiano. Nel 1928 fu riaperta una scuola elementare italiana; negli anni Trenta nacque un circolo culturale italiano, finanziato dal kolkhoz (fattoria collettivizzata) «Sacco e Vanzetti». Le famiglie che vivevano a Kerc si chiamavano De Martino, De Cilis, De Lerno, De Doglio, De Pinda, De Fonso, Di Piero, Biocino, Budani, Bruno,Giachetti, Evangelista, Cassanelli, Puppo, Croce, Carboni, Logoliso, Nenni, Simone, Spadoni, Scalerino, Scuccimarro, Parenti, Pergolo, Mafioni, Fabiano, Porcelli, Pleotino.

Perché erano finiti laggiù? Lo racconta un professore nella facoltà di Scienze politiche dell’ateneo di Genova, Giulio Vignoli. Nel 2000 con l’editore Giuffrè ha pubblicato Gli italiani dimenticati. Minoranze italiane in Europa: «Ho visitato la chiesa di Kerc - racconta su - www.oltreconfine.de - Una targa spiega in ucraino e russo che quel luogo di culto fu costruito dagli italiani fra il 1831 e il 1848». Ancora: «Furono incoraggiati dalla politica della Russia zarista, che aveva occupato la Crimea ai primi dell’Ottocento. La popolazione maggioritaria erano i tartari. I russi, allora, cominciarono a colonizzarla, invitando anche altre popolazioni. La maggior parte di questi pugliesi era dedita all’agricoltura. Oppure ha trovato lavoro nelle attività marittime, nei pescherecci, nei traghetti». Poi la deportazione... «Quando l’esercito sovietico entrò in Kerc, gli italiani furono portati con tre viaggi in vagoni piombati e poi in nave per attraversare lo stretto dalla sponda europea a quella asiatica; e ancora in nave sul Mar Caspio, a Karaganda, in Kazakhistan. Un viaggio di un paio di mesi, complessivamente. Tutti i bambini morirono di tifo petecchiale. Arrivò il tempo di Krusciov, qualcuno poté rientrare. In Crimea quei nostri connazionali che ebbero la possibilità di rientrare, conobbero la più nera miseria. Le loro case erano state sequestrate. Dovettero ricominciare da zero».

Fatto sta che nel censimento del 1989 i cittadini ucraini definiti di etnia italiana risultarono 316, sparsi sul territorio, 56 dei quali a Kerc e undici nella vicina Simferopoli. Renato Risaliti, professore di Storia dell’Europa Orientale a Firenze, nel brano Un viaggio in Crimea. Incontro con italiani deportati, scrive: «Una di loro mi fa piangere perché improvvisamente si mette a recitare le preghiere in italiano perfetto. Sono l’Ave Maria e il Padre Nostro... Alcuni mi dicono che nei giorni di festa si continuano a fare minestre e dolci di origine pugliese con i loro nomi originari». In un articolo pubblicato sul Corriere della Sera nel luglio 2004 Ludina Barbini ricordava: «Non parlano ucraino, solo il russo e poche parole di italiano, conoscono le preghiere, sanno contare, ricordano anche i versi di qualche canzonetta».

Non solo. Su Diario, l’8 aprile 2005, Margherita Belgiojoso scriveva: «Ippolita Vincenzovna Scolarino, 76 anni, scodella con disinvoltura un chilo di spaghetti al ragù... La signora è l’italianskaija babushka, la nonna italiana della piccola città di Kerc. È la più anziana rappresentante di una comunità di italiani discendenti da emigrati pugliesi. ... Parlano russo con qualche intercalare di pugliese. Soltanto la vecchia generazione mantiene ricordo del puro dialetto. L’anziana signora, quando vuole essere capita meglio, infila qualche parola di dialetto. “Assettate!” dice la signora Ippolita per fare accomodare gli ospiti; e poi offre u’ pan, u’ furmagg, u’ ragù. L’italiano vero e proprio l'ha imparato soltanto Galia Burkal’, figlia di Elisa Scolarino e di Valodia Burkal’, che con una borsa di studio dell’Istituto Italiano di Cultura a Kiev ha studiato nove mesi a Firenze. Galia Y. Scolarino è l’orgogliosa direttrice dell’“Associazione Italiani di Kerch Dante Alighieri”».

E pensare che già negli anni Trenta il linguista sovietico Vladimir Fedorovic Sismarev realizzò il volume La lingua dei pugliesi in Crimea (1930-1940). Allora il dialetto era ancora diffusissimo. Il libro fu tradotto nel 1978 da Congedo Editore di Galatina. Ma erano gli anni della guerra fredda; difficile ricordare, aiutare, tutelare. Nel 2005 sarebbe più facile. E sarebbe pure assai giusto. «Milano ricorda...». E la Puglia?

   

   

È stato un professore universitario russo - anzi, sovietico di Leningrado - a studiare maggiormente i pugliesi di Kerc. Si chiamava Vladimir Fedorovic Sismarev ((1874-1957), filologo. Condusse i suoi studi tra 1930 e 1940. Nel 1941 pubblicò l’articolo Una parlata dell’Italia meridionale in Crimea nella rivista Ucenye zapiski-Serija filologiceskich nauch: vi si descriveva la parlata dei tranesi emigrati. Il secondo articolo è Insediamenti romanzi nel Sud della Russia (apparso postumo nel 1975). All’epoca la pubblicazione dei lavori di Sismarev, avvenuta durante la II Guerra mondiale, non raggiunse gli studiosi occidentali. Nel 1978 i due articoli sono stati riprodotti in italiano nel volume, ormai introvabile, La lingua dei pugliesi in Crimea (1930-1940). Comprende anche l’articolo La condizione attuale del dialetto di Bisceglie in Crimea, realizzato alla fine di una ricerca svolta nel 1961 dal professorM. P. Korsi, messosi sulle tracce del lavoro fatto da Sismarev. L’editore fu Congedo (Galatina), che lo propose nella «Collana di saggi e testi»; la traduzione venne promossa dal Centro di Studio per la Dialettologia Italiana (Padova). Durante i suoi studi Sismarev scrisse che il gruppo italiano di Kerc era «il più numeroso, che si è conservato inmodo considerevole fino ai giorni nostri (cioè, i suoi anni ’30, ndr)». Per altro il materiale raccolto da lui e da Korsi dovrebbe essere tuttora nell’Archvio dell’ex Accademia delle Scienze dell’Urss. Mentre la registrazione su nastri magnetici di proverbi, canzoni, favole e interviste negli anni Sessanta era ancora custodito nel laboratorio linguistico della facoltà di Filologia dell’Università di Leningrado.

   

       

       

©2005 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» dell'11/11/2005.

      


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