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       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino


  


Monastero di Santo Nicolay dello Inbuto, antica cella benedettina, pertinenza di Kàlena

  

Ex monastero San Nicola Imbuti: ingresso, situato nella facciata rivolta a ponente.   Ex cella San Nicola Imbuti: interno con volta a botte (particolare).   San Nicola Imbuti: Palazzo del comandante.  San Nicola Imbuti: particolare del Palazzo del comandante, in cui è incastonata l’elica e la dedica “Ivo Monti”.  Imbuti, l'idroscalo.

      

     

Il viaggiatore non distratto, che costeggia la riva occidentale della laguna di Varano, rimane felicemente impressionato, colpito dalla presenza di manufatti pressoché centenari, testimoni singolari, benché fatiscenti, della storia di San Nicola Imbuti, oggi  San Nicola Varano.

Il sito, che dista da Cagnano Varano circa 10 km, si trova nel punto in cui una lingua di terra ai piedi del bosco San Nicola (versante orientale di Monte Devia) si getta nelle acque, delineando appunto la forma dell’imbuto, da cui ha tratto la denominazione in epoca medievale. 

La vicinanza dalle Isole Diomedee costituisce uno dei motivi fondamentali per cui San Nicola Imbuti diventa pertinenza di quel complesso monastico benedettino, che in passato ha svolto importanti funzioni politico-culturali e religiose. 

Dal punto di vista morfologico, tutto il tenimento  si presenta come una collina molto dolce, digradante verso la laguna, popolata da piante e arbusti tipici della macchia mediterranea, piantagioni di fave e di ortaggi, tra cui emerge la coltura specializzata dell’olivo.

Nella zona manca un’idrografia superficiale, mentre all’interno della penisoletta, ai piedi del lago, si nota la presenza di due sorgenti, la quale sicuramente deve avere inciso nella scelta del sito da parte dei benedettini, che vi si insediarono nell’XI secolo. 

Dal punto di vista antropico, lo scenario dell’Imbuti è oggi occupato dall’ex Idroscalo intestato al tenente macchinista Ivo Monti, costituito da una trentina di edifici stile coloniale, che versano in uno stato di degrado, tranne una palazzina, restaurata cinque anni or sono e – purtroppo-  non resa funzionale, tanto da meritarsi l’appellativo di “cattedrale nel deserto”.

Edifici maestosi, ben allineati, collocati intorno a Viale Irene, che dimostrano la grandiosità del progetto, realizzato nel secondo decennio del XX secolo, per contrastare gli attacchi austriaci provenienti dalla sponda opposta dell’Adriatico.  Edifici riutilizzati nel secondo conflitto mondiale dai militari che compirono diverse e importanti operazioni.

L’area di San Nicola Varano nella parte più elevata ospita i resti della chiesa di Santa Barbara, edificata nel 1918-20 per favorire il culto agli ufficiali e a tutto il personale, che dimorava nell’idroscalo. 

   

La presenza di un importante tracciato in epoca romana

Nel sito sono presenti evidenti tracce di frequentazione medievale, mentre andrebbero effettuate ricerche riguardo a insediamenti preesistenti. E’ possibile, infatti, supporre che il monastero di San Nicola sia nato su una preesistente villa romana. E’ certo che nella Roma imperiale l’area di San Nicola Imbuti è raggiungibile, percorrendo una strada proveniente da Teanum Apulum, vicino al Fortore, nei pressi di Lesina, e proseguente per Fara (poco distante da Imbuti). 

è stato ipotizzato che questa strada in epoca romana abbia svolto importanti funzioni politico- economiche, collegando antiche città e ville- fattorie insistenti nei “municipia” del Gargano nord: Teanum Apulum (San Paolo Civitate), Lesina, Civitella (Sannicandro G.co), Avicenna (Cagnano-Carpino), Monte Civita (Ischitella), dove di lì a poco sarebbero sorti i relativi comuni.

   

Nel Medioevo: Le migrazioni del tardo impero e durante la dominazione bizantina

Dopo il V secolo, in seguito alle invasioni barbariche, diversi centri abitati del Gargano insistenti lungo la costa e le vie di comunicazione, si spopolano per ragioni di sicurezza, mentre piccole comunità, i Casali, cominciano a nascere nei luoghi più sicuri dell’entroterra. I Bizantini, che dominano ancora per lungo tempo il Gargano settentrionale e orientale, si adoperano per far rifluire la vita nei luoghi abbandonati, favorendo l’immigrazione dai Balcani e la ripresa economica dell’area considerata. E’ poi la volta dei Longobardi, i quali s’impossessano di vasti latifondi e cominciano a controllare l’economia del territorio, presidiando strade importanti e costruendo Fare che, da istituzioni familiari organizzate militarmente e politicamente, finiscono col rappresentare delle tenute agricole.

Situata lungo l’importante direttrice proveniente da Civitate, la Fara svolge l’importante funzione di controllo del traffico attivato tra le lagune di Lesina e di Varano, nel tempo in cui [l’alto medioevo] la pesca viene esercitata soprattutto nelle acque lacustri e lungo la costa, come conferma il prof. Corsi.

  

Cellam Imbuti

Uno dei palazzi dell’Imbuto, situato vicino alla sorgente omonima, nasconde tracce di una esistenza più lontana: è cellam Santo Nicolay dello Inbuto, pertinenza di Kàlena, quindi della grande abbazia tremitense, fino al 1782. Lo attesta una chartula offertionis , la quale precisa che Sariano, abitante di Devia [in territorio di San Nicandro G.co, popolata da slavi provenienti dai Balcani ], dona al monastero di Santa Maria di Tremiti, metà casa, una vigna e un terreno incolto, due botti e quattro appezzamenti di terra, uno dei quali confina con un’antica strada che conduce all’Imbuto (via veteres, qui descendit ad ipso Imbuto). In un altro documento del 1058 si legge che a San Nicola, situato nell’Inbutus, c’è una cella e intorno a questa ci sono vigneti e terre di sua pertinenza.

Nel 1173 Raone, signore di Devia, tenta d’impossessarsi del tenimento dell’Imbuto, ma c’è uno degli instrumenta a confermare la venditionem fatta da suo padre, il quale non riserva per sé o per i suoi eredi alcun diritto in quel territorio (nullo iure sibi vel suis heredibus riservato in ipso tenimento). Un vasto tenimento i cui confini (fines)– come esplicita la fonte- iniziano dal capo e porto di Sant’Andrea (Capojale), e la spiaggia, pietra Ticzoli, Sant’Elia, gira  intorno al lago, abbracciando Monte Zitano, quindi lacum Cernuli, dove insiste  un pesclo e una centia, prosegue con Nido di Corvo, taglia  poi dritto per il lago e si ricongiunge  con il tenimento d’Ischitella, laddove è l’entrata iumentorum, (al centro Isola Varano), prosegue per metà isola e si ricongiunge  al primo confine, includendo la chiesa di San Giovanni. Nella sentenza giudiziale pronunciata a Palermo e sottoscritta anche da Gentilis, signore di Cagnano del tempo, la curia regia dette torto al signore di Devia e lo condannò a pagare 200 once , mentre a Santa Maria di Kàlena è riconosciuto il pieno diritto sul tenimento dell’Imbuto.  

I privilegi di re Guglielmo II, firmato a Palermo il 7 maggio 1176 e di Innocenzo III del 3 febbraio 1208 confermano che la cella di San Nicola Imbuti con le sue pertinenze, il castro, boschi, terre e vigneti costituiscono beni di Kàlena e di Tremiti. Fonti significative anche per il fatto che evidenziano la presenza di una fortificazione, data la presenza del castrum, e di coltivazione specializzata (vineis), oltre che dei boschi (silvis), da cui ricavare legna.

 

La leggenda

La tradizione del luogo vuole che i monaci dell’imbuti fossero amici di Noè, quindi del vino, di cui avevano botti enormi, grandi persino quanto la montagna retrostante al convento. Una di queste botti, aveva appunto la cannella che giungeva al refettorio. Da essa cannella i monaci spillavano generosamente il buon vino per sé e per i visitatori ospiti e, siccome il vino non finiva mai, questi pensavano che si trattasse non di una botte, ma di una sorgente.

   

I Corsari e l’evacuazione

Secondo una tradizione orale i monaci, recandosi con un sandalo all’abbazia di Tremiti, da cui al momento dipendevano, per sbrigare alcune faccende, si accorsero che una squadra di Corsari stava ombardando l’abbazia di Santa Maria e che, spaventati, pensarono subito di tornare indietro a San Nicola dell’Imbuto, per mettere in guardia i fratelli rimasti, mettendoli a parte dell’accaduto. Si erano appena messi in salvo che giunsero i Corsari, i quali prima depredano, poi distruggono completamente la forma del monastero. I religiosi da allora- narra il frate De Monte- non vi fecero più ritorno. I pescatori, però, quando le acque sono chiare, dicono di vedere in fondo al lago la campana, che invitava i monaci a pregare e a lavorare.

   

Una rete di monasteri

I monaci cassinensi colonizzano estese aree, insistenti sia nel Gargano Nord, sia nell’area campana, abruzzese e molisana, per motivi di ordine economico, culturale e religioso. Ambiscono esercitare il controllo dei laghi di Lesina e di Varano, perché in questo modo potranno disporre di abbondanti pesci e dei loro derivati: anguille e uova di cefali (bottarga) seccate e molto richieste dai consumatori. Pesce particolarmente consigliato nella dieta dei monaci, costretti ad astenersi dal mangiar carne, che attiva un commercio invidiabile, dirigendosi verso i luoghi interni della provincia di Foggia e oltre, lasciando ipotizzare persino una via del pesce.

Nell’area di San Nicola di Varano sono inoltre diverse sorgenti, le quali danno modo ai monaci di impinguare la loro economia, utilizzando l’importante risorsa, costituita dall’acqua. Il tenimento costituisce una discreta risorsa economica del monastero madre, anche perché vi si riscuotono le decime sull’intero lago.

C’è poi l’interesse religioso e la devozione della gente del luogo a spingere i benedettini a colonizzare il Gargano e la Capitanata. In un tempo in cui è molto forte il flusso dei pellegrini diretti alla Montagna dell’Angelo, si avverte il bisogno di hospitia: ecco perché lungo le direttrici per Monte Sant’angelo viene costruita una rete di monasteri destinati ad avere fortuna. Ricordiamo quelli di San Giovanni de Lama, in San Marco in Lamis dell’XI secolo bizantino, di San Giovanni in Piano, nei pressi di Poggio Imperiale, anch’esso dell’XI sec. e bizantino,  di Santa Maria (Lesina), Santa Barbara e San Bartolomeo, Santa Maria e Sant’Andrea, Santo Stefano, Santa Maria di Tremiti. … . C’è, inoltre, la presenza di ordini agostiniani e pulsanensi, come attestano San Leonardo di Lama Volara nei pressi di Siponto (agostiniano), San Giovanni di Pulsano (da cui dipendono gli insediamenti monastici di San Giovanni di Varano, San Pietro in Cuppis (in territorio di Ischitella).

In epoca medievale, la via veteres che passa per l’Imbuti di Cagnano Varano, probabilmente costituisce un’alternativa alla Via Sacra Langobardorum -che allaccia i comuni del Gargano Nord-, dal momento che in agro cagnanese insiste l’interessante grotta di San Michele e dato che è molto vivo il culto per l’Arcangelo.

C’è, infine, chi ipotizza che la forte presenza dei monaci nelle aree sopra citate sia legittimata da motivi politici, legata al bisogno di controllare il massiccio flusso di immigrazione delle popolazioni slave. Può essere utile ricordare che la colonia slava di Devia è a pochi km dalla cella di San Nicola Imbuti,  in direzione ovest, e che Peschici, ove insiste Kàlena (sita a circa 15 km ad ovest dell’Imbuto) è popolata da genti proveniente dai Balcani.

San Nicola Imbuti è, dunque, una delle dipendenze di Kàlena che, insieme a Devia, al lago di Varano, a Peschici e ad altri monasteri situati lungo la costa fino a Siponto, accrescono  il patrimonio e il prestigio della Casa di Santa Maria di Tremiti.

   

In età moderna

Benedicto Cocharella e Timoteo Mainardi dell’ordine dei Canonici Regolari di Sant’Agostino risultano  rettori del Monastero di Tremiti dopo i Cistercensi, a partire dal 1412. Tremiti è  porto sicuro e fonte di approvvigionamento per chi attraversava il mare, scalo di tutte le navi provenienti da Venezia e dall’altra sponda dell’Adriatico.

Nelle pertinenze delle celle cassinensi si pratica ancora la cerealicoltura, la viticoltura e l’oliviticoltura, mentre sul lago si continuano ad esercitare i diritti di pesca, dotando il monastero di ingente materiale da esportare. Pesci di ottima qualità (anguille e capitoni soprattutto), anche essiccati, di cui alla chiesa dell’Imbuti spetta la decima parte. Per salare questi pesci vi sono nelle vicinanze parecchi vivai, cioè dei luoghi vicino al mare in un lago stagnante, dove i pesci vengono catturati e subito dopo salati.

Il lago è appetibile anche per la cacciagione di anitre selvatiche, folaghe e altri uccelli, che giungono in questi luoghi sostandovi d’inverno, oltre che fonte lucrosa anche per pascoli adiacenti: l’intera Isola Varano e adibita al pascolo degli animali ovini, bovini, equini.

Nei secoli XV e XVI i diritti di pesca sul Varano e i beni di Kàlena cominciano però ad essere contesi, dato che nuovi padroni – baroni di Vico e d’Ischitella vogliono appropriarsene.  Contese dei feudatari che cessano finalmente con le leggi eversive della feudalità, allorché ai pescatori viene restituito il diritto di pesca.

   

Tra 1700 e 1900

Nel catasto onciario 1750, voluto da Carlo III di Borbone re di Napoli, riguardo al soppresso convento di San Nicola dell’Imbuto, si legge:

«Il venerabile convento soppresso di San Nicola dell’Imbuto sistente nel tenimento e giurisdizione di questa terra di Cagnano posseduto dai canonici regolari Lateranensi sotto il titolo di Santa Maria di Tremiti della grancia del convento del Carmine della terra di Vico rivela il parroco don Pietro Salvi abbate dei medesimi, come procuratore della medesima, la quale terra possiede in questa [...] beni stabili, scoglio boscoso con terra lavoratoria unita con piscaria di Puzzacchio situata nel lido di esso Convento suppresso 6 miglia distante da questa terra alla terra del lago verso ponente, confinante col suddetto lago e difesa di San Giacomo e territorio di San Nicandro, rendita annua ducati 100 compresi li Puzzacchi, Palude e Porto, sono 383,10;

Possiede una difesa boscosa tra San Nicandro e Cagnano detto San Nicola dell’Imbuti affittata ancora ad uso di manna e da far pece, che confina da levante col demanio d’Ischitella detto li titoli di Paolone, da tramontana col lido del mare di ponente, mezzogiorno e levante con terreno di questa terra, difesa di San Giacomo, lago Varano, e San Nicandro, la quale è stata compassata di carra 215 con l’assistenza di fra Marco Antonio da Milano procuratore di S. Casa secondo dal libro dell’apprezzo di rendita ducati 700 per l’erbaggi e il poi per la fida della mamma a ducati 300, che in tutto sono ducati 1000 iuxta la liquidazione fatta cifra, che ne ricava annui once 3333.10;

Possiede terre seminative alli Coccioliti passa 25, all’Aria piccola passa 30, all’Aria grande passa 38, alla Vadicocca passa 29, alla Vadiorlando passa 60, alla mezzana del Punito versure 2, a Vadivina passi 30; in tutto [d’industrie e di beni]once 3848.20».

Dal catasto murattiano del decennio francese, apprendiamo che il Convento soppresso san Nicola dell’Imbuti, possiede 4300 versure allocate nella Difesa di Ponente, corrispondenti ad una rendita imponibile di ducati10320 [tra le più elevate].

Quando la badia di Tremiti cessa la sua agonia,  la Difesa di San Nicola Imbuti in tenimento di Cagnano Varano passa nelle mani dello Stato, per essere poi comprata da Giacomo e Francesco Forquet, domiciliati in Napoli Via Roma già Toledo, n° 185.

Nel primo decennio del XX secolo l’area di San Nicola diviene demanio Marittimo e  della Difesa dello Stato, che destina la zona prospiciente il lago ad l’idroscalo, per contrastare gli attacchi aerei provenienti dalla marina austriaca, appostata a Cattaro, sulle sponde della Iugoslavia, mentre i terreni adiacenti – cessato il conflitto- passano in mano a privati e/o usurpatori.

   

Memorie di guerra dall’Idroscalo (lago di Varano 1915-18)

«Avevo sette o otto anni quando, recandomi con la mia famiglia in gita al lago di Varano (…) mi accorsi per la prima volta della presenza di due idroplani abbandonati sull’acqua. Ricordo distintamente quel giorno. Credo fosse maggio quando sbarcammo proprio in vicinanza dello scivolo di cemento lungo il quale si muovevano gli idrovolanti prima di immettersi nell’acqua e prendere il volo. La giornata era splendida: il lago pacato e azzurro come spesso non si vede. I due aerei sulla sponda, in parte addossati ai canneti, mi parvero come due poveri uccelli feriti in attesa della morte (…)».

è così che Maria Antonia Ferrante intraprende il suo viaggio nei ricordi, recuperando e restituendo alla memoria eventi della prima guerra mondiale, dipinti liricamente e sapientemente nella sua opera Memorie di guerra dall’idroscalo, edita a cura de Il Rosone di Foggia.

Sin dall’inizio sono presenti tutti gli ingredienti, in primo luogo la vera protagonista: la laguna di Varano coi suoi ritmi cadenzati dal vento- così come dichiara l’autrice. In particolare l’area di San Nicola Varano con le sue palazzine oggi invase dalle erbacce incolte, gli spaziosi saloni in cui da bambina saltellava e dai quali ascoltava distrattamente i commenti materni riguardo al suo papà, il dott. Donataci, medico sanitario dell’idroscalo.

La passione e l’interesse verso i luoghi della sua infanzia, l’ansia della ricerca, la spinta a documentarsi, la voglia di dare senso a quegli edifici senza vita hanno costituito il movente, ed ecco che  con Memorie dall’Idroscalo   la vita riprende nel complesso di San Nicola Varano, per lungo tempo dimenticato. Un testo dalla sintassi lineare, dalla lettura piana, scorrevole, invitante, arricchita da metafore e analogie volte a dare un certo cromatismo e liricità agli eventi, un testo intercalato da diversi feed back, un andare indietro dell’autrice, con  digressioni e riflessioni volte a recuperare storie, tradizioni, curiosità locali, impreziosendolo.

La trama, incentrata sulla vita e sugli eventi del contingente di militari stanziati su S. Nicola, oscilla pertanto tra i dati recuperati in archivio e altre pubblicazioni e l’immaginazione fervida e creativa della narratrice. Gli edifici si animano ed entrano in azione il conte Ghe, il tenente di vascello Ivo Monti, il duca T. de Revel… con la loro quotidianità. Un insieme di militari che fa gruppo intenzionalmente orientato verso finalità convergenti, unendo le forze individuali per realizzare lo stesso scopo. Un insieme di uomini che porta ordine in San Nicola Imbuti. Tre anni e più, dalla seconda metà del 1914 al 1918 della permanenza di un notevole numero di persone militari e civili, impegnati a rendere vivibile lo spazio circostante. Tre anni per bonificare le paludi, per combattere la ferale malaria, per approvvigionarsi d’acqua, per attendere all’ultimazione degli alloggi, per perlustrare la zona nemica. Tre anni e più per vedere infine il villaggio completo, suddiviso in spazi razionali e autosufficienti: dai dormitori alle sale d’intrattenimento, dai refettori alle cucine, dall’infermeria agli hangar, alla palestra. Tre anni brillantemente recuperati dalla Ferrante, restituendo alla memoria ciò che rimane di questo complesso, ciò che non aveva alcun segno di vita.

L’autrice, da narratrice, psicologa e psicoterapeuta qual è, ha saputo  bene coniugare il linguaggio della storia con quello dell’immaginazione, un’immaginazione che le ha consentito di allontanarsi dalla realtà, non per fuggire da essa, ma per meglio interpretarla alla luce dei sentimenti più reconditi dell’animo umano, consegnandola in pagine intense e dense, che appassionano chi ama riandare nei ricordi e nelle fonti d’archivio, alla ricerca del proprio passato.

L’immaginazione della Ferrante le ha consentito, inoltre, di declinare la storia nazionale con quella locale, di ricostruire le paure, le passioni, i sentimenti degli ufficiali, che hanno sofferto non poco in un luogo al tempo non molto ospitale per via della malaria, ma anche per le scarse relazioni umane. Sottolinea pure l’autrice i rapporti intrecciati con le comunità locali, le loro passeggiate a Rodi, Carpino, a Vieste… la storia di Giovannina… dati affiorati dai documenti, stemperati dall’immaginazione e dalla capacità narrativa dell’autrice. Maria Antonia Ferrante è entrata nei cuori dei marinai, leggendone la dedizione alla patria, le sofferenze, le incertezze, la morte in agguato, tipica di ogni periodo bellico, allorché – come ben dice Ungaretti- si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.

Opera interessante anche per le digressioni sulla storia locale del tempo: il dibattito sulle ferrovie elettriche, le prime ansie del Gargano legate agli uomini politici dell’epoca che cercavano una dignitosa collocazione nella storia del Mezzogiorno (i Fioritto, i Zaccagnino…), opera importante,  utile ai giovani lettori, bisognosi di riandare al passato, per meglio comprendere il presente e progettare il futuro con maggiore consapevolezza, per ancorarsi al contesto.

    

L’Imbuti: quale futuro?

Ai primi anni del XXI secolo risale il progetto della STU, società di trasformazione urbana, intenzionata a realizzare un villaggio turistico, utilizzando anche una notevole parte del Puzzone, progetto che attualmente vive una probabile una fase di ripensamento.

è giusto ribadire con voce forte e chiaro che gli edifici dell’ex idroscalo intestato a Ivo Monti vanno restaurati, per non cancellare questo luogo che è nella memoria dei cagnanesi e degli italiani; ritengo, inoltre, opportuno che l’operazione debba essere funzionale anche all’occupazione, di cui i cittadini sono tanto bisognosi; vorrei aggiungere infine che, come cittadina di Cagnano, sarei molto dispiaciuta se le tracce dell’ex monastero venissero cancellate, mentre riportando questa e altre celle all’antiche fattezze, inserendole in un percorso turistico culturale-religioso, per cellas cassinenses, potrebbero concorrere alla crescita culturale ed economica del Gargano.

          
               

©2006 Leonarda Crisetti. Le foto sono di Teresa Maria Rauzino, tranne l'ultima, di Leonarda Crisetti. 

    


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