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       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino



Presentato da Gloria Fazia e Mimmo Di Conza al Museo Civico di Foggia il nuovo libro di Lucia Lopriore, frutto di un impegnativo lavoro storiografico. è seguita una proiezione multimediale a cura dell'Autrice.

La copertina del libro.

      

L'acquisto del feudo di Orta di Capitanata, attuale Orta Nova (FG), evidenzia l'intreccio indissolubile che congiunge sempre microstoria e macrostoria. Con tale acquisto fu concesso al duca de’ Sangro il giuspatronato sulle chiese di Santa Maria delle Grazie e di Santa Caterina, ad essa annessa. Tale diritto vincolava il nobile casato a provvedere a tutte le esigenze di culto richiesti dal vescovo di Ascoli Satriano: oltre agli arredi sacri, il Duca dovette donare una bella campana.

La curiosità storiografica di Lucia Lopriore, autrice del volume Aristocratici Napoletani tra Capitanata e Valle d’Itria: i Duchi de Sangro, Edizioni del Rosone, Foggia), è nata proprio dalla visione/ricognizione di questa campana quando, notando che era marcata dallo stemma araldico dei de’ Sangro, scoprì che il prestigioso casato era stato legato, sia pure per un breve periodo, alla sua città natale. Di sicuro interesse storico si rivela il suo accurato studio svolto sulla linea dei duchi di Sangro per l’intreccio delle strategie sociali, familiari, politiche e culturali che la famiglia adottò per sostenere il proprio status sociale. La partecipazione attiva dei suoi componenti alla vita politica nazionale ed internazionale e la celebrazione dei matrimoni, volta all’espansione dell’asse patrimoniale, pone in luce aspetti che rendono bene l’idea del modo in cui si svolgeva l’intricata strategia per garantirsi il massimo potere.

Nel corso della ricerca archivistica e della ricognizione sul campo, che l’hanno portata a ripercorrere tra Puglia e Campania i luoghi dei De Sangro, la Lopriore si è resa conto che la letteratura specializzata forniva notizie solo sui rami principali del casato: sui duchi di Vietri, di Torremaggiore, sui principi di San Severo, di Fondi, solo per citarne alcuni. Nessuno degli storici accreditati aveva mai esaminato attentamente la linea cadetta dei duchi di Sangro, quella dei marchesi di San Lucido. Le loro res gestae erano praticamente sconosciute.

Assenza di notizie dovuta al fatto che in passato l’asse ereditario nobiliare negli Stati europei era basato sulla legge del maggiorasco; difficilmente i genealogisti accreditati studiavano i rami ultrogeniti, relegati ad un ruolo marginale. Da qui l’approfondimento volto a soddisfare le curiosità dell’Autrice, ma soprattutto a fornire notizie preziose agli studiosi e ai lettori desiderosi di conoscere la storia di questo ramo dei de Sangro.

Un lavoro, quello della Lopriore, che ha richiesto un notevole impegno per le innumerevoli difficoltà incontrate in sette lungi anni di ricerca. Ma mai, come in questo caso, “andar per archivi” è stato così produttivo, oltre che entusiasmante. L’importanza degli archivi, lo sappiamo bene, è data proprio dalla possibilità di rinvenire tra le tante carte, spesso nemmeno inventariate, fonti essenziali per la ricostruzione del passato altrimenti condannato all’oblio. Per riportarlo alla ribalta della storia.

Per questo lavoro, ricordiamo che l’Autrice ha analizzato una notevole mole di documenti custoditi negli archivi di varie città; numerosi, quindi, sono stati gli spostamenti ed i contatti avuti con istituzioni di tutta Italia: a Napoli (Archivio di Stato, Biblioteca Nazionale, Archivio Storico del Banco di Napoli - Fondazione, Museo Duca di Martina, Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Napoletano, Museo Civico " Filangieri " (peraltro chiuso al pubblico per restauri); a Roma (Archivio Centrale dello Stato); a San Basilio - Mottola (TA) (Hotel Casa Isabella); ad Ascoli Satriano (Archivio Storico della Curia Vescovile); a Martina Franca (Biblioteca Comunale "Isidoro Chirulli"e Archivio del Gruppo Umanesimo della Pietra).

Qui, grazie alla consultazione dell'archivio privato, di dipinti, foto ed altro materiale appartenente alla famiglia de' Sangro, e donati alle due istituzioni citate dagli eredi, l’Autrice ha potuto ricostruire anche le più significative vicende riguardanti la famiglia in Valle d’Itria.

La ricerca ha dato esiti importanti, portando la Lopriore ad approfondire via via la storia araldica del nobile casato, dalle origini fino ai nostri giorni. Non diversa da quella degli altri nobili fu infatti la vita sociale dei duchi de’ Sangro, discendenti dai Marchesi di San Lucido.

Con qualche sprazzo di notorietà, che li portò alla ribalta della storia moderna e contemporanea.

Don Nicola de’ Sangro ebbe un ruolo determinante nel 1795 in relazione alle vicende storiche ed economiche della Capitanata, ossia quando acquistò il feudo allodiale di Orta. Il possesso cessò con l’entrata in vigore della legge del 21 maggio 1806. I suoi successori si distinsero per le loro gesta eroiche; suo figlio Riccardo, terzo duca di Sangro sposò Maria Argentina Caracciolo, che ereditò il titolo di duchessa di Martina Franca dopo l’avvenuto decesso della madre, Francesca del Giudice Caracciolo. Il nome di Riccardo  è legato ad una rapida carriera militare. Il sovrano dopo la Restaurazione, per dimostrargli riconoscenza per la sua fedeltà, promosse Riccardo tenente colonnello del primo reggimento Lancieri. Riconoscimenti gli furono conferiti nel 1843 con l’investitura di cavaliere dell’Ordine di San Gennaro. Ferdinando II, che lo volle al suo fianco nel maggio del 1848 durante la campagna nello Stato Pontificio, il 15 giugno 1849 lo promosse Generale. Nel 1855 Riccardo de’ Sangro fu nominato maresciallo di campo ed aiutante del re ed ebbe il comando della divisione di cavalleria leggera e delle Guardie d’Onore; nel maggio del 1859, durante gli ultimi giorni di vita del re Ferdinando II, egli fu il suo più assiduo assistente. Confermato in tutte le sue cariche dal nuovo re Francesco II, lo seguì a Gaeta, imbarcandosi con lui il 6 settembre 1860 sulla nave Saetta. L’8 ottobre 1860, per premiare il suo fedele attaccamento, il giovane sovrano lo promosse Tenente Generale. Nel castello di Gaeta, assediato dalle truppe piemontesi, contrasse il tifo, ma salì agli onori della cronaca con il titolo di difensore di Gaeta.

Durante il secondo conflitto mondiale, il suo omonimo Riccardo de’ Sangro diede alloggio nella sua villa di Ravello a Vittorio Emanuele III e alla regina Elena. Nel dopoguerra, insieme ad alcuni membri dell’aristocrazia napoletana, tra cui la nipote Maruska Monticelli Obizzi di Sangro, figlia della sorella Isabella, egli contribuì alla ricostruzione del patrimonio artistico del Museo Filangieri danneggiato dalla guerra.

Nel 1978 un altro  Riccardo, seguendo l’esempio dello zio, donò al Museo Duca di Martina di Napoli quel che restava della collezione di ceramiche ed altri oggetti in suo possesso, appartenuti a Don Placido de’Sangro, duca di Martina, integrando, così, la pregevole e cospicua collezione dell’antenato.

Oggi la linea maschile dei duchi de’ Sangro è estinta. Prosegue in quella femminile, rappresentata attualmente dai pronipoti di Riccardo, i nobili Notarbartolo e Parisi Avarna.  

    

RAIMONDO, IL PRINCIPE DI SANGRO PIù FAMOSO  

Il più noto esponente della linea primogeniturale di questa illustre casata, che senza dubbio lasciò un ricordo indelebile, fu Raimondo de Sangro, principe di San Severo. Esimio letterato, esperto nelle arti e nelle scienze, si distinse per la sua perizia nel progettare e dirigere opere di architettura militare e fu tenuto in gran conto dai regnanti d’Europa. La cappella del principe, intitolata a Santa Maria della Pietà, fu decorata con colori preparati dallo stesso Raimondo, che nel 1753 fece scolpire dal Sanmartino il “Cristo velato” che rese celebre la cappella in tutta l’Europa. Il procedimento per marmorizzare il velo del “Cristo” e la rete che ricopre la statua del “Disinganno”, collocati nella cappella, fu opera di Raimondo il quale, grazie a un complesso procedimento chimico, riuscì ad ottenere su queste opere gli effetti ottici di particolare suggestione. Nel succorpo della cappella sono tuttora custodite le famose macchine anatomiche che nel 1764 Raimondo fece costruire dall’anatomopatologo Giuseppe Salerno, utilizzando scheletri umani autentici con spago, cera e filo di ferro per ricostruire il sistema circolatorio, da mostrare ai medici dell’Ospedale degli Incurabili affinché non incorressero in  errori dovuti alla loro scarsa conoscenza dell’anatomia.

Molti altri furono i successi di Raimondo de’Sangro in campo alchimistico e scientifico: inventò particolari tipi di inchiostro indelebile (utilizzati poi nella sua stamperia) e complessi sistemi per la costruzione di un teatro pirotecnico. Praticò l’esoterismo e fu anche in grado di predire la propria dipartita. Negli anni compresi tra il 1750 ed il 1759, Raimondo si lasciò convincere da Guglielmo Moncada a far parte della massoneria, vi entrò nel giugno 1750 e fu riconosciuto “gran maestro”; fu lui a suddividere i massoni partenopei nelle distinte logge “di Sangro”, costituita da nobili e “Moncada”, composta da borghesi e commercianti. Avversato dai Gesuiti, dopo alterne vicende, Raimondo decise di lasciare la massoneria, ma i confratelli lo accusarono di aver rivelato la loro identità al sovrano. Ingiustamente.

      

   

          

©2008 Teresa Maria Rauzino

     


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