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             MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 23


 

   

      

Se dovessimo credere a tutto quanto raccontarono dei Mongoli – nelle Terre Russe li chiamavano meglio Tatari – le fonti russe (beninteso però, anche quelle dell’Europa Occidentale benché da questa parte li conobbero solo occasionalmente) o come i “testimoni oculari” del tempo li hanno dipinti, saremmo costretti ad immaginare questi uomini come mostri bruttissimi e crudelissimi, mentre in realtà erano soltanto dei nomadi alla conquista di un Nuovo Mondo, rappresentato dall’Europa e dai paesi asiatici vicini, come la Cina, un po’ più avanti di loro, dal punto di vista tecnologico e culturale.

A quanto sembra il nome Tatari si riferisce ad un’antica denominazione di alcune tribù mongole o turche che Cinghiz Khan nel 1202 aveva vinto e concretamente distrutto. Tale nome era stato poi affibbiato ai Mongoli mentre muovevano verso ovest, dagli altri nomadi che man mano si scontrarono con loro.

Non solo! Secoli dopo la morte del grande Cinghiz Khan e cioè nel secolo XIV, di Mongoli veri e propri a Sarai ne erano rimasti ben pochi: soltanto alcuni membri della casta dominante erano veri discendenti di quel sovrano, mentre quelli che li circondavano, a loro alleati o soggetti, appartenevano a tutt’altre stirpi, compresi anche i Russi!

Di sicuro possiamo capire l’atteggiamento particolarmente ostile dei contadini slavi della Pianura Russa, quando vedevano le proprie terre calpestate e desolate anche da questi stranieri di fede diversa. Bisogna tuttavia subito dire che i Tatari furono indicati al popolo dagli ecclesiastici non solo come degli odiati oppressori, ma come la rappresentazione del diavolo in persona. Furono proprio i preti che tramandarono le notizie più odiose, affinché la gente vedesse nei Tatari gli unici loro nemici e individuasse nella loro presenza i motivi per cui i principi russi litigavano continuamente!

Le Cronache, che sono le nostre fonti più importanti della storia russa, si scrivevano nei monasteri e si leggevano nelle corti e il loro contenuto perciò non era solo una descrizione di avvenimenti, ma un’interpretazione degli stessi nel quadro della cultura biblico-cristiana in cui i Tatari impersonavano i popoli di Gog e Magog, ossia il principio della fine del mondo o persino l’Anticristo, secondo l’Apocalisse di San Giovanni!

Nelle cronache e negli scritti edificanti della Chiesa Russa, addirittura, si insinuava nella mente di chi le leggeva o le ascoltava una specie di progetto politico, concepito contro questi Tatari (e il resto dei popoli non cristiani con loro alleati), che aveva come scopo ultimo l’unificazione di tutti i credenti in una sola nazione con una figura di principe santo condottiero a capo di un immaginario popolo russo trionfante... se non si voleva fare la fine dei popoli conquistati e passati ad altre fedi odiose!

è dubbio però, ripetiamo, che la gente semplice percepisse i Tatari come degli oppressori peggiori dei propri principi, visto che questi ultimi erano da sempre degli sfruttatori ben più assillanti rispetto ai Tatari, arrivati da poco.

Purtroppo la storia non è fatta solo dagli eventi e dalle persone che li vivono, anzi! è fatta da chi la racconta! E così, ogni fatto passa attraverso la vita della maggioranza degli uomini senza che questi nemmeno se ne accorgano, posti, come talvolta sono, ai margini, e solo le imprese e gli interessi del gruppo di persone al potere vengono esaltati e tramandati.

Per questi motivi nel XIV secolo non è molto evidente che le relazioni coi Tatari fossero in generale molto peggiorate rispetto ai secoli precedenti, quando era cominciata la soggezione al loro potere. Se da una parte i principi russi riuscirono ad ottenere che non fossero più richiesti troppo spesso dei contingenti per prender parte alle spedizioni militari tatare fuori della Terra Russa, risparmiando in tal modo molte vite rispetto al passato, dall’altra comunque quegli stessi principi non riuscirono a risparmiare al popolo minuto molte altre corvées, da eseguire gratis per questi signori stranieri, ma… assolutamente non peggiori o pesanti di quelle già dovute al principe russo o ai signori bojari, altrettanto gratuitamente!

Nelle città dunque cominciò a respirarsi una certa atmosfera di paura latente, quando si parlava dell’imminente arrivo dei messi di Sarai. Allora tutta la città cadeva in preda al panico e tutti si chiedevano in quei tristi momenti: perché i Tatari sono qui? Che cosa vogliono ancora da noi? Che altre sofferenze apporteranno alla città e alla campagna? Quando arrivavano questi funzionari, i baskaki, intanto, tutta la popolazione, sia della città sia dell’hinterland, era obbligata (primo fra tutti, logicamente il principe locale) ad ospitarli insieme con il loro, numeroso, seguito per tutto il periodo del soggiorno e dopo ogni visita la gente ne usciva dissanguata e impoverita e, in più, umiliata senza ritegno.

Quest’obbligo dell’accoglienza gratuita, chiamato jam, però, ripetiamo, era uno fra i tanti torti subiti di malavoglia… ma che servì all’élite russa al potere per spargere il seme giusto fra la gente della campagna, creando entusiasmo proprio quando si andò alle guerre contro i Tatari, sebbene si andasse anche incontro alla morte.

Quelli che qui chiamavano Tatari dunque non erano che Turchi dell’Asia Centrale mescolati ai discendenti delle popolazioni finno-bulgare del Volga o di quelle dell’Anticaucaso, che le Cronache Russe conoscevano da sempre sotto i nomi più diversi di Peceneghi, Jasi e soprattutto, gli ultimi arrivati dall’est, i Kipciaki, che lo storico L. Gumiljov, a ragione, identifica con i Cumani delle fonti latine e i Polovzi delle fonti russe, ai quali abbiamo accennato parlando dell’origine della famiglia Veljaminov.

Certo il ritratto che noi abbiamo del Tataro che frequentava le città russe come ambasciatore o collettore di tasse, è il ritratto di uomini con gli occhi a mandorla, con i baffi cascanti e pochissimi peli sul viso, capelli neri e lisci, statura bassa e gambe ad arco, che sembravano vivere in simbiosi col proprio cavallo, molto simili a coloro che secoli prima erano stati descritti col nome di Unni.

Questi tipici mongoli però erano però i “capi” del gruppo, mentre, ripetiamo, di tutt’altra origine e aspetto era il resto della gente dalla quale erano accompagnati.

C’erano addirittura fra di loro molti che avevano i capelli rossi o biondi come la paglia (di qui il nome russo di Polovzi) e, con i loro occhi chiari e il naso all’insù e la carnagione chiara, era persino difficile distinguerli dai russi…

A parte l’aspetto fisico, i nomadi della steppa avevano visto da sempre la civiltà russa formatasi dopo il Battesimo del 988 d.C. e dunque la prima parte d’Europa coi quali essi venivano a contatto, come un modello di civiltà superiore, da imitare in tutti i sensi.

La Terra Russa era, infatti, la Porta d’accesso nella Favolosa Civiltà Cristiana!

In alcuni rapporti fatti da viaggiatori musulmani del tempo, che con i Tatari ebbero più intensi scambi di altri, si sentono sovente parole d’elogio e d’ammirazione per i Russi che si trovavano a Sarai e di come loro vestono, per gli oggetti che usano o per i capolavori che i loro artisti producono nelle loro apprezzatissime botteghe. Insomma possiamo dire che la generazione degli artigiani, venuti al seguito del primo vescovo ortodosso russo autorizzato ad aprire una chiesa nella città, ormai era ben inserita nel resto della popolazione e lavorava a pieno ritmo per la corte del khan!

A Sarai infatti, dopo i primi scontri e le prime incomprensioni, molta ammirazione rimase per i Russi e per quanto loro sapevano fare. In fondo in fondo si volevano questi più come alleati che come sudditi passivi e si concesse loro, sin dai tempi di Alessandro Nevskii, di avere un proprio quartiere con chiesa e negozi artigiani propri nella capitale tatara.

In verità i Tatari si comportavano con grandissima tolleranza verso questi sudditi e la loro fede russa, come veniva chiamata l’ortodossia (rùsskaja vera) e addirittura il vescovo di Sarai, benchè dipendente dall’eparchia di Rostov-la-Grande e di tendenze un po’ nestoriane, ormai dall’anno della sua istituzione (1261) era considerato un’alta autorità cittadina.

Nel XIV secolo inoltre, anche le spedizioni punitive si erano rarefatte e non solo a causa degli impegni militari di Sarai oltre il Caucaso e nell’Asia Centrale…

Allora che cosa non funzionava nei rapporti coi Tatari-mongoli?

Sarai era stata fondata dal khan Batu verso la fine del XIII secolo, molto probabilmente non lontano dalla favolosa capitale cazara di Itil, su uno dei rami paralleli del basso Volga. Abbiamo detto probabilmente, perché il terreno della zona è molto instabile giacché il grande fiume qui si sdoppia in molte correnti parallele, formando paludi e marcite a non finire. In più il livello delle acque del Caspio, periodicamente oscillante, ha tutto sommerso e distrutto con il passar degli anni, e, a causa di ciò, pochissime sono le tracce della città tatara rimaste per l’archeologo.

Nel XIV secolo Sarai era comunque riconosciuta come capitale della cosiddetta Orda d’Oro, uno stato abbastanza prospero e rispettato, secondo gli standard del tempo.

Il nome di Orda d’Oro era quello che le tribù turche, specie quelle dei Kipciaki, arrivati dall’Asia Centrale un secolo e mezzo prima, davano alla loro steppa fin sotto la riva destra del Volga (ordu in turco significa accampamento, distesa di terra). Questo enorme territorio era ora governato dai Tatari della Mongolia, ormai dai lontani tempi di Batu.

L’economia dell’Orda era basata sul nomadismo e perciò sull’allevamento, specie dei cavalli che si vendevano molto bene e con la conquista della Bulgaria (del Volga) e dei principati russi, il commercio adesso aveva preso un nuovo slancio. Il traffico dei prodotti provenienti dalla foresta russa (ripetiamo, molto richiesti e di altissimo valore), passava ora per i fiumi dello stato tataro, prima di proseguire lungo la Via della Seta, e, come abbiamo già accennato, il pagamento dei dazi e delle tasse di passaggio arricchiva Sarai, oltre al tributo regolare annuale fissato sui popoli soggetti.

Possiamo aggiungere che persino la lingua mongola era stata quasi dimenticata dalla nobiltà di Sarai, mentre l’Orda si avviava a diventare uno stato… a dominanza turca kipciaka! Inoltre, attraverso l’alleanza con l’emiro d’Egitto e l’espansione dell’Islam, tutto si stava rapidamente modernizzando.  

Sarai, quella chiamata di Batu, aveva visto molti sovrani salire sul suo trono. Dopo la morte di Batu e dei figli di questi, Sartaq e Ulaqci, diventò khan il fratello Berke, che si convertì all’Islam già nel 1313. Sappiamo che dopo di lui regnarono i nipoti e durante il regno di uno di questi, il potere passò nelle mani di un vecchio generale di Batu, il potentissimo Nogai. Solo nei primi anni del XIV secolo il khan in carica Toqtai si liberò finalmente dei numerosi e opprimenti parenti di Nogai, quando li deportò parte in Crimea e parte li vendette come schiavi all’emiro d’Egitto.

La situazione della città di Batu però ad un certo momento dovette risultare molto sfavorevole, probabilmente dall’innalzamento del livello delle acque del mar Caspio. Infatti, se d’inverno la zona era abitabile, anche se fredda, l’invasione delle acque creò sempre più paludi tanto che d’estate i miasmi erano micidiali e non permettevano assolutamente di risiedervi a lungo, se non a costo della vita (a causa della malaria). Così nel 1315, la vecchia Sarai fu abbandonata e fondata la nuova Sarai dal khan Uzbeg (Özbeg), qualche centinaio di chilometri più a nord, in zona più salubre, più a monte sul corso del Volga e più centrale rispetto ai territori assoggettati. Questa volta si costruirono persino mura con i mattoni (non cotti!), abbandonando lo stile della vecchia città, fatta principalmente di jurte (tende circolari di feltro tipiche del Centroasia) persino seminterrate.

è probabile che lo spostamento della capitale più a monte, ai confini della steppa con la foresta, fosse dovuto anche a ragioni strategiche e militari oltre che “sanitarie”, in quanto sappiamo che in quegli anni era sorta una nuova realtà politica che concorreva, ora, con l’Orda per il potere nell’Asia Centrale: Samarcanda nella Choresmia, ormai guidata dal suo emiro musulmano Timur lo Zoppo (il Tamerlano, conosciuto nelle Cronache russe col nome di Temir Aksak).

La città nuova, meglio conosciuta come Sarai Berke, era divisa in settori per le etnìe più importanti che la frequentavano o la abitavano e quindi si ricostituì ancora una volta il Quartiere dei Russi con la propria chiesa e i propri mercati etc. La città che apparve agli occhi di Ibn Battuta, famosissimo e coltissimo viaggiatore marocchino di Tangeri, fu descritta come segue (ca. 1333):

«è una delle più belle città del mondo che occupa un’area immensa con bei mercati e larghe strade. Per aggirarla tutt’intera è necessario un intero giorno dal primo mattino fino al tramonto del sole. Ed essa è tutta un susseguirsi denso di case fra le quali non c’è neanche uno spazio per orti o aree lasciate vuote. In essa si trovano ben 13 moschee principali senza appunto contare quelle minori. La popolazione è formata da mongoli, alani, circassi, kipciachi, russi e greci. Vi si incontrano mercanti dai due Iraq (Persia e Iraq attuale), dall’Egitto, dalla Siria e da altri paesi. Il palazzo del khan viene chiamato Altyn Tash (in turco Pietra d’Oro, perché doveva essere l’unico palazzo-jurta ricoperto con foglia d’oro, com’era solito presso i nomadi della steppa)».

Questa città, i cui resti probabilmente sono le rovine rinvenute nei pressi dell’attuale villaggio di Selitrjonoje sul Volga, ebbe un grande ruolo nella nostra storia e per questo è stato bene descriverla – per quanto possibile – un po’ meglio, affinché il lettore non continui a credere che i Tatari fossero solo dei selvaggi disorganizzati e che i russi dei prigionieri temporanei dentro le mura.

Per curiosità del lettore, possiamo qui dire che i reperti archeologici di alcune grosse ruote di acciaio ci dicono come Sarai fosse fornita di un sistema di canali a portata forzata che forniva l’acqua corrente fin dentro le case e le officine, dalla diga posta fuori città!

Dunque nel periodo che stiamo raccontando l’ulus (in mongolo casa, stato) cosiddetto di Giöci ereditato da Batu, risultava distribuito lungo il bacino del Volga ed inoltre verso occidente fino ai Carpazi. Al di là del bacino del fiume Ural (chiamato allora Jaik) c’era invece l’Orda Bianca o Aq Ordu o Orda di Scianghan. Questi “colori” in realtà corrispondono ai punti cardinali, come questi erano espressi dai Tatari. I contemporanei chiamavano poi l’Orda di Batu col nome di Orda d’Oro benché la ragione di tale epiteto sia strana. Forse a causa della sua potenza o per il suo sviluppo culturale o forse anche per il buon foraggio che si trovava nelle steppe ucraine, a sud di Kiev.

Nella nuova Sarai l’Orda, dopo essere stata per quasi trent’anni nelle mani del clan di Nogai, ritornava dunque di nuovo nelle mani della famiglia legittima di Batu e di Berke e il nuovo signore, Uzbeg, proprio negli anni che a noi interessano, farà di tutto per affermare la propria autorità su tutti i principi suoi sudditi, russi compresi, data la nuova visione del mondo suggerita dalla religione islamica, ormai affermatasi fra i tatari. Né dobbiamo pensare che questo sovrano fosse assolutamente slegato dal resto d’Europa. Anzi! Fra le sue mogli c’era persino una figlia dell’Imperatore Romano Andronico III Paleologo!

Sarai dunque era una capitale internazionale e di qui il khan mandava i suoi baskaki nelle città soggette per raccogliere lo jasak, di qui partivano i suoi generali per le sempre più frequenti spedizioni punitive. Anzi, si ripristinò il servizio di posta e si riorganizzarono le reti di spionaggio di uno stato efficiente affinché tutto fosse sotto il controllo del khan.

Se osserviamo ora le zone intorno a Sarai possiamo subito notare che la città, quasi come Kiev, si trova al confine fra la steppa e il deserto dopo di questa e che quindi è un nodo di passaggio molto importante da est ad ovest. Al nord, dove si trovano la Terra dei Bulgari e quella dei Russi ed oltre la fitta rete di fiumi, si estendono le immense foreste che, al tempo della nostra storia, rappresentavano la fonte primaria della ricchezza materiale della zona e una ragione di vita per l’economia dello stato tataro, benché restassero un’impenetrabile barriera militare!

Se dalle foreste si ricavavano, come abbiamo già detto, legno per le costruzioni, miele e cera, preziosissime pellicce, dai russi arrivava anche un massiccio flusso di schiavi, la tradizionale forza lavoro e industriale nel mondo medievale, e, non solo come prigionieri di guerra, ma perchè comprati ancor bimbi dai contadini, quando questi, non potendo mantenere tanti figli, li vendevano volentieri ai mercanti.

Una cosa è notevole: i Tatari non ebbero mai in mente un piano di trasferimento di massa nella Bassa, come lo avevano avuto molti anni prima i Peceneghi, i Bulgari o gli Ungheresi, migrando verso la Penisola Balcanica o in Cina con la fondazione della dinastia Yuan. Come mai? Evidentemente perchè consideravano questo territorio in assoluto non adatto al loro modo di vita, abituati com’essi erano ai grandi spazi e alla vita stagionalmente migrante oppure perché in fondo disprezzavano quella civiltà contadina, come corrotta e corruttrice dei loro costumi tradizionali.

Per quest’atteggiamento è comprensibile che il rapporto “tenuto da lontano” con gli orgogliosi e litigiosi principi russi divenisse un grosso problema politico per i Tatari, divisi fra il mantenere buoni rapporti con costoro, controllando che i loro commerci non deviassero, e l’arginare la loro sete di un’indipendenza politica. Bisognava pertanto tenersi sempre al corrente di quel che succedeva nella Bassa, in particolare per governare meglio qualsiasi situazione e scegliere bene il principe amico o quello nemico, per poi montarli l’uno contro l’altro, prima di intervenire direttamente a spendere energie proprie.

I Tatari scelsero dunque di avere un capo baskak che risiedesse permanentemente a Vladimir e costringere i principi russi, considerati tutti allo stesso modo loro interlocutori diretti, a recarsi spessissimo presso la corte tatara per ogni questione o giudizio o per impetrare favori o, somma offesa, per comprare il famigerato jarlyk che li confermava al potere nei loro udel.

Non sempre però Sarai capì come comportarsi con i russi per piegarli ad una politica “pan-tatara”, né i Tartari furono capiti dai molti principi russi, giovani impetuosi ed inesperti, i quali, litigando sovente con i loro conquistatori, in moltissimi casi giunsero a situazioni talmente conflittuali nella stessa Sarai, da arrivare addirittura a fatti di sangue mortali!

Andare a Sarai, a quel tempo, diventò proverbiale e nella Bassa si diceva: Vicino al principe, vicino alla morte! Intendendo così che al seguito del principe che va a Sarai, nessuno sa se ritornerà vivo, perché dai Tatari… si va o per litigare o per essere messi a morte!

Ecco spiegata perciò la precauzione presa da Giovanni il Borsello, quando fa testamento, prima di partire! Ha paura di morire, andando a Sarai, a causa dei tanti intrighi nei quali si è impelagato e sicuramente molti, Russi o Tatari che siano, stanno già affilando le armi contro di lui…

In quel documento Giovanni avverte però, molto chiaramente, i suoi figli di non ribellarsi al volere del khan, nel caso che questi avesse assegnato un villaggio o una provincia ad altro principe invece che a loro, ma di rassegnarsi e ridistribuirsi le città rimaste, per evitare conflitti e sanguinose faide inutili. Insomma: Figli miei! Convivete con questa soggezione al khan tataro e pensate solo a vivere bene!

Questa è la situazione, quando Uzbeg muore nel 1340 e gli succede il figlio Gianibeg.

L’Orda d’Oro ormai era completamente indipendente dalle altre parti dell’immenso, ma frammentato, Impero Gengiskhanide e gli accordi fatti già da Berke col sovrano mammelucco dell’Egitto, Baibars (il vero fondatore di questa dinastia turco-mongola in Egitto e di stirpe cumana), e coi genovesi presenti in Crimea, ne avevano accresciuto la potenza e aumentato le entrate. Il nome d’Uzbeg era diventato così famoso e apprezzato che un intero popolo lo adottò per sempre, dopo la sua morte: gli Uzbeki d’oggi!

Uzbeg aveva seguito la politica di collaborazione internazionale con le nazioni di potenza giudicata pari alla sua. Aveva permesso ulteriormente ai veneziani, quali sudditi di Bisanzio, di aprire un loro emporio sul Mar d’Azov, La Tana, per cui, benché le fonti russe facciano apparire le relazioni dei tatari con gli occidentali in maniera non molto amichevole, in realtà le cose andavano in modo più articolato e complicato.

Sia veneziani sia genovesi poi erano i grandi mercanti di schiavi del tempo (specialmente di quelli bambini provenienti dalla Terra Russa) e i loro traffici, coi dazi che pagavano (in schiavi e in oro), facevano molta gola a Sarai…

Nella nostra storia la schiavitù ha un ruolo importante in molti degli avvenimenti che narreremo, poiché sono gli schiavi che costituiranno il tessuto demografico della nuova Russia e della nuova etnìa che si chiamerà Grande Russa!  Sappiamo, ad esempio, che il Principe di Mosca ne riscatterà a migliaia, presso i Tatari, per popolare meglio Mosca e dintorni. Questi “riscattati” costituiranno poi la grandissima parte di quell’incredibile numero di giovani che Demetrio metterà in armi nella Battaglia del Pian delle Beccacce... uomini di “sua proprietà”, per la vita e per la morte!

Inoltre, proprio per una questione di schiavi, sul Mar d’Azov, sotto la fortezza genovese di Caffa (oggi Teodosia), simbolicamente legata a questo commercio, inizia la tragedia della Morte Nera che infetterà l’Europa intera.

E vediamo che cosa accadde in questo frangente. La storia dell’infezione era cominciata quando c’erano stati casi di morìa di bestiame nelle steppe ucraine e anticaucasiche. I nomadi locali impoveriti a causa di ciò avevano svenduto, per sopravvivere, le loro bestie per pochi soldi ai genovesi.

Non solo! Anche i figli giovani dei nomadi erano stati venduti per la stessa ragione. Purtroppo per il modo di sentire nomade la vendita dei figli era stata una necessità così estrema ed umiliante (gli schiavi fra la loro gente si acquisivano solo come bottino di guerra e l’Islam, inoltre, non permetteva maltrattamenti alle creature di Dio!), che non l’avevano più dimenticata e coloro che avevano comprato i loro figli erano perciò considerati dei veri mostri umani, dai quali è meglio sfuggire e dei quali vendicarsi alla prossima occasione. E l’occasione si presentò quando, Gianibeg decise di punire i genovesi di Caffa, imponendo loro di lasciare la città.

I genovesi avevano previsto una tale eventualità. Se tutto fosse andato male, infatti, avevano sempre una flotta ben armata a disposizione! Erano dunque pronti a partire in qualsiasi momento, al contrario dei Tatari che, più preparati a battersi sulla terra ferma, non avrebbero potuto nemmeno inseguirli sul mare per recuperare il mal tolto. La fortezza di Caffa inoltre, fatta di pietra, era difficilmente prendibile da parte dei Tatari, allenati alla guerra mobile, per cui alla fine l’assedio posto da Gianibeg sembrava veramente destinato all’insuccesso. Ed ecco che nelle file tatare scoppia la peste!

Gianibeg, ormai rassegnato a non poter prevalere sui Genovesi per riprendersi la città, visto che erano finiti i proiettili da lanciare contro le mura, prese una decisione alquanto insolita: ordinò di lanciare contro le mura i cadaveri dei suoi soldati appestati e così Caffa dopo qualche giorno cominciò ad essere spopolata proprio dalla peste. Vista la mala parata, i Genovesi superstiti s’imbarcarono sulle loro navi e fuggirono a Costantinopoli con tutto quello che poterono salvare, abbandonando Caffa ai Tatari.

Non l’avessero mai fatto! A Costantinopoli arrivò una ciurma infettata dalla terribile malattia che naturalmente dilagò in tutta la città in brevissimo tempo.

Attenzione! Quanto abbiamo raccontato è il riassunto di quello che un notaio di Piacenza, certo Gabriele de Mussis, che viveva a Caffa in quei giorni, ci lasciato scritto nelle sue carte con grande vividezza. Tuttavia in realtà l’epidemia non era stato un episodio improvviso perché essa aveva origini molto lontane. Pensate! Era stata descritta qualche mese prima, al suo dilagare in Cina, prima di passare fra i nomadi in Asia Centrale…

A parte, però, la peste, che alla fin fine per il momento rimase circoscritta nei territori dell’Orda indebolendola materialmente, lo stato tataro soffriva di quella decadenza tipica degli stati giunti ormai all’acme dello sviluppo possibile e la situazione dopo l’ondata di morte a Sarai continuò a diventare  ancora più instabile.

E vediamo quel che accadde.

Il figlio di Gianibeg, Berdibeg, uccide suo padre e s’impadronisce del potere, ma muore un anno dopo allo stesso modo, nel 1341. Il posto di Berdibeg viene preso da un certo Kulpa che, avendo sposato probabilmente una cristiana, ha due figli battezzati tanto che, quando ciò si viene a sapere in Terra Russa, si risveglia la speranza di una relazione più conciliante con l’Orda. Purtroppo anche Kulpa e i figli vengono uccisi da un certo Nauruz, di discendenza Cinghizkhanide e di fede musulmana, e i sogni dei principi russi svaniscono.

Ed eccoci al tempo della morte del principe Andrea (1353) che sarebbe dovuto succedere a suo fratello Giovanni il Rosso, sul trono di Mosca…

   

            

    

©2005 Aldo C. Marturano

   


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