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   MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 70


Qualche parola sulla caduta di Kazan e la sua incorporazione nell'Impero Russo

   

Nella Russia moscovita in quegli anni della seconda metà del XVI sec.  era ancora in uso l'antica tattica colonizzatrice variaga di circondare per poi costringere cittadine e villaggi abitati insieme da Tatari e Ugro-finni ad accettare la sudditanza con la forza. Tale tattica si era rivelata spessissimo inefficace quando la sudditanza era imposta da Mosca e la gente della riva sinistra del Volga all'arrivo delle truppe russe se ne fuggiva perlopiù nelle fitte foreste lasciando gli abitati deserti.

L'altro metodo di assoggettamento più sistematico era quello in grande auge nel XV sec. ossia fondare conventi e attirare i locali con l'esempio monacale del vivere in semplicità coltivando e zappando i campi ricavati deforestando l'area col taglia-e-brucia e con grave danno economico per i cacciatori e per i raccoglitori. Inscenare le divertenti liturgie ortodosse a volte indispettiva i locali e la Chiesa doveva ricorrere nei casi di ostinata resistenza alle truppe armate.

Insomma alla fine nel 1541 si dové riconoscere che una colonizzazione non era facile da condurre nelle terre di Kazan e un progetto penetrativo composito nella realtà multietnica di quelle regioni era troppo lento da realizzare con la limitatezza dei mezzi del tempo e la pochissima conoscenza del territorio. E così invece della russificazione graduale o provvisoria e di un'accettazione di sudditanza in attesa dell'evangelizzazione si decise di affrontare gli allogeni in maniera più sbrigativa ossia a far piani per una conquista militare e all'imposizione della religione cristiana senza mezzi termini, ma con relativa distruzione di ogni segno esteriore di paganesimo o di islamismo. Conversione e battesimo assimilavano automaticamente gli individui al progetto imperiale al di là delle consuetudini particolari e delle lingue diverse e ciò portò logicamente a qualche successo e come era già accaduto precedentemente in altre regioni d'Europa, i sudditi conquistati alla fine erano cristianizzati per metà dietro la maschera del Dvoevèrie o Fede doppia a cui abbiamo accennato precedentemente.

Di tal genere fu l'assimilazione etnica dei Ciuvasci concentrati sulla riva destra di fronte a Nižnii Novgorod e attuata in quella fine del XV sec. Benché ci manchino i documenti necessari per provarlo appieno, aggiungiamo che la loro specializzazione nella lavorazione dei metalli servì a Mosca da punto di forza per la militarizzazione della zona poiché con un tale artigianato si aprivano in campo militare e di fornitura di armi delle possibilità di manovre molto più ampie e più incisive nell'arte della guerra.

Malgrado tutto, lo slogan del XV-XVI sec. era chissà: I Tatari sono infedeli e più ricchi e vanno dapprima conquistati e subito dopo evangelizzati! e il progetto di spedizione militare alla conquista di Kazan non decadde mai. Tuttavia col fatto che ogni tentativo finora fatto non aveva conquistato o incorporato granché del dominio tataro del Medio Volga nel futuro Impero Russo, la questione era ormai diventata più ideologica che militare o economica o che altro e in conclusione appare chiaro che le scorrerie continuarono senza sosta perché mettevano in crisi il traffico commerciale e rendeva Kazan ricattabile dal punto di vista economico. Contro gli sforzi della Crimea e dell'Orda di Nogai, il Volga soffriva per l'insicurezza delle strade di terra lungo l'asse nord-sud delle sue rive oltre che a causa di accordi non durevoli fatti dai Nogai stessi sulla frequentazione dei mercati internazionali. Artigiani e mercanti insoddisfatti si erano accresciuti nel numero e nell'irritazione contro Safa Girei che non riusciva a migliorare la crisi economica e spingeva molti di loro a chiudersi in fazioni che premevano per relazioni più pacifiche con Mosca, come unica via d'uscita. In più morta Elena Glinskaia era possibile ora colloquiare meglio con i boiari della Duma mettendosi al loro servizio. Cominciarono le visite personali di mercanti e di capetti (murzà o mirzà) e molti di essi da visitatori trovarono addirittura conveniente risiedere a Mosca per sempre chiedendo di essere accolti in appositi rioni con una relativa autonomia (slobody) e, magari, con un compenso regolare (žàlovan'e) per il mantenimento della fedeltà a Giovanni IV.

Non solo! I potenti dei Nogai contando sulla minore età di Giovanni, consideravano il sovrano moscovita un loro sottoposto, sebbene non musulmano, e lo trattavano da tale. In ragione della sua ascendenza si sparse persino la voce che lo si potesse contare fra i cinghizidi dai quali discendeva sua madre Elena Glinskaia e alla fine sotto l'egida dei Nogai il mondo tataro cercava di sfruttare le potenzialità economiche di Mosca costringendo Giovanni in politiche incostanti.

Che fare? Non andò avanti per molto e il risultato fu che non restava che pianificare meglio la conquista militare della maggiore città tatara, magari con la conservazione dell'élite pro-moscovita e sperando in un ruolo importante dei Tatari di Kasimov. Si sperava pure che, scomparendo il Khanato di Kazan indipendente, sarebbe stato più facile imporre il potere moscovita nel resto del territorio giù a valle fino al delta del Volga dove lo sguardo avido della cricca di Mosca si era appuntato da tempo e che ora era in mano ai Nogai.

La realizzazione e il lavoro preparativo e esecutivo della conquista furono così affidati a Giovanni Šuiskii, il riurikide parente più influente al governo di Nižnii Novgorod, affiancandogli Šah-Ali per la collaborazione strategica e per l'istruzione del personale tataro in servizio.

Da qualche tempo giungevano informazioni che a Kazan esistesse un gruppo di dissidenti ostili a Safa Girei pronti a metter fuori gioco quest'ultimo con l'aiutino di Mosca e i boiari avevano colto subito la palla al balzo consigliando il giovane sovrano di far affrettare Šuiskii a scendere in campo. Costui, dopo aver ascoltato le varie voci, convinto che il momento era propizio per il colpo finale (1545) comunicò la sua prontezza a Giovanni IV con in più le solite millanterie e ottenne da lui il pieno consenso e la responsabilità politica del sovrano dell'imminente azione militare.

Naturalmente occorreva preparare pure la popolazione tatara sul territorio vagliando l'affidabilità delle persone prezzolate per evitare gli errori del passato, mentre per l'aspetto strettamente militare si optò per l'attacco dal fiume invece che ricorrere alla cavalleria da movimentare sulla terra. Il terreno era considerato insicuro dagli agguati nemici e se non arrivava il momento stagionale giusto. Nella base di Vasilsursk si sarebbero concentrate le forze disponibili e di qui sarebbero salpate finalmente le navi, con armi e armigeri alla volta di Kazan.

Logicamente gli uškuiniki di Viatka ancora attivi come volontari (nel 1479 Giovanni III li aveva dichiarati fuori legge nella loro organizzazione originaria) furono sollecitati da Šuiskii a schierarsi con Mosca e fu affidato loro addirittura il compito di ostacolare e mettere nell'impotenza i Tatari che vivevano fra le popolazioni Komi (allora chiamate Ceremissi nelle aree oggi parti delle repubbliche federali russe di Komi Mu e Mari El). Anzi! Si può dire che i primi attacchi nella regione (1542) furono forse delle prove attuative del piano moscovita contro Kazan.

Si costituirono alla fine tre armate imbarcate di cui la più grossa era quella di Nižnii Novgorod.   Si cercò di fare i preparativi in gran segreto e, quando le tre armate si mossero contemporaneamente verso la confluenza del Kama col Volga per poi risalire il fiume Kazanka, alla festa di san Giovanni si trovavano più o meno sotto Kazan.

Quell'appuntamento rientrava a puntino nei piani. Si sapeva che ogni anno i Tatari di Kazan festeggiavano la loro entrata nell'Islam del 921 d.C. e la città rimaneva sguarnita poiché gli uomini si riunivano con gli anziani in assemblea (in tataro Cien) fra le rovine di Bulgar-sul-Volga sia per ribadire o risolvere questioni generali sia per celebrare l'unità dei popoli tatari come si fa più o meno ancora oggi in Tatarstan e in Baškortostan.

Le CTP come ben sappiamo sono state scritte certamente per lasciare una tradizione di storia ai propri credenti ortodossi, ma in forma abbastanza romanzata affinché la lettura risulti piacevole per cui è logico aspettarsi che certi aspetti degli eventi siano messi in maggior evidenza di altri per solleticare la curiosità e l'attenzione dell'ascoltatore. Nel nostro caso qui si racconta che nell'assalto a sorpresa del 24 giugno 1545 ben 3000 Tatari furono uccisi e che a malapena Safa Girei riuscì a salvarsi abbandonando Bulgar-sul-Volga e rifugiandosi in città. E i Moscoviti? Sembra che davanti al ben di dio in cibo e bevande preparato per il gran banchetto finale del Cien, invece di proseguire e portare a termine l'attacco, tranquillamente indugiarono a bere dando il tempo ai Tatari di riorganizzarsi per la difesa e il contrattacco. In breve la campagna russa sarebbe fallita miseramente, se ci non fosse stata l'opposizione tatara filo-moscovita che si sollevò costringendo Safa Girei a fuggire con Süümbike ad Astrahan presso il parenti dell'amata consorte.

A questo punto Šah-Ali fu messo di nuovo e di peso sul trono di Kazan, ma purtroppo per lui i filo-moscoviti non erano abbastanza potenti per sostenerlo a lungo e quando Safa Girei risalì il Volga e si presentò sul Kazanka, la città aprì le porte a quest'ultimo e ricacciò Šah-Ali che dopo qualche peripezia riuscì a raggiungere deluso la sua Kasimov. Naturalmente chi s'era opposto a Safa Girei dovette attendersi una condanna a morte e soltanto una settantina di nobili tatari con famiglia riuscirono a scamparla presso Giovanni IV accrescendo il numero dei Tatari che cominciavano a credere che la conquista di Kazan potesse essere una soluzione onorevole per tutti.

Mosca infatti ribolliva dalla voglia di riuscire nell'intento di prendersi Kazan e dopo le notizie che si riuscirono a raccogliere da Šah-Ali ci furono altri tentativi di rivincita tatara, di scontri e assalti, ma senza esiti conclusivi (1545-1548).

Nel 1549, probabilmente per un infarto e non come ci tramandano le Cronache Tatare perché forse avvelenato, Safa Girei a soli 42 anni muore. Dapprima si cercò un successore in Crimea dove Safa Girei aveva altri figli rimasti presso Sahib Girei, ma a causa di vari intrighi che coinvolsero persino il Sultano di Costantinopoli si finì per destinare a Kazan Buliuk, l'unico figlio che in più era mezzo russo per parte di madre. Costui però non volle o non arrivò mai sul Volga e la reggenza al posto di Utamyš ancora in tenera età passò alla madre di questi, Süümbike.

A Kazan c'è ancora la Torre di Süümbike come parte del Cremlino della città giacché la leggenda dice che la giovane sovrana la costruì come tomba per il suo amato Safa Girei e che vi passasse del tempo per compiangerne la morte, ripromettendosi di essere sepolta accanto a lui...

A parte ciò il governo reale fu affidato com'era consuetudine al Beglerbeg, seconda carica del khanato, ossia nelle mani del capo delle guardie del corpo di Safa Girei, il Tataro di Crimea Kučak e guardiano-protettore di Süümbike. Fu costui che decise di mandare a Mosca la richiesta per delle trattative di pace. La richiesta fu accolta, ma Giovanni IV esigette che tali conversazioni con lui fossero tenute da persone più altolocate dei latori che aveva appena ricevuto. Non ci fu risposta alla lamentela di Giovanni il quale, offeso personalmente e dopo essersi consultato coi suoi, rivide i piani per una nuova campagna da lanciare subito all'inizio dell'inverno.

Si partì come al solito da Nižnii Novgorod dove anche Šah-Ali si acquartierò e dove si formò, con l'esagerazione di sempre nelle CTP nei numeri, un'armata di 130 mila uomini con a capo Giovanni IV in persona e suo fratello Giorgio. L'armata fu ripartita in due divisioni e cioè una su navi e zattere speciali per trasportare i pesantissimi cannoni e l'altra via terra con cavalli, salmerie e il resto a seguire con la fanteria. Alla fine di gennaio (1550) le colonne erano nuovamente in marcia lungo i rispettivi itinerari alla conquista di Kazan. La prima divisione ad essere avvistata fu quella che proveniva direttamente da Nižnii Novgorod più leggera e più mobile che si attestò intorno ai primi di febbraio a qualche chilometro dalla riva destra del Kazanka mentre Šah-Ali continuava con i suoi fino al fiume e si arrestava in attesa dei cannoni da puntare contro le mura della città.

La divisione “navale” in quella stagione si muoveva sulla riva destra opposta a Nižnii Novgorod con fantaccini e carri e le Cronache Tatare la descrivono capace di sparare con le nuove armi palle di pietra del diametro d'un ginocchio o d'una vita di uomo adulto. Comunque sia, trasportava il tutto sul ghiaccio che d'inverno copre il Volga e l'attacco sarebbe stato micidiale non appena fosse giunta davanti all'obbiettivo. Si sa che quest'ultima colonna venne assalita da 4000 armati tatari che riuscirono a far sprofondare nel ghiaccio precocemente in scioglimento qualche cannone, ma gli assalitori furono presto sbaragliati e si continuò verso la città ormai in vista.

Per far immaginare meglio una parte della scena della battaglia abbiamo riprodotto qui sotto una figura tratta da E. Razin (v. bibl.) dove si può vedere come l'illustratore ha disegnato Giovanni nell'angolo inferiore a destra seduto su un trono davanti alla sua tenda in lontananza di sicurezza dal campo di battaglia. Da qui può vedere indenne da vero imperatore romano come si muovono i suoi armigeri grazie pure alla sua buona vista senza binocoli e cannocchiali e tanto meno di televisori a quei tempi inesistenti e eventualmente mandare ordini.

La figura, e l'abbiamo scelta appositamente, ci dà un'idea pittorica di come Giovanni IV vedeva se stesso da quando (1543) aveva annunciato ai boiari e al Metropolita Macario che appena possibile avrebbe elevato il suo obsoleto titolo di Principe Anziano in quello di Imperatore Romano e che inoltre si sarebbe sposato per assicurare una successione alla dinastia.

(da E. Razin, v. Bibliografia op. cit.)

Dobbiamo però ritornare sulla scena della battaglia.

Siamo alla prima metà di febbraio del 1550 e l'artiglieria russa comincia il bombardamento delle mura. Per farla breve le sorti sembravano volgere a sfavore di Kazan quando improvvisamente, raccontano le Cronache Bulgare, apparvero due figure sugli spalti delle mura orientali che i russi erano già in procinto di sopraffare: una con armatura e sciabola sguainata e l'altra con il vessillo di Kazan. Erano Süümbike e il vessillifero Mohammed Jar venuti a incoraggiare i soldati o a morire con loro. Non si sa bene come andò, ma i russi furono attaccati all'esterno da altri Tatari (ci fu chi accusò i Tatari di Kasim di defezione) e respinti.

Anche quel tentativo insomma era finito nel nulla.

Kazan restava indipendente e soprattutto nelle mani dei Nogai che dominavano la città con Süümbike alla reggenza. Šuiskii invece pagava il fiasco con il confino e la vita accusato addirittura di aver messo in pericolo l'incolumità del sovrano e il comando delle armate passò nelle mani dell'altra potente famiglia boiara dei Belskii.

Pur ritirandosi, Giovanni decise di tenere fisso un avamposto sul fiume Sviaga in attesa della prossima campagna e la postazione moscovita fu costruita in pieno territorio ancora appartenente a Kazan sulla parte più alta da dove si poteva dominare meglio gran parte del territorio. Anzi, Šah-Ali dopo avervi insediato il comando e aver autorizzato la costruzione di una chiesa, cominciò da qui a spargere la voce di essere lui il nuovo khan di Kazan e che la gente intorno al forte, d'ora in poi chiamato Svjažsk, avrebbe dovuto dar conto a lui di ogni loro movimento, oltre a portare come tributo periodico le derrate alimentari e i prodotti della foresta.

Prima di continuare la nostra storia è bene mettere a punto la posizione di Giovanni IV come Imperatore giacché nella campagna militare sopra descritta non è più un semplice sovrano-ragazzo, ma un vero e convinto imperatore che vi partecipa e che pretende di essere onorato.

Vediamo meglio giacché c'è tutta una serie di precedenti da raccontare.

Innanzitutto il titolo scelto corrispondeva a quello degli imperatori tedeschi Kaiser/Kaisar poiché l'antico-russo C'sar' (Цъсарь) che poi si riduce in Car' (Царь) e in italiano a Zar era a nostro avviso fatto proprio sul modello tedesco (Absburgo) in quanto nella tradizione costantinopolitana Kaisar, pur restando una carica imperiale alta, era stato sostituito da Basileus per la titolatura del vertice massimo. La scelta inoltre rifletteva il fatto che i khan dell'Orda d'Oro e delle Orde che erano seguite erano conosciuti in Occidente anch'essi come imperatori Cesari e tale parità dal punto di vista moscovita per principio andava sottolineata per poi sbugiardarla di fronte agli altri Tatari.

La prassi prevedeva che l'incoronazione nella Cattedrale dell'Assunzione avvenisse attraverso l'imposizione della corona sulla testa del giovane Giovanni da parte del Patriarca e questo a Mosca mancò. La richiesta era stata inoltrata in tempo al Patriarca Joasaf di Costantinopoli il quale aveva addirittura nominato un vescovo apposito da mandare per eseguire la cerimonia. Quest'ultimo prelato era stato eletto dal Sinodo convocato per l'occasione e portava con sé la nomina con le 36 firme dei partecipanti. Purtroppo ben 35 di queste firme risultarono false e col sospetto che Joasaf volesse portare la Chiesa Russa nell'orbita dei latini e avesse bisogno di appoggi economici da Mosca contro gli Ottomani, attuali padroni della Città dei Cesari, il problema dovette essere risolto altrimenti ossia la corona di imperatore Giovanni l'indossò da solo. Comunque sia la risposta e la conferma del titolo di Imperatore dei Romani giunse da parte del Patriarca soltanto nel 1561 quando tutto era ormai concluso senz'altro ostacolo sotto la direzione del Metropolita Macario e quando ormai Solimano era già morto e il trono di Costantinopoli era passato nelle mani di suo figlio Selim, detto l'Ubriacone, ed era perciò iniziata la decadenza politica dell'Impero Ottomano.

L'incoronazione di Giovanni IV a Cesare Imperatore intanto fu decisa per il 16 gennaio 1547 in accordo col Metropolita e con la Duma.

Fu la mobilitazione di tutta la città e dall'hinterland fu accolto chiunque vi accorresse per il grande evento con i doni per il nuovo signore.

Né un'incoronazione senza una consorte era ammissibile e nel 1543 si era mandata una missione in Polonia per cercare una sposa fra le parenti giovani, senza successo però finché fra le migliaia di pretendenti portate a sfilare davanti a Giovanni a Mosca non fu scelta Anastasia della schiatta dei Romanov e il cui fratello era a servizio come generale presso il sovrano stesso.

Si decise che le nozze con Anastasia seguissero all'incoronazione e infatti esse furono celebrate successivamente in pompa magna affinché il potere sommo restasse separato e esclusivamente riservato al sovrano maschio nelle celebrazioni pubbliche. Doveva essere chiaro per ognuno che il sovrano per sua volontà avrebbe in parte condiviso il trono con la sposa e non il contrario.

La tradizione di Costantinopoli prevedeva inoltre che l'Imperatore in pubblico dovesse assumere un'espressione severa ossia né compiaciuta né addolorata in modo che le sue decisioni su qualsiasi questione non mostrassero alcun sentimento di favore o di sfavore in chi ascoltava sentenze e bandi. Il nomignolo Groznyi a lui attribuito indica solo questo visto che l'Imperatore esprimeva l'ultimo giudizio su quanto i tribunali non erano in grado di giudicare e non ha niente a che vedere con minaccioso o terribile com'è stato erroneamente tradotto in molte lingue occidentali a prescindere dalla storia del suo regno. Comunque sia è certo che tale sua postura pubblica dovette mettere in imbarazzo e soggezione moltissimi ospiti, amici e nemici e persino artisti-ritrattisti.

Lo stesso Solimano a Costantinopoli in una lettera ai Nogai esprimerà la sua irritazione nei riguardi di Giovanni IV rimproverandogli la boria e l'alterigia ostentata ai messi turchi quando costoro gli racconteranno come sono stati trattati e gli porteranno la notizia che Mosca nel 1551 attaccava Kazan ancora una volta con la pretesa di dover governare la situazione delle steppe. Secondo Solimano, il traffico nelle steppe andava discusso con lui che era il vero continuatore dell'Impero Romano, al di là della fede diversa.

E quasi a preannunciare eventi sconvolgenti per il prossimo futuro ecco che scoppiò in quella stessa estate un terribile incendio che durò ben 10 ore e distrusse in pratica tutto il posad e parte del Cremlino. Il popolo attribuì l'evento micidiale che aveva ucciso 4 mila moscoviti ai Glinskii, anzi alla nonna di Giovanni conosciuta come fattucchiera potentissima, e suo zio Giorgio Glinskii fu linciato nella Piazza Rossa mentre la gente armata di bastoni e forconi si dava da fare a bruciare le case dei boiari più odiati scampate alle fiamme. Giovanni nel frattempo visto lo sfacelo che il fuoco stava producendo e, fiutato il pericolo personale, decise di riparare fuori città nel villaggio di Vorobjòv. La folla in rivolta però lo raggiunse per incontrarlo con la richiesta di un aiuto reale e immediato alla loro situazione disastrata causata dall'incendio doloso-magico della sua ava.

Ci fu una certa dura repressione per chi aveva offesa la famiglia imperiale, ma, non appena si seppe che le notizie della rivolta da Mosca avevano contagiato anche le lontane Ust-jug e Pskov, la Duma consigliò al sovrano di cominciare a pensare a qualche riforma più appariscente che interrompesse soprattutto la catena di sollevazioni contro l'ormai sacro potere imperiale.

In primo luogo occorreva garantire la sicurezza della capitale imperiale e un migliaio di cosiddetti boiari minori (Figli di boiari in russo o Deti bojarskie) sospetti di aver favorito i rivoltosi furono spostati a una settantina di km dalla capitale cosicché in caso di turbe pericolose i messi a cavallo potessero portare la notizia in tempo perché il sovrano potesse disporre delle contromisure.

Il Cremlino pure venne chiuso a chi non avesse un salvacondotto col sigillo imperiale.

A quanto sembra si seguirono i consigli del monaco Silvestro, confessore di Giovanni, e del principe boiaro Kurbskii, teorico e autore di una storia degli imperatori russi suoi contemporanei quando si decise di invitare alla partecipazione graduale al potere i sudditi più semplici attraverso l'istituzione di un Consiglio di Stato allargato (Izbrannaja Rada) che avrebbe preso intero corpo però solo nel 1557 e più tardi ancora. In pratica col fatto che non ci fosse alcuna periodicità di riunione si rifondava il governo assolutistico su base paternalistica e si confermava un forte potere centralizzato. Una prima convocazione della nuova assemblea ci fu nel 1549 quando fu assegnato il compito di comporre un nuovo codice, Sudebnik, che avrebbe sostituito e integrato quello a cui aveva messo mano per la prima volta Giovanni III quasi 50 anni prima.

Un'assemblea di maggior rilievo di tutte le altre fu il Santo Sinodo della Chiesa Moscovita. Ed è importante per la nostra storia notare che nel 1551 con la presidenza di Macario fu fissato una specie di regolamento generale della Chiesa Russa detta in russo Stoglav o i Cento-Capitoli in cui furono unificate tutte le diverse liturgie allora ancora in uso in vari parti dell'Impero e, per quanto riguarda le nostre fonti, furono rivisti e riconfermati i santi (e le composizioni delle vite rispettive) e i luoghi santi russi già ammessi nel 1547 e nel 1549 con un atto ufficiale e definitivo.

Furono anche prese le misure per la repressione dell'ubriachezza del personale ecclesiastico al quale fu proibito di bere e fabbricare vodka, di indulgere in costumi sessuali troppo liberi con le giovani credenti e le schiave converse. Nella pratica economica la Chiesa, pur restando soggetta all'arbitrato del sovrano, ebbe riconfermate da Giovanni IV le proprietà terriere finora acquisite.

Semplificando (un'analisi puntuale si trova in R.G. Skrynnikov***, v, bibl.) possiamo descrivere il nuovo stato imperiale così: In cima siede sul trono il Sacro Romano Imperatore Giovanni IV. A lui risponde la Duma che legifera, propone e, una volta ottenuto l'assenso del sovrano e del Metropolita, promulga. Tuttavia la Duma non era più quella del passato riservata solo a un pugno di boiari nobili, ma si era allargata nel numero cosicché gli aristocratici (una classe in verità ancora non ben definita) dovevano confrontarsi ora con i nuovi arrivati che non erano nobili di sangue certo per poi concordare insieme i consigli per il sovrano.

Inoltre, siccome nell'epoca che attraversiamo l'attività maggiore di Mosca era la guerra, l'esercito costituì la parte più importante degli organi statali e i centri di costo più corposi nel budget statale. L'esercito, affinché confacesse alla sua funzione di difesa e di attacco, dipese senza intermediari dal comandante supremo che alla fine era il sovrano stesso. D'altronde ora rappresentava l'armata di una potenza imperiale che difendeva i sacri confini dell'Europa cristiana (ortodossa) le cui politiche internazionali erano affidate in ultima istanza al sovrano per la diretta gestione con coloro che soltanto lo Zar identificava come suoi quasi pari, senza contare la veste ideologica che tale apparato indossava ossia quella di essere una vera Militia Christi sempre pronta a scendere in campo contro i Tatari infedeli o contro gli ancor peggiori e testardi eretici cattolici.

L'istituto del Mestničestvo restò legato al servizio militare permanente e, essendo il pomeste ereditario, dal padre assegnatario al figlio passava anche l'obbligo, allo scopo di mantenere a suo padre la stessa posizione, di tenersi in esercizio con le armi e pronto a partire sulla chiamata dal centro. Non solo, siccome siamo nell'epoca in cui dominano i cavalleggeri in armate mobilissime e diffuse in tutti gli eserciti d'Europa, l'attività primaria del pomeščik era in special modo quella di curare i cavalli e di fornire al sovrano cavalieri ben istruiti. Esisteva persino un ispettore che veniva a guardare periodicamente come il pomeščik tenesse in esercizio i suoi uomini e come curasse i cavalli, tutti proprietà del sovrano, almeno gli animali destinati all'uso militare.

Un pomeste variava fra i 150 e i 3000 ettari da coltivare o da sfruttare insieme con l'aggiunta di un compenso in valori spendibili da 4 rubli a 1200 rubli a seconda della posizione occupata nell'armata dal pomeščik. Tale somma a volte era corrisposta in un'unica rata all'entrata in campagna e a volte un terzo era invece da esigere dopo la fine del servizio. Per ogni 50 ettari di concessione il pomeščik era obbligato tuttavia a fornire in caso di campagna non lontana almeno un cavalleggero di età non minore di 15 anni, pienamente equipaggiato con armatura, elmo e sciabola e, nel caso di campagna più lontana, di dotarlo di un cavallo in più di ricambio. Da dove si tiravano fuori i giovani da trasformare in armigeri? I dati a disposizione ci dicono che in un grande pomeste di 1500 ettari il pomeščik aveva sotto la sua giurisdizione in media una trentina di villaggi e quindi, in cambio della possibilità di coltivare e sfruttare campi e la foresta adiacente, erano questi villaggi a  fornire i giovani che servivano alle armi.

E i cavalli? Ritornando un po' indietro nel tempo al momento dell'invasione tataro-mongola occorre dire che nelle foreste dell'Europa si era già estinto il tarpan, specie equina (Equus Gmelini sp.) di mole minore del solito cavallo da sella e non molto docile. Questo cavallino viveva insieme col cavallo comune delle radure (Equus caballus sp.) più tranquillo che passava volentieri dalla foresta alla steppa dove l'erba era abbondante come accadeva in Pannonia (Ungheria) o nelle steppe ucraine. Quando la richiesta di cavalli da sella cominciò a aumentare i Polovzy ne vendevano dai loro allevamenti in gran numero con grossi ricavi e non soltanto per le armate di Mosca, ma anche per gli eserciti del resto d'Europa. Visto poi che i migliori cavalli e le mandrie più numerose si trovavano nelle steppe, le forniture per Mosca erano da tempo diventate quasi un monopolio dei Nogai. Per questo motivo parte dei cavalli che spesso costituivano un tributo-regalo a Giovanni IV erano rivenduti all'estero (Occidente) dai trafficanti moscoviti ancor prima dei Nogai stessi che frequentavano al massimo i mercati della Crimea e di Costantinopoli.

E che cavalleria poteva mettere in campo Mosca alla metà del XVI sec. d.C.?

Le stime migliori danno ca. 40 mila cavalleggeri più una specie di Guardia Imperiale a cavallo di giovani scelti montati su animali pure scelti.

Naturalmente poco servivano le cavalcature, se non ci fossero state delle spianate dove i cavalleggeri potessero scontrarsi, ma una cavalleria schierata in parata intorno a una città assediata serviva da ottimo deterrente. Eppure, se ricordiamo la battaglia nel bacino del fiume Šelon per la conquista di Grande Novgorod, la neve aveva praticamente reso le cavalcature inutilizzabili e quindi un'armata nel nord dell'Europa richiedeva al suo comandante una buona conoscenza del clima, se voleva mantenere la necessaria manovrabilità...

Oltre agli elmi, alle corazze, alle selle con le staffe e ai cavalli apparvero i primi cannoni che però per lungo tempo costituirono un'arma lenta da caricare, pesante da trasportare e poco efficace usata da lontano. I cannoni facevano più paura coi loro boati e col fuoco che fuoriusciva dalle loro bocche che non in definitiva per i danni provocati. Evidentemente valeva la pena far vedere di averne e di migliorarne il loro uso con esperti mastri d'arma stranieri. Armi da fuoco più leggere ce n'erano giacché vedremo che, nella campagna che noi sappiamo finale per la conquista di Kazan, apparve un corpo di fucilieri o strelicy con archibugi a avancarica formato da ben 3000 volontari che avevano imparato a usarli e a mirare giusto. Di solito dietro costoro c'era un certo numero di uomini caricatori che sostituivano gli archibugi scarichi con quelli caricati evitando di interrompere la sventagliata di colpi.

Non ancora parte dell'armata, c'erano pure altre corpi di volontari come i cosiddetti cosacchi (cavalleggeri senza armatura) che, sebbene non autorizzati a oltrepassare il confine dello stato moscovita, costituivano delle vere armate di guardia di frontiera più o meno autonome con cavalli o con navi proprie. I cosacchi, in caso di guerra regolare dichiarata, rispondevano agli ordini dei comandanti russi e per le loro bravure ricevevano premi vari oltre al bottino da raccogliere sul campo, ma nessun pomeste.

Per il numero di uomini la fanteria doveva essere il corpo maggiore, ma essa era impiegata solo nelle grandi campagne giacché era un centro di costo enorme oltre che lentissima nei trasferimenti. L'equipaggiamento del fantaccino era molto semplice e partiva dagli stivali fatti di cuoio spesso fino a uno scudo di legno con placche di ferro, una lancia di legno con una punta/lama d'acciaio e un'ascia in cintola.

E i Tatari? Con quali mezzi si difendevano e con quali attaccavano?

Per quanto riguarda la cavalleria, che era l'armata più congeniale dei nomadi e quindi dei Tatari “meridionali”, essa costituì il modello per la cavalleria moscovita e, cambiati i nomi e i termini da russo in tataro, possiamo tranquillamente rimandare il nostro lettore a quanto detto per sommi capi sull'armata a cavallo di Mosca. La differenza maggiore stava nei costi: per Mosca era necessario curare i cavalli con foraggio coltivato all'uopo (avena, fieno) mentre per i nomadi la steppa ne forniva in abbondanza e in più nell'allenamento dell'animale c'era l'esperienza di secoli e secoli degli allevatori nomadi.

E allora può Kazan resistere a un esercito che, come l'abbiamo descritto or ora, è davvero formidabile in numero di uomini, di armi e di mezzi? È una domanda che certamente i clan Nogai devono essersi posti per primi in quegli anni pur avendo assistito non poche volte alle ritirate dei russi dopo aver avviato campagne militari lungo il Volga con gran dispendio di uomini e di denaro.

Li abbiamo ormai incontrati ripetutamente i Nogai e per brevità diciamo che discendevano dal famoso Jedigei. In quegli anni costoro tentarono, senza riuscirci, di rimettere in funzione uno stato più o meno come quello della ormai scomparsa Orda d'Oro combattendo contro i pregiudizi tradizionali che non consentivano ai non cinghizidi di assurgere a posizioni di massimo comando. Il problema maggiore dell'élite Nogai era il numero di fratelli, sette, che la componevano, uniti e allo stesso tempo in liti continue. Ciascuno dei fratelli con la scusa della maggiore età con esperienze e esigenze e persino con opinioni diverse nel prendere un partito interveniva sulle azioni già intraprese e imponeva politiche sovente divergenti. Pur avendo col tempo raggiunto delle qualifiche sociali abbastanza alte tramite alleanze e parentele fra gli altri Tatari, dovevano comunque mediare con i capi-clan e l'unico legame in definitiva che teneva insieme questo coacervo d'interessi era l'Islam ai cui principi spesso e volentieri i Nogai e gli altri Tatari si richiamavano, se c'era da prendere una decisione conveniente per tutti.

La loro presenza a Kazan a questo punto portò l'Imperatore moscovita a ideologizzare ancor di più la “questione Kazan”. Il Khanato non rappresentava più un pezzo mancante del puzzle imperiale, ma era terra già sacra e russa (la vòtčina ereditata dal suo antenato Sviatoslav nelle campagne di conquista del 965 d.C. e successive, come raccontavano le CTP) occupata da Tatari infedeli. Costoro, se volevano evitare scontri con le armate moscovite, non dovevano far altro che piegarsi spontaneamente a Mosca e accettare la superiorità politica del Cristianesimo. Le campagne contro Kazan (e poi contro Astrahan e contro la Crimea o il Don) sono campagne militari destinate a ripristinare l'ordine cristiano nei territori imperiali da sempre appartenuti all'Imperatore Romano e non per conquistare.

Con questo spirito Giovanni IV ordina a Šah-Ali di far giurare alle genti finno-ugre intorno a Sviažsk fedeltà alla sua persona e poi, una volta assicuratisi della loro sincerità, di armarli e condurli contro gli infedeli Tatari. Questa strategia sembrò dare i suoi buoni frutti quando lo stesso Kučak con i suoi murzà di Crimea e molti altri notabili (di 300 persone si parla nelle Cronache Tatare), vedendosi scavare la terra sotto i piedi, abbandonarono di nascosto la città diretti nelle loro steppe del sud, lasciando a Kazan mogli e figli. Furono però intercettati e uccisi e chi restò in città si affrettò a mandare a Mosca una missione che in sostanza chiedeva di lasciare pure mano libera a Šah-Ali nella regione intorno. Che tornasse pure a fare da khan a Kazan mentre Süümbike e il figlio Utamyš andassero a Mosca e Giovanni così con tali ostaggi avrebbe potuto mediare meglio coi Nogai per il resto dei problemi. Loro invece se ne lavavano le mani e avrebbero desiderato continuare a fare affari in pace.

Le condizioni erano insomma favorevoli a un tracollo della resistenza di Kazan, ma non fidandosi mai completamente dei Tatari né tanto meno di Šah-Ali, i territori intorno a Sviažsk furono dapprima destinati all'amministrazione diretta di Mosca. La cosa non dovette piacere molto al nostro Šah-Ali, che però dopo molte discussioni sull'argomento con l'inviato di Mosca finalmente s'insediò il 16 agosto del 1551 nell'antica residenza del khan. Accompagnato da una guarnigione mista di fucilieri moscoviti e tatari a cavallo cominciò a far la conta dei prigionieri da liberare pur lasciando loro la facoltà di scegliere la giurisdizione moscovita o a Sviažsk o a Mosca.

Finita l'operazione di svuotamento della capitale tatara con l'avvio di Süümbike e Utamyš sulla strada per Mosca, Šah-Ali rinnovò la sua richiesta di poter governare da khan da solo su tutte le terre di Kazan nessuna esclusa. La sua richiesta come possiamo immaginare fu respinta. Anzi, nell'ambito delle migliori tradizioni moscovite si pensò di liberarsi di quel lamentoso khan con la solita congiura che però fu scoperta e dallo stesso Šah-Ali sbaragliata e a Mosca si dovette ripiegare sull'affiancare al khan un governatore-rappresentante o namestnik

Di Süümbike sappiamo che a Mosca fu trattata con tutti riguardi e c'è addirittura la leggenda che lo stesso Giovanni IV la volesse in moglie. Al contrario in verità per legittimare e appagare Šah-Ali, la tatara più famosa della storia passò a nuove nozze con quest'ultimo e nel 1552 o giù di lì morì proprio a Kasimov. 

A questo punto sarebbe bene tirare le prime somme della contesa fra Mosca e Kazan giacché la situazione purtroppo non si stabilizzò neppure con queste manovre e gli scontri non si interruppero.                            

Innanzitutto non c'era ancora una conquista piena della capitale tatara e il sogno dei Lungamano non era perciò ancora compiuto. Anzi, se guardiamo meglio l'andamento delle operazioni militari e politiche  fra le due potenze, da parte dei Lungamano fra il 1469 e il 1551 – in pratica ogni due o tre anni – si era intrapresa una campagna dopo l'altra. In quegli anni i Lungamano avevano persino stipulato una ventina di patti e armistizi con i khan della capitale tatara che però dopo brevi intervalli di tempo erano stati considerati non validi e le guerre e gli scontri erano ripresi.

Se dai documenti di fonte ecclesiastica si riesce a vedere chiaramente un'intenzione religiosa in questo modo di agire e quindi che ogni campagna militare è una vera e propria crociata contro un avversario non cristiano irriducibile e da abbattere, da parte tatara, sebbene ci sia una grossa insufficienza di documenti, una posizione ostile tradizionale da jihad contro Mosca non sussiste.

L'Impero di Giovanni è un concorrente sui mercati, ma è pure un mercato da frequentare e quelli che le CTP marchia come assalti o attacchi a gente inerme da parte dei Tatari di Kazan non sono che esazioni per servizi resi o dovute rappresaglie verso i moscoviti.

Inoltre le famiglie dei khan che si avvicendarono al potere a Kazan furono sempre diverse e tutte mostravano poca propensione a “incorporare” il territorio moscovita in un loro proprio impero quanto invece ne richiedevano la fedeltà e la soggezione (con un ricco tributo) per trafficare in pace. L'Islam resta certamente un elemento innegabile in tali atteggiamenti, ma gli sguardi di Kazan erano attratti verso il Centro Asia che non contro il Cristianesimo Ortodosso.

Quel che meraviglia è che Kazan, magari non sentendosi troppo legata ai sogni di Çingiz Khan, abbia abbandonato “per strada” una prospettiva imperiale forse perché manca un'educazione interna alle famiglie delle élites tatare che contemplino nel futuro un ripristino dell'antico e glorioso Impero Mongolo. Kazan d'altro canto aveva le sue radici e le sue tradizioni politiche più profonde nei Bulgari del Volga che concepivano il loro stato come una specie di monarchia costituzionale che certamente aveva una religione nazionale, l'Islam, ma accettava nel suo seno chiunque fosse capace di collaborare per il benessere della comunità com'era pure nell'ideale musulmano.

Eppure nel tardo XVI secolo uno sconvolgimento universale è in atto. Nuovi sistemi di trasporto che prediligono il mare e non più le distese terrestri stanno favorendo la formazione di grandi imperi coloniali (non ancora estinti al giorno d'oggi) con traffici e mercati mutati rispetto al passato.  L'Occidente andava arricchendosi e industrializzandosi e i mercati tradizionali sia nei consumi che nelle loro localizzazioni si andavano distruggendo o scomparivano del tutto.

Giovanni IV vedeva in ciò piuttosto l'espressione di potenza gloria o grandezza personale di questo o di quel sovrano offuscato com'era dall'ideale imperiale universale e non un guaio serio per le sue entrate statali. La vita nella sua corte continuava ad essere spoglia e quasi monacale al contrario delle sfarzose corti francesi o inglesi. Anzi, quest'ultimo aspetto della vita di Giovanni risponde possibilmente a una reazione personale all'educazione subita da bimbo. Dalle sue stesse parole sappiamo che durante l'adolescenza Giovanni visse con una genitrice troppo severa verso di lui e suo fratello Giorgio che imponeva loro le punizioni più dure: dal vestire di stracci indegni di un principe fino a dover digiunare a lungo per un qualche errore o sbadataggine. Non solo! Spesso e volentieri Elena Glinskaia li trascinava nel Convento della Trinità in ritiro spirituale per settimane.

Certo, dopo la caduta di Kazan la Russia riuscì per ancora qualche secolo a sopravvivere in questo modo spartano e involuto e a costruire malgrado ciò un suo impero coloniale lungo le vie di terra asiatiche, ma soltanto grazie alle risorse di materie prime industriali che si trovavano in una Siberia praticamente deserta e richiestissime in Occidente.

D'altronde le guerre e guerricciole continue costarono moltissimo sia a Mosca che a Kazan, ma l'indebolimento maggiore lo subì quest'ultima per il semplice motivo che Mosca spese molti più soldi a trasformarsi in una possente macchina di guerra risparmiando sulle ostentazioni mondane. 

Noi però non seguiremo l'andamento di tutte le battaglie fra Mosca e Kazan e ci soffermeremo sull'ultima campagna conclusiva del 1552 (23 agosto-2 ottobre) quando Giovanni IV finalmente riuscì a entrare in gran pompa nella capitale tatara da conquistatore.

Gli eventi sono descritti da A.M. Kurbskii che vi partecipò di persona e noi li riassumeremo in poche righe. Naturalmente non siamo sicuri che le parole dette e trascritte qui siano testuali anche perché le abbiamo adattate all'italiano dal russo di A. Širokorad (v. bibl.), ma certamente riflettevano i punti di vista di quelle persone di quel tempo.

In breve Giovanni IV fu svegliato alle 7 del mattino del 2 ottobre dal fortissimo boato per lo scoppio di ca. 4 tonnellate di polvere che i genieri russi erano riusciti a caricare sotto le mura di Kazan. Non appena il fumo e la polvere si diradarono i soldati al grido: Dio è con noi! attraversarono l'enorme breccia e penetrarono nella cittadella del khan. La sorpresa e la paura contarono negli scontri che ci furono qui fra russi e difensori, ma il numero contò di più e i russi ebbero la meglio.

Giovanni nervosamente in attesa nella sua tenda, quando una relativa calma gli fu garantita montò da solo sul suo cavallo e preceduto dalla sua guardia imperiale si diresse verso la città.

Si sarebbe atteso che gli fossero aperte le porte, ma dovette accontentarsi di una strada spianata fra le rovine. Arrestatosi da qualche parte col vessillo di san Giorgio (il santo protettore del suo antenato Giorgio Lungamano) con la sovrastante aquila bicipite innalzato ordinò che si celebrasse una messa solenne. Dopo la messa il cugino Vladimiro che aveva in parte diretto le operazioni fin lì gli declamò davanti ai soldati:

«Rallegrati, o Imperatore Ortodosso, perché Dio ti ha concesso la vittoria sui tuoi e sui suoi nemici! Auguri di lunga vita per molti anni nelle terre imperiali di Kazan concesseti da Dio!».

E l'antifona di Giovanni: «Dio ha permesso che ciò avvenisse attraverso le tue mani, o Vladimiro figlio di Andrea, e con la nostra organizzazione militare oltre che per le preghiere fatte dal nostro popolo affinché ciò avvenisse. Sia fatta la volontà di Dio!».

In quel momento giunse pure Šah-Ali a porgere l'espressione della sua contentezza per ritornare a governare Kazan e Giovanni lo apostrofò con una strana deferenza apostrofandolo così:

«Imperatore e signore! A te, fratello nostro, è noto quante volte ho invitato Kazan a far pace con noi attraverso la tua persona. Tu conosci anche bene la caparbietà di questi abitanti e di quali sotterfugi sono stati capaci contro di te. Ora però Dio misericordioso col suo giudizio finale ha deciso la giusta vendetta per il sangue cristiano versato».

Dopodiché Giovanni IV preceduto da Vladimiro e da Šah-Ali in corteo si recò nel palazzo del khan dove appunto Šah-Ali s'insediò con una guarnigione di ben 14 mila soldati scelti e comandata dal boiaro Alessandro figlio di Boris Gorbatyi-Šuiskii.

Naturalmente il sogno dei Lungamano non si era completamente compiuto, ma almeno, dal punto di vista di Giovanni, l'Islam aveva subito dal suo santo stato un durissimo colpo.

E purtroppo imbarcatici in questa avventura storica dobbiamo concludere con un'ultima nota molto dolente per noi e cioè che nella stessa serata della conquista di Kazan i soldati russi entrarono nella moschea di Mohammed-Alam, ne trassero mucchi di manoscritti e li dettero alle fiamme.

I due ragazzi, coetanei e cugini germani, rimarranno affidati al Metropolita di Mosca Alessio (I) per la loro educazione e resteranno uniti nei destini della costruzione del nuovo stato russo moscovita fino alla morte, ognuno rispettando lealmente la posizione dinastica dell'altro.

  

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  ©2015 Aldo C. Marturano.

  

 


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