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   MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 43


Le Terre Russe

   

Ritorniamo ancora una volta sul concetto di Cavaliere soffermandoci ora sul suo significato primario di Combattente in sella! In russo Cavaliere si dice vsadnik ed è un neologismo moscovita apparso nel XV secolo (56) ai tempi in cui a Mosca in qualche modo cominciava a crearsi un corpo di cavalleggeri, col significato più immediato di combattenti a cavallo e con le nuove tecniche di guerra! Ad onor del vero una parola che indica il Cavaliere con le sue prerogative “cavalleresche” esiste in antico bielorusso, cioè Pogonja, ma purtroppo si riferisce ad un essere mitico il quale un giorno, con la spada in mano e su un cavallo bianco, apparirà per salvare il mondo o qualcosa di simile. Benché assunto come simbolo nazionale nello stemma della Bielorussia (51) nel 1431 (data fatidica), il pogonja perciò non entra nel nostro quadro. E allora dobbiamo forse accettare che il combattente a cavallo nel periodo che c’interessa in russo (o nelle lingue vicine) semplicemente non c’è? è mai possibile?

In realtà un personaggio a cavallo ovviamente colorato di una certa veste “etica” in russo è descritto con un’altra parola: ryzar’. Ma è una parola tratta dal ted. Ritter, di formazione letteraria e, quel che è più importante, certamente ha come figura di riferimento i primi Cavalieri “occidentali” con i quali la società russa venne a contatto.

Quali? Da un lato, i Crociati apparsi sul Mar Baltico e provenienti dal mondo nordico germanico (dalla zona fra il Vescovado di Amburgo-Brema e Lubecca) intorno alla fine del XII secolo d.C. (69) e, dall’altro, quelli che conquistarono Costantinopoli del 1204 perlopiù di provenienza franco-italiana. Ecco i Milites Christi (manovrati dal Papato) che le Terre Russe conobbero!

L’impressione ricevuta è pure la più immediata: Qualunque sia la loro morale, questi Milites sono arrivati qui proprio allo scopo di annientare la Rus’ di Kiev, assalendola sia dal Bosforo sia dal Baltico! Un’impressione realistica alla fin fine, giacché il Papa di Roma aveva in mente proprio questo, quando più tardi dichiarò le terre baltiche e russe Patrimonium Sancti Petri e che quindi, come dice un documento del Papa Gregorio IX del 1234 (75), in futuro nell’azione di “difesa del Cristianesimo” quel che è stato conquistato delle terre dei pagani e degli eretici che rimanga pure proprietà dell’Ordine (ossia della Chiesa di Roma) conquistatore! E’ dunque un piano ben architettato…

In particolare vediamo accompagnare gli arditi preti sul Baltico, quali braccio armato della Chiesa evangelizzante, numerosi Ordini monastico-cavallereschi fondati per lo scopo. Ci saranno dapprima degli insuccessi, ma poi l’”affare Baltico” prenderà l’abbrivio ed altri Ordini, persino non in armi, seguiranno, come gli insistenti e onnipresenti Francescani che furono sguinzagliati per la campagna russa a “convertire” Baltici, Russi e Bielorussi al Cristianesimo di Roma (67). Né il Papa si fece scrupolo di attirare i principi russi e lituani nella sua sfera d’influenza con l’offerta di favolose corone di re e di indulgenze speciali (30)purché abiurassero la fede ortodossa!

Più o meno della stessa condotta negativa si macchiarono i Crociati franchi a sud delle Terre Russe saccheggiando Costantinopoli e mettendo al rogo gli “eretici”, senza contare i maltrattamenti inflitti al Patriarca costantinopolitano allo scopo di “riportare alla vera fede (romana)” tutti gli ortodossi…

Dunque nessun ideale positivo arriva da Occidente né per l’élite “russa” né tanto meno per la società contadina, fanaticamente assalita dai frati e sconvolta dalle armi (68).

Per il momento diciamo che, se c’immaginiamo ancora lo spavento che incussero Pizarro o Cortés nelle Americhe del ‘500 agli indios andini o a quelli messicani presentandosi come strani animali mezzi uomini e mezzi bestie alti oltre due metri con ben quattro zampe e due braccia, tutti coperti di metallo lucente, qui nelle Terre Russe l’impressione al vedere i Crociati più o meno addobbati allo stesso modo dovette essere, benché forse meno fantastica, molto più incisiva nella coscienza individuale a causa della religione comune. Già questa avrebbe indicato i Cavalieri quali amici e non predoni venuti per uccidere in nome dello stesso Cristo!

Inoltre i Milites Christi che l’Occidente mandava in giro nella pletora delle sensazioni spaventose delle loro azioni cruente ebbero un grande impatto psicologico anche per la presenza dei loro cavalli… poiché su quegli animali il popolo “russo” aveva tutta una serie di pregiudizi superstiziosi ben consolidati e marcatamente funesti. Non solo! I Crociati – sapendo bene tutto ciò – acquistavano i cavalli proprio in base alla loro maggior mole (75). Così, armati di celata, piumaggi a colori sgargianti etc. usavano “caricare” il loro aspetto mostruoso ostentando persino un’armatura metallica per la cavalcatura. La fama di spietatezza che diffondevano con la loro massiccia propaganda, in verità dovuta più che altro alle regole di tipo templare del loro ordine, combinata con quella di quei mostri a quattro zampe lasciavano paventare un brutto destino per le genti “russe” marchiate di “paganesimo” e di “eresia” e perciò degni di essere calpestati dagli zoccoli dei massicci animali (70).

Abbiamo travalicato il significato delle fonti? Forse, anche perché altri “cavalieri” avevano già minacciato le Terre Russe molto prima dei suddetti Crociati e pertanto l’uomo in sella non era una novità! Stavolta venivano da Oriente ed erano i nomadi della steppa ucraina. Non è però un caso che giusto nella steppa fosse nato il Cavaliere come combattente a cavallo con sella, staffa ed armatura in assoluto ed è ad imitazione di questo armato che l’Europa romana antica aveva imparato il vero uso del cavallo in guerra (57)! è vero che chiamare i nomadi cavalieri nel senso qui trattato ci sembra limitativo e faremmo meglio a parlare di cavallerizzi, ma a questo punto fa lo stesso poiché alla fine del X secolo l’impatto emotivo che deve aver avuto il fantaccino russo-slavo dovette essere non molto diverso rispetto a quello del contadino di fronte ai Crociati.

Il cavallo ha fatto sempre paura nei villaggi di confine russi, là dove comincia la steppa sulla riva sinistra del Dnepr, coi suoi caroselli improvvisati durante le razzie dei nomadi. Lo si sapeva dalla tradizione, da quando erano passati gli Unni sotto Kiev, che la forza del nomade consisteva nel disporre di Equus caballus! Più che gli archi e le frecce, che anche i russi avevano e sapevano usare, erano le bestie ad impressionare di più! D’altronde la tattica del nomade non era tanto tesa a scontrarsi o ad uccidere quanto invece a razziare e perciò il villaggio assalito era “atterrito” piuttosto che distrutto e proprio sui cavalli con gli uomini in groppa veloci come il vento si vedevano scomparire le cose e i figli… Per Kiev contro questi assalti non restò che la rimessa in funzione in piena steppa di un antico vallo fatto di pali di legno che correva per un centinaio di chilometri dalla riva sinistra del Dnepr lungo il fiume Sula fino alla fortezza di Voin e in tal modo si contennero alquanto i nomadi e le loro diaboliche imprese.

In realtà, benché Equus caballus fosse abbastanza comune nel mondo mediterraneo greco-romano, esso si rarefa a partire dal VI secolo quando le corse negli ippodromi sono drasticamente ridotte dal vecchio panem et circenses. Successivamente ritorna però in auge nel Medioevo dopo l’invasione araba del secolo VII d.C. e in Francia e in Italia arrivano le “nuove” bestie selezionate negli allevamenti d’Africa Settentrionale tramite Andalusia e Sicilia. Non è però la stessa cosa per il resto d’Europa. Il Nordest continua a preferire una specie più piccola di statura, il tarpàn europeoEquus Przewalski Gmelini – o cavallino lituano oggi estinto (l’ultima giumenta, come c’informa lo zoologo ceco V. J. Stanek, fu macellata nel 1876). E fra Equus caballus e il tarpàn la differenza di mole è notevole! Il primo è un animale che arriverà verso la fine del ‘500 ad un’altezza al garrese di ca. 1,80 m mentre il secondo resterà a 1,50 m. E non solo! I due animali hanno carattere e abitudini abbastanza diversi.

Il tarpàn è un animale che in Europa vive ai margini della foresta e riesce a trovar da mangiare da solo vagabondando nella selva. è resistente ai rigidi inverni settentrionali ed ha una battuta di zoccolo a causa della durezza dell’unghia che gli permette di far presa sul fondo ghiacciato senza necessariamente essere ferrato (lo decantano per questo le saghe scandinave alla conquista del nuovo paese islandico pieno di ghiacciai perenni e lo preferiranno i Tataro-mongoli movendosi verso Occidente sulla groppa della varietà orientale), ma non sopporta pesi troppo onerosi sulla schiena e quindi può, al massimo, trasportare un ragazzo (e per poco tempo) sulle zampe posteriori mentre si rifiuta di essere cavalcato da un adulto corpulento, figuriamoci poi con un’armatura indosso. Ha un carattere abbastanza scontroso e disposto facilmente a mordere e a scalciare.

Naturalmente a parte le numerose razze, Equus caballus invece ha un’indole un po’ diversa. Innanzi tutto è un simbionte del suo padrone e dipende da lui per cura e cibo. Il foraggio deve essere sempre ben scelto e preparato dal padrone perché quest’animale non è molto abituato a cercarsi cibo da solo, se non vi è costretto, e la coltura dell’avena diventa così un elemento indispensabile, ma costoso, del suo mantenimento, specie nel sud dell’Europa dove la pianta ha difficoltà a crescere. Equus caballus resiste benissimo a ore di cavalcate portando pesi notevoli e dunque in guerra. Ama i grandi spazi e deve essere lasciato correre spesso per non intristirlo. è paziente e timido (59), ma affezionato al padrone e talvolta muore addirittura con lui.

Cavallo e tarpàn hanno entrambi una memoria formidabile dei luoghi, dei suoni, delle persone e degli odori e perciò sono utilissimi, specialmente sul suolo innevato dove l’uomo non riuscirebbe a riconoscere il sentiero percorso tempo prima. Al contrario i due animali sanno individuare senza fallo la pista da seguire e, quando la meta è stata raggiunta, s’arrestano e scalpitano per avvisare il padrone! Animali veramente portentosi che suscitano ancor oggi meraviglia in chiunque! 

C’è un episodio tipico nella storia russa in cui il cavallo che trasportava la sacra e famosa icona della Vergine (oggi detta di Vladimir) trafugata da Vysc’gorod da Andrea Bogoljubskii (v. oltre) si fermò e s’impuntò lungo la riva del fiume Kljazma, un affluente destro del Volga, e non volle più proseguire. Andrea addirittura fece fermare la carovana “come il cavallo aveva richiesto” e l’indomani raccontò persino che la Vergine gli era venuta in sogno e gli aveva raccomandato di costruirle proprio là una chiesa. Cosa che naturalmente fu fatta e al luogo fu dato il nome di Bogoljubovo (ossia Amor di Dio) in seguito a quello che era accaduto. Di fatto l’episodio, avendo coinvolto un animale magico e divino, legittimò agli occhi di tutti la fondazione del nuovo centro politico di Vladimir-sulla-Kljazma in concorrenza con la santa Kiev, come appunto voleva Andrea…

Non vorremmo dare però l’impressione che Equus caballus fosse sconosciuto o che ci vogliamo dedicare troppo al guerriero nordico descrivendolo come un cavaliere mancato! Non è così. Le Cronache Russe già nei primi eventi ci parlano di cavalli usando la parola kon’. Sono forse i tarpàn visto che kon’ non indica esattamente Equus caballus che invece è detto losc’a o losc’ad’ (con parola turca, la lingua dei nomadi che li vendevano)? Quale fosse l’atteggiamento verso Equus caballus è sottolineato invece da un episodio che le Cronache raccontano del knjaz Oleg, venuto dalla natìa Ladoga intorno al X secolo lungo le vie fluviali alla conquista del sud. Costui aveva chiesto una volta ai suoi astrologhi come e quando sarebbe morto e costoro gli avevano detto che il suo cavallo l’avrebbe ucciso. A causa di questa previsione Oleg non montò più in sella. Un giorno di ritorno verso Ladoga quando gli dissero che il suo animale era ormai morto, ridendo della funesta previsione precedente, dopo tanti anni si fece sellare un cavallo e andò ad onorare la tomba della bestia morta: omaggio dovuto ad un essere divino. Dal teschio ne uscì una vipera che lo uccise, proprio come gli era stato predetto dai veggenti! La scena è importante perché indirettamente ci conferma la sacralità del comune cavallo in tempi ancora pagani perché esecutore del destino deciso dagli dèi. E ancora, ma in tempi posteriori, il già nominato Andrea Bogoljubskii (nel 1149) fa seppellire con una solenne cerimonia (cristiana stavolta) la sua cavalcatura morta in uno scontro militare! Ma allora, fosse il tarpàn o il cavallo comune, quale ruolo distingueva nella vita russa queste due specie così simili?

Equus caballus in verità è collegato con la morte, con gli scenari da fine del mondo e, col Cristianesimo, all’Apocalisse. Le testimonianze delle Cronache gli attribuiscono un ruolo malefico e sono davvero molte (33). Ad esempio, nelle Cronache si narra nel 1092 di una pestilenza (o di una qualche altra malattia simile) che aveva procurato tanti morti a Polozk e nei villaggi vicini dove leggiamo: «Era stata insomma un’armata intera di demoni che aveva scorrazzato per la città a cavallo, ma invisibile ad occhio umano…». In una parola solo il diavolo cavalca e giusto per portare la morte! Ovviamente, quando nel 1223 apparvero i Tatari, il terribile evento fu l’ultimo sigillo che confermò le ataviche paure russe attribuite al cavallo, sebbene molti di questi guerrieri montassero dei tarpàn! Un altro esempio, d’altronde ambivalente, è il racconto delle Cronache di come, Svjatoslav, figlio di Olga e di Igor, nel 965 sbaraglia l’Impero Cazaro che dominava Kiev da anni con la una formidabile cavalleria. Questo principe variago-slavo addirittura viene detto guerriero veloce e quatto (quanto un leopardo, dice la Cronaca)! Dorme poco e con la testa poggiata alla “sella”! Se così fosse, come fece a battere i Cazari soltanto con i suoi guerrieri russi… a piedi? In realtà l’accenno al leopardo nella Cronaca e alla sella si riferisce, secondo L. Prozorov (61), ad un modo tutto “russo” di usare i cavalli! Secondo il nostro autore infatti, gli antichi russi andando a caccia portavano con loro delle belve ammaestrate, come appunto il leopardo, legati in groppa ad un cavallo per poi sguinzagliarle al momento giusto dietro la preda e quella volta Svjatoslav aveva agito allo stesso modo, come se andasse a caccia. Una parte degli armati furono dunque trasferiti via fiume sulle barche e un’altra (piccola) parte, quelli più assetati di sangue evidentemente, sui cavalli lungo le rive. Sul campo poi costoro come vere bestie da preda smontano e, insieme agli altri, per il numero e per la loro arditezza riescono a battere a piedi la cavalleria cazara. è chiaro che i cavalli a disposizione dei russi non erano molti né (forse) erano Equus caballus, ma (questa è una nostra ipotesi) quasi certamente i più “bestiali” trasferiti nel modo che abbiamo detto erano proprio quelli della compagnia armata personale del knjaz! Per fortuna (russa) la cavalleria cazara era costituita da mercenari e, non appena previde l’esito sfavorevole (per loro) della battaglia, abbandonò il campo! L’ambiguità però è in un’altra scena con lo stesso principe che stavolta è descritta, non dalle Cronache Russe che coccolano troppo il nostro personaggio, ma dal segretario imperiale Leone Diacono. Svjatoslav battuto dalle truppe romane deve trattare con l’Imperatore Giovanni Zimisce, ma, mentre l’Imperatore è a cavallo, il russo è seduto nella sua barca! Leone Diacono addirittura nel seguito del suo scritto dice che i russi non sanno andare a cavallo e che non avranno mai una cavalleria! E siamo nel 971 d.C., qualche anno dopo l’impresa contro i Cazari!

Insomma presso i russi, quando il cavallo c’è, un suo uso militare non è chiaramente confermato né si può esser sicuri che si parli di Equus caballus e non di tarpàn! A parte ciò anche in Occidente il cavallo era usato piuttosto come veicolo al trotto che come animale da guerra e lo possiamo immaginare al galoppo lungo le strade militari romane per il servizio militare di posta! Nelle Terre Russe dove le strade lastricate non esistono i movimenti avvengono in prevalenza via correnti d’acqua e, benché nelle Cronache si menzionino mandrie di 3000 cavalle e 1000 stalloni di proprietà del già detto Oleg oppure di Igor, marito di santa Olga, non abbiamo notizia certa che nei castelli russi ci fossero stalle per tanti cavalli… Molto probabilmente i numeri sono un’esagerazione dei cronisti che vogliono evidenziare la ricchezza e la potenza dei personaggi oppure si riferiscono a (ex) mandrie di stalloni sacri da sacrificare agli dèi pagani! Anzi, diremo di più. Osservando la pianta del castello di Ljubec’ costruito da Vladimiro Monomaco (secolo XII), pro-pronipote del nostro Svjatoslav, sulla riva sinistra del Dnepr proprio di fronte a Kiev la misura e il numero delle stalle individuate da B. A. Rybakov (46) di sicuro non sono in grado di alloggiare un numero di bestie pari a quello menzionato sopra. è bene aggiungere che l’alto prezzo d’acquisto e il mantenimento della bestia restano degli elementi distintivi per chiunque voglia possederne! Avere un cavallo denuncia l’alto status sociale del possessore, mentre la sua funzione come animale da guerra è considerata un uso “improprio” degno dei nomadi selvaggi, al contrario del punto di vista occidentale. Giusto per tutti questi motivi nella Pravda Rus’ka il cavallo e lo stalliere, sono dei soggetti abbastanza importanti sui quali il testo legifera e fissa multe salate per chi fa loro danno. E poi ci sono le testimonianze affidabilissime di autori arabi del X secolo d.C. che ci informano che il cavallo per il “nobile russo” era un animale da sacrificio! Era interrato o bruciato col suo padrone morto (e gli scavi archeologici lo confermano!).

Il tarpàn al contrario è considerato un animale positivo. Lo vediamo intagliato sull’apice della trave portante del tetto a far da protezione alla casa contadina, nei motivi di ricamo e nelle impugnature degli arnesi con significato apotropaico. Tuttavia, siccome è usato dai mercanti per trascinare le barche sugli spartiacque o per aiutare il contadino nel lavoro dei campi, non può essere un animale da principe o da nobile, seppure sia molto probabile che fosse usato come animale, diciamo così, di rappresentanza da parte della nobiltà locale, magari con qualche esemplare più grosso di altri o con qualche incrocio…

Lasciamo allora qui il problema di distinguere le due specie così come l’abbiamo sceverato finora e passiamo a qualche altra considerazione. La cavalcatura di solito permetteva a chi la montava di muoversi in battaglia torreggiando fra i propri uomini in modo da esser subito visto da lontano mentre mutava di posizione! Le testimonianze occidentali sul Cavaliere sono pure in questo senso (75) dove il cavallo serviva per portarsi più vicino possibile all’avversario, ma poi si smontava e si combatteva a piedi. E tale uso durerà per molti anni, prima che si affermi una vera cavalleria da lanciare in campo di battaglia. Tale uso è ancor più logico in un Nord dove, a causa delle condizioni geografico- climatiche, è difficile pensare a dei cavalleggeri che si scontrano e si caricano in caroselli spettacolari, data la mancanza di ampi spazi aperti con suolo abbastanza duro… salvo che nelle steppe ucraine! A primavera non appena si sciolgono le nevi il suolo diventa talmente melmoso che non ci si può muovere neppure a piedi per qualche mese: è la terribile rasputiza! A causa di ciò le campagne militari, per di più, si conducevano d’inverno quando il ghiaccio sulle paludi e sui corsi d’acqua creava delle aree dove gli uomini si potevano almeno schierare, ma, lo ripetiamo per la cavalleria, questo è un terreno difficile e infido su cui muoversi… E lo impararono a proprie spese i nomadi Peceneghi stessi a cavallo in uno scontro con il figlio di san Vladimiro, Jaroslav il Saggio, nell’attraversare un lago ghiacciato nelle vicinanze di Kiev oppure nel 1242 i Cavalieri Livonici quando, nella più famosa Battaglia del Ghiaccio contro Alessandro Nevskii, sprofondarono nelle acque del lago di Pskov avendo rotto la crosta gelata col peso eccessivo delle loro cavalcature!

Avete pensato per un istante al mercante di cavalli di quei tempi? E non lo immaginate meravigliarsi di non riuscire a venderne ai russi in gran numero, come invece gli riusciva con i greci di Costantinopoli persino attraverso i russi stessi? Eppure l’Imperatore Costantino VII (71) informa che i Rus’ ne comprano dai nomadi Peceneghi… Per farne che cosa poi, ci chiediamo, se le strade qui non ci sono, le radure sono rare e occupate da campi coltivati e villaggi e le uniche vie di comunicazione fra un punto e l’altro sono gli innumerevoli fiumi laghi e paludi? è vero! Kiev confinava coi più grandi allevatori europei di Equus Caballus ossia gli Ungheresi o Magiari. Questa gente proprio a partire dal X secolo cominciò a esportare cavalli di pregio in tutta l’Europa del nord e dell’ovest (e lo fa ancora ai giorni nostri) con forti ricavi. Originari dell’Alto Volga, i Magiari erano emigrati nella Pannonia seguendo i Bulgari. Si erano però fermati abbastanza a lungo (ca. IX secolo) sotto Kiev per avere dei contatti da partners commerciali con l’élite variago-slava prima di stabilirsi definitivamente al di là dei Carpazi…

è chiaro perciò che, finché le guerre e gli scontri avvengono nel nord dove le pianure libere da foresta non ci sono, di cavalli non ce ne sarà bisogno, ma quando le campagne militari si sposteranno nella steppa ecco che occorrerà averne. Evidentemente nel X secolo non era ancora questa la situazione della Rus’ di Kiev

Persino gli stessi san Giorgio e l’arcangelo Michele, santi cavalieri, nella prima iconografia russa (XII secolo) appaiono senza il cavallo e certamente proprio per tutte le inferenze negative di Equus caballus dette prima e conservatesi nell’immaginazione collettiva. La prima moneta in cui è rappresentato ufficialmente un uomo a cavallo apparirà soltanto nel Trecento (51) e sarà il sigillo di Alessandro Nevskii, personaggio di cui parleremo brevemente più avanti.

E allora, quelle immagini tradizionali delle epopee russe, i famosi bogatyry (eroi) delle byline più popolari e più famose come Il’ja Muromez o Aljòscia Pòpovic’ dipinti su possenti cavalli, da dove saltano fuori? A nostro avviso sono delle idealizzazioni artistiche senza senso storico… Secondo noi, occorre credere a Ibn Rusté (fonte persiana della fine del X secolo) che lo dice chiaramente una volta per tutte (62): «Ma (i Rus’) la loro arditezza non la mostrano sul cavallo, tutti i loro assalti e campagne militari li eseguono… sulle navi!».

Concludendo possiamo affermare che il cavallo comune, Equus caballus, era conosciuto sin dalle origini della storia russa, ma era temuto per i suoi poteri portentosi e poco usato in guerra! Come animale divino naturalmente ha la facoltà di parlare, ma può dialogare solo col principe – sacro lui stesso – per dargli consigli e suggerimenti opportuni! Tutto ciò non esclude che nasca un’organizzazione militare “russa” con cavalli né un’evoluzione ulteriore verso una cavalleria istituzionalizzata come apparirà nel 1500. Noi non toccheremo questa data giacché la nostra indagine si fermerà prima dell’istituzione della cosiddetta opric’nina da parte di Giovanni IV il Terribile, in cui questa specie di armata – parzialmente in sella – costituisce, dice Musin (33), l’anti-cultura del Cavalierato russo

            

LETTERATURA selezionata

   Le note poste fra parentesi nel testo rimandano all’opera che tratta la questione meglio di altre.

    

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©2008 Aldo C. Marturano, da Alla ricerca dei cavalieri russi, di Aldo C. Marturano.

   


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