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           MEDIOEVO ERETICALE

    a cura di Andrea Moneti


parte prima

  

I catari: un dualismo cristiano

L’eresia catara è l’eresia medievale per eccellenza. È l’eresia più importante e diffusa in tutto l’occidente cristiano ed è quella per cui è stata istituita l’inquisizione, frutto della reazione decisa da parte della Chiesa. Fu un ricco movimento, non sempre coerente ed uniforme, che attraversò un lungo spazio di tempo, a cui partecipò un’ampia fascia della società medievale. Contrariamente a quanto si è scritto, l’eresia catara dei secoli XI-XII non fu un risveglio dell’antica dottrina della gnosi, o del manicheismo, ma, pur dualista, rimase sempre nell’ambito del cristianesimo. La loro interpretazione dua­listica niente, o poco, aveva del dualismo cosmogonico e metafisico dei manichei e della dottrina di Mani (nei testi catari che sono giunti fino a noi è assente ogni riferimento a testi o comunque a insegnamenti manichei). Il loro era, piuttosto, un dualismo antropologico, dovuto ad una interpretazione particolare delle Scritture neotestamentarie, riferendosi specialmente alle lettere di S.Paolo e al Vangelo di Matteo, costantemente in­vocate dagli eretici come vere e proprie auctoritates, fonti d'ispirazione di tutta la loro dottrina morale e religiosa. Non a caso i Catari erano soliti chiamarsi Christiani o Boni Christiani (o anche Boni Homines), accettavano il Nuovo Testamento, e credevano nell'esistenza di due principi contrapposti, il Bene ed il Male, rappresentati rispettivamente dal Dio santo e giusto, descritto nel Nuovo Testamento e padre di Cristo, autore di tutte le cose buone ed eterne, e dal Dio malvagio, o Satana, responsabile delle cose visibili e transitorie.

Alla base del loro rifiuto ad accettare i sacramenti, la resurrezione dei corpi, la validità dei suffragi,e dei giuramenti, e la facoltà della Chiesa di con­dannare e punire, era un’esegesi letterale del Nuovo Testamento e delle lettere paoline.Tra i passi maggiormente citati dai catari per suffragare le loro asserzioni e che spesso facevano parte del loro cerimoniale liturgico, citiamo «Nemo potest duobus dominis servire ... non potestis Deo servire et Mammo­nae» (Mt. VI, 24) e «Non potest arbor bona malos fructus fecere, neque arbor fiala bonos fructus facere» (Mt. VII, 18). Ricordiamo anche la parabola del buon samaritano, nella quale i «latrones» rappresentavano le potenze del male e il buon sama­ritano ovviamente Cristo. Ma possiamo anche menzionare le lettere di S.Paolo, adottate dai catari per evidenziare il peso opprimente della carne e del mondo terreno: «Scio enim quia non habitat in me, hoc est in carne mea, bo­num» (Rom. VII, 18).

A una precisa ispirazione evangelica e apostolica ci riporta anche la liturgia catara, soprattutto il rito del consolamentum, il più importante rito della chiesa catara, e il Pater noster, che costituiva per il cataro la preghiera per eccellenza e che, nella tradizione catara, troviamo preferita la va­riante «panem supersubstantialem» (del Vangelo di Mt. VI, 11) al posto del classico «panem quotidianum» del rito cattolico. Alla impositio manuum del rito battesimale del cristianesimo apostolico e tradizione liturgica dei primi secoli della Chiesa, caduto poi in disuso nei secoli successivi, si ricollega anche il rituale cataro del consolamentum. I catari che rifiutavano il battesimo d'acqua, amministrato da sacerdoti, ritenuti inadatti, per la loro indegnità, a conferire la grazia dello Spirito Santo, si rifacevano alla testimonianza evangelica relativa al bat­tesimo di Giovanni: «io vi battezzo in acqua a peni­tenza, ma colui che verrà dopo di me, più potente di me e al quale non sono degno di legare i calzari, vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Interpretavano questo battesimo spirituale, o nello Spirito Santo, come l'autentico ed unico rito d'iniziazione evangelica, celebrato negli Atti degli Apostoli per mezzo della imposizione delle mani. Anche la condanna catara del matrimonio e degli atti carnali è desunta da passi noti neotestamentari e paolini: pensiamo, ad esempio, al testo di S.Paolo nel quale il matrimonio è sconsigliato, o è considerato come puro «remedium concupiscentiae», esaltando, per contro, l'ideale della continenza e della verginità.

Le origini del catarismo

Le cronache di Rodolfo Glabro e di Ruggero di Hoveden e, specialmente, gli atti dei sinodi di Orléans e di Arras, parlano di un fiorire di movimenti ereticali in diverse località della Francia, dell'Italia e della Germania nella prima metà dell'XI secolo. Il cronista Ademaro di Chabannes parla per la prima volta dei «manichei» di Aquitania che negavano il battesimo e i sacramenti, astenendosi dai riti e vivendo in castità alla stregua dei monaci. Nel 1025, Gerardo, vescovo di Cambrai e di Arras (1013-1051) interrogò un gruppo di artigiani di Arras, che ripudiavano la Sacra Scrittura, ad eccezione dei Vangeli e degli scritti apostolici, e che manifestavano un disprezzo profondo per le cose del mondo. Non credevano nella salvezza mediante i sacramenti e propugnavano uno stile di vita semplice, casto ed austero. Professavano anche una decisa opposizione alla dottrina della presenza reale del Cristo nell’eucarestia e negavano anche il culto dei santi. Negli stessi anni, nel 1022, una decina di chierici della chiesa di Santa Croce ad Orléans furono accusati di dottrine manichee. Tra loro solo un prete ed una suora abiurarono, mentre gli altri (tra 10 e 14) furono bruciati sul rogo il 28 Dicembre dello stesso anno e questa fu la prima volta che si bruciavano in Occidente degli eretici sul rogo. Quelle giunte a noi sono testimonianze spesso contraddittorie e confuse e non ci permettono di avere una idea esatta sulle effettive interpretazioni di questi movimenti. Ma in qualche modo testimoniano che i primi germi dell’eresia catara stavano già sorgendo nei primi anni del secolo XI.

Seguendo questa chiave interpretativa interessanti sono anche le dottrine introdotte dagli eretici di Monteforte che sono, infatti, tra i primi che mostrino concezioni religiose tipicamente dualistiche, profes­sando un radicalismo religioso ed un ascetismo duro e deciso, giungendo perfino alla soppressione dei moribondi (anticipando in qualche modo la prassi dell’endura catara). Praticavano la comunione dei beni, la continenza anche nel ma­trimonio, l’astensione dal consumo di cibi animali, e digiuni continui. Avevano anche un’organizzazione di tipo ecclesiastico distinguendo i maiores dagli altri adepti. Nonostante le notizie di cui disponiamo siano poco attendibili, Rodolfo Glabro e Landolfo Seniore ammettono che la setta era comunque numerosa, e tra le sue fila figuravano alcuni nobili e la stessa contessa del castello di Monforte.

Sono tutti tratti comuni a quelli dei catari. Oltre alla distinzione fra due sfere di influenza del dio buono e del dio malo, tendendo ad attribuire tutto ciò che è carnale a quest’ultimo principio, anche i catari rifiutano il consumo dei cibi di carne e delle uova, il coito, la gerarchia cattolica, negano la validità dei sacramenti, delle preghiere per i defunti e non credono nella maternità di Maria, né nella passione di Cristo. Anche loro dividono i fedeli, suddividendoli in credenti e perfetti, a seconda se hanno o no ricevuto il consolamento. È assai probabile, però, che, nella sua fase originaria, il movimento cataro, oltre ad una reinterpretazione di un humus culturale e religioso, in ebollizione e preesistente, nella Francia meridionale e nell’Italia centro-settentrionale, sia stato influenzato, se non derivato, dal bogomilismo, altro movimento ereticale già fiorente nei Balcani alla fine del secolo X, per cui vale la pena spendere alcune parole.

Il movimento dei bogomili - il cui nome deriva da Bogomil, un prete portavoce dei contrasti del mondo contadino slavo con lo zar Pietro (927-969) - si rifaceva direttamente agli ideali evangelici, in aperto contrasto con la Chiesa e gli abusi di un sacerdozio degenere. I principali assunti dell'eresia bogomila erano un fervente rigorismo morale, il distacco dai beni materiali e tangibili, il ripudio dei miracoli, che credevano opera diabolica, e, di conseguenza, il culto dei santi e delle reliquie. Non adoravano la croce, perché era stata lo strumento della tortura e della morte del Redentore, e non credevano che Dio Padre fosse l'autore del mondo visibile, a causa delle tante manifestazioni del male. Sostenevano anche che Cristo e gli apostoli non avevano stabilito né la comunio­ne, né la messa e la liturgia, e non prestavano il culto alla Vergine, a cui tanta importanza la Chiesa aveva ed ha tributato; contestavano pure il culto delle immagini. Identificavano il demonio con il «principe di questo mondo» e di tutte le cose del mondo visibile e, come i catari, ripudiavano il battesimo ed avevano come preghiera principale il Pater noster. Queste sovrapposizioni di pensiero e dottrinali vengono sottolineate anche dai controversisti cattolici dei primi del Duecento, in particolare Rainerio Sacconi, che per ben diciassette anni era appartenuto alla setta catara, che, in più di un’occasione, citano la «Ecclesia Burgariae» e la «Ecclesia Drugunthiae». Questa è una chiara testimonianza delle rela­zioni esistenti tra le sette catare italiane ed occitane e le sette bulgare dei bogomili, movimento ereticale che si era già affermato nei Balcani fin dal X secolo, relazioni probabilmente nate e sviluppatesi attraverso i maggiori contatti con l'Oriente, a seguito delle crociate, e la diaspora in Occidente di alcuni missionari bogomili, espulsi da Bisanzio nel 1143 per decisione del­l’imperatore Manuele Comneno. È assai probabile che l’influenza di queste dottrine, mutuate ed arricchite con tematiche proprie dell’Europa occidentale, abbia partorito un sincretismo che è poi divenuto il Catarismo. Non è un caso che il nome stesso del movimento derivi dal greco Kàtharos (= puro).

L’eresia catara conobbe una maggiore diffusione nella Francia meridionale, nelle Fiandre e nell'Italia centro-settentrionale, allora le zone più vive dal punto di vista culturale ed economico, aree socio-economiche dove si avvertiva con maggiore sensibilità la discrepanza tra i testi evangelici e l’atteggiamento, spesso immorale e simoniaco, della gerarchia ecclesiastica. La liturgia e la ritualità catara rendevano i fedeli partecipi, anche se con livelli e modalità differenziate, soddisfacendo proprio quella domanda di adesione laica che, soprattutto a partire dal XII secolo, si diffuse un po’ in tutta la società medievale. Era il 1143 quando Evervino di Steinfeld scrisse a San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) per informare sulla presenza nella Renania, a Colonia, di eretici, che accettavano solo il Padre Nostro come preghiera e si rifiutavano di frequentare le chiese e ricevere i sacramenti, eccetto una particolare forma di comunione. Evervino, riferendosi a loro, parla pure di un episcopus e del battesimo degli adepti per imposizione delle mani. Non passarono che pochi anni quando lo stesso Bernardo si recò nella Francia meridionale, invitato dal legato pontificio cardinale Alberico di Ostia, rendendosi conto in prima persona del grado di diffusione raggiunto dal catarismo in tutta l’Occitania (i catari furono detti anche albigesi per il nome della città di Albi, dove la loro presenza era massiccia).

Diffusione del catarismo

Come abbiamo accennato, il catarismo si diffuse soprattutto nelle regioni economicamente più attive e socialmente e culturalmente più vivaci dell'Europa occidentale del secolo XII, quali il Mezzogiorno, la Spagna orientale, l'Italia centro-settentrionale, la Borgogna e la Renania. Si trattava di società in rapido sviluppo che conoscevano un complesso fervore creativo. Il catarismo riuscì ad inserirsi in questo contesto dinamico, offrendo un'alterna­tiva religiosa a quella domanda di partecipazione laica che, già a partire dal XI secolo, spontaneamente spingeva gruppi ed individui alla ricerca di una propria identità religioso-culturale. Non a caso tra i credenti e i perfetti catari troviamo sarti, fabbri, conciatori, mugnai, tavernieri, osti, conciatori, pellicciai, tessitori, venditori ambulanti, e artigiani in genere, ma anche appartenenti all’alta borghesia cittadina come proprietari di beni di terreni e immobili in città, mercanti, imprenditori e banchieri. Tra i catari molte furono anche le donne. In un periodo e in aree in cui le forze politiche e sociali, vecchie e nuove, erano in aperto contrasto con i centri di potere ecclesiastici e monastici al fine di eroderne il potere e prestigio, i catari, che non possede­vano chiese o sedi, né tanto meno vasti patrimoni fondiari e diritti signorili, come i feudatari ecclesiastici, sia vescovili che monastici, e svincolati da interessi e proprietà materiali, conobbero un consenso non indifferente.

Particolarmente recettiva ad accogliere la dottrina catara si dimostrò la Linguadoca dove intorno ai «buoni cristiani», come amavano definirsi, si creò un’estesa rete di solidarietà. Questa regione dal punto di vista politico, linguistico e culturale, era profondamente diversa dal resto della Francia. Parlava la lingua d'Oc e non l'Oil, come nel resto del paese; aveva saputo sviluppare la lirica dei trovatori (molti dei quali, come, ad esempio, Guglielmo Figueira, furono catari); forte era la tolleranza verso gli ebrei e i pensatori in genere (eterodossi e non). Testimonianza significativa della rilevanza che il movimento aveva saputo assumere nel corso del XII secolo, è il concilio cataro di a Saint Felix de Caraman, una località della Francia meridionale nei pressi di Tolosa, nel 1167, dove si diedero appuntamento i maggiori esponenti dell'eresia catara, alla luce del sole e in aperta sfida alla Chiesa, rendendo così palese l’esistenza di un'organizzazione strutturalmente definita. Lo stesso abate Enrico di Marcy, parlando di Tolosa, dipinge un quadro a tinte fosche e arriva a sostenere che, stando le cose com’erano, nella regione non vi sarebbe stato più un cattolico nel giro di tre anni. Anche i maggiorenti erano o simpatizzavano per i catari: Ruggero II Trencavel, uno dei maggiori signori dell’area, risulta fortemente compromesso con tutta la sua famiglia; sua moglie Adelaide mantiene addirittura a corte Bernardo Raymond, consacrato a St Felix vescovo cataro di Tolosa, e Raimondo di Barniac, uno dei saggi cui era stato affidato il compito, sempre nello stesso concilio, di definire i confini dell'istituenda diocesi catara di Carcassonne. Ma la cosa che ancora più sorprende è che, grazie ad un salvacondotto,  troviamo Bernardo e Raimondo a Tolosa, dove dibatterono pubblicamente con Enrico di Marcy, sostenendo apertamente la loro posizione dogmatica, per ritornarsene incolumi e senza restrizione alcuna alla corte di Adelaide.

Non abbiamo più, quindi, a che fare con un movimento spontaneo, ma con una struttura di tipo ecclesiale, dotata di una propria gerarchia e liturgia, in grado di soddisfare esigenze spirituali e religiose di vasta portata. Il movimento nella Francia meridionale, già nella seconda metà del XII secolo, era strutturato in quattro chiese: Agen, Tolosa, Albi e Carcassonne. A capo di ogni chiesa era collocato il vescovo, assistito nelle sue funzioni da un «figlio maggiore» e un «figlio minore». In caso di morte del vescovo, il figlio minore provvedeva alla consacrazione vescovile del figlio maggiore e questi, a sua volta, consacrava il nuovo figlio minore eletto dalla comunità. Accanto al vescovo e ai due figli minore e maggiore, in ordine gerarchico, c’erano i diaconi, che svolgevano funzioni similari a quelle di un sacerdote o di un parroco in ambito cattolico, ed infine i «perfetti», il cuore del movimento, accompagnati da un alone di santità e di ammirazione tra i seguaci.

Il concilio di St Felix, dove addirittura si parla della presenza di un «papa» cataro, Niceta della chiesa di Dragovitza, proveniente dai Balcani o da Bisanzio, non fu altro che la punta di un iceberg di ben più ampie dimensioni. Questo non spiega soltanto il largo consenso ottenuto dal catarismo presso larga parte della popolazione e a tutti i livelli sociali, ma anche il timore che colpì la Chiesa cattolica (non a caso nel Basso Medioevo il cataro divenne l’eretico per eccellenza). Fu proprio la penetrazione del catarismo che spinse Innocenzo III (1198-1216) a ban­dire la crociata contro i catari nel Mezzogiorno di Francia nel 1208, trasformatasi poi in una vera e propria guerra di conquista da parte dei signori e nobili della Francia del Nord, e che si protrasse per oltre un ventennio, fino alla pace di Parigi del 1229, tra violenze e stragi sommarie che sconvolsero la stessa civiltà occitana. Le chiese catare del Sud francese furono decapitate e la repressione antiereticale portò all'istituzione dell'inquisizione, affidata ai frati Predicatori. I perfetti sopravvissuti trovarono rifugio nella clandestinità o nell'esilio, soprattutto nella pianura padana o nella regione dei Pirenei.

Assieme alla Francia meridionale, l'altra area geografica dove si diffuse in maniera significativa il catarismo fu l'Italia settentrionale e centrale, in particolare l’area lombardo-veneta (nella metà del Duecento il frate Raniero Sacconi, lui stesso ex-cataro, afferma che fossero erano circa 2.500 i “perfetti”, coloro, cioè, che avevano ricevuto il sacramento del con­solamentum e che conducevano un'esistenza ascetica e spirituale). Tra le cause che ne favorirono la diffusione, oltre ai motivi economico-sociali introdotti in precedenza e alla presenza di esuli fuggiti alla repressione scatenata dopo la crociata albigese, dobbiamo annoverare anche il lungo contrasto tra i Comuni e il Barbarossa, che dette vita alla Lega Lombarda, che coinvolse direttamente il Papato.

Rispetto al movimento francese, il catarismo italiano si caratterizzò per la sua frammentazione e per i contrasti interni che portarono, in breve tempo, a ben sei chiese, separate le une dalle altre e ognuna con una propria gerarchia e specificità dottrinali:

ü                la chiesa di Desenzano (sul Lago di Garda) l’unica che praticava un dualismo di tipo assoluto e i cui adepti si chiamavano albanensi, dal nome del primo vescovo Albano

ü                la chiesa di Concorrezzo (vicino a Monza), la maggiore in Italia e i cui membri si chiamavano garattisti, dal nome del loro primo vescovo Garatto

ü                la chiesa di Bagnolo San Vito (vicino a Mantova), i cui fedeli venivano chiamati bagnolensi

ü                la chiesa di Vicenza o della Marca di Treviso

ü                la chiesa di Firenze, fondata da Pietro (Lombardo) di Firenze, di cui fece parte il famoso condottiero ghibellino Farinata degli Uberti, nominato nell'Inferno di Dante

ü                la chiesa di Spoleto e Orvieto

 

La chiesa di Concorezzo era quella numericamente più consistente con un numero di perfetti, più di mille e cinquecento, ed era presente in quasi tutta la Lombardia; per importanza seguiva poi la chiesa di Desenzano, con circa cinquecento perfetti e adepti soprattutto in Verona e in molte città padane, poi quella di Mantova con duecento, diffusa anche a Brescia e in Romagna. Le chiese di Vicenza, di Firenze e della valle di Spoleto dovevano, invece, raggiungere il centinaio di perfetti ciascuna.

Il catarismo in Italia ebbe un destino diverso rispetto a quello francese, nonostante l’instaurazione dell’inquisizione e l’attività repressiva della Chiesa. Questo essenzialmente per due ragioni principali: la prima è l'appoggio, in funzione antipapale, che spesso le fazioni ghibelline seppero accordare ai catari, almeno fino alla battaglia di Benevento del 1266 che, con la sconfitta di Manfredi e del partito ghibellino, sancì l’egemonia angioina, facendo, così, mancare appoggi politici e di potere goduti fino a quel momento. La seconda ragione è che nell’Italia centro-settentrionale quasi tutte le città conoscevano una situazione politica dinamica e frammentata. Erano governate da regimi comunali e avevano raggiunto una maggiore auto­nomia giurisdizionale rispetto alle città occitane. I «buoni cristiani» non accumulavano patrimoni fondiari, né pretendevano di esercitare diritti signorili, né intervenivano nella vita pubblica. Non c'era ragione, quindi, di preoccuparsi della loro presenza, né di adeguarsi alle disposizioni delle gerarchie ecclesiastiche. Solo in un secondo momento, le gerarchie ecclesiastiche riuscirono a fare inasprire le normative con­tro i dissidenti religiosi, inaugurando un processo di vera e propria criminalizzazione degli etero­dossi, come pure di tutti coloro che in vario modo li favorissero, obbligando, di fatto, le autorità comunali ad accettare i contenuti della nuova strategia antiereticale.

Il momento decisivo fu il moto dell' Alleluia, che intorno al 1233 vide per la prima volta impegnati i membri i nuovi ordini mendicanti, domenicani e francescani, in una vasta e vivace campagna moralizzatrice e pacificatrice. Con­dannando duramente il lusso, invitando a superare le discordie e le lotte intestine che laceravano le città comunali, riuscirono a portare avanti una predicazione estremamente efficace, che venne accolta da larga parte della popolazione, ottenendo il consenso necessario per dar vita ad una lotta senza quartiere contro eretici ed eresie. Gli ordini mendicanti si adoperarono in tutti i modi possibili per tradurre i loro messaggi in norme antiereticali da inserire negli statuti comunali. In molti casi arrivarono a minacciare le autorità comunali, che si mostravano restie ad accogliere tali provvedimenti, di scomunica e interdetto, determinando l’interruzione delle celebrazioni liturgiche e dell’amministrazione dei sacramenti in quelle città e borghi che non accettavano il nuovo corso degli eventi. Iniziò allora il declino del catarismo anche in Italia che raggiunse l’apice nel 1276 quando venne espugnata la rocca di Sirmione, dove si erano asserragliati i vescovi delle chiese di Desenzano e Bagnolo San Vito e con loro numerosi perfetti italiani e occitani. Tutti furono arrestati e portati a Verona, e nell’Arena di quella città 174 perfetti trovarono la morte sul rogo nel 1278.

Il culto cataro

Come abbiamo visto, i catari erano dei cristiani che interpretavano il Nuovo Testamento secondo un schema di tipo dualistico, ma distinto da quello dei manichei, con i quali vennero spesso accomunati dai inquisitori cattolici. Credevano nell'esistenza di due principi contrapposti, il Bene ed il Male, impersonificati, rispettivamente, dal Dio santo e giusto, definito nel Nuovo Testamento, e dal Dio nemico, o Satana. Sostenevano che il Male conducesse una continua ed incessante lotta contro il Bene per contendergli la vittoria. Secondo la dottrina catara il mondo materiale non era stato creato da Dio, ma era interamente opera di Satana e non era altro che una sua manifestazione. Anche l’origine del corpo umano era considerata diabolica, in quanto creatura di carne. Ma la vita, intesa come anima o spirito, era opera di Dio.

Reinterpretando la Genesi, i catari sostenevano che Satana indusse Adamo ed Eva a quell’unione carnale che avrebbe sancito il loro imprigionamento nella materia. Da quel momento in poi, attraverso la procreazione, lo Spirito si sarebbe moltiplicato e suddiviso all’infinito per opera del Demonio che, pur essendo incapace di creare, sapeva essere un grande seduttore di anime. Una volta catturate, le avrebbe poi portate prigioniere sulla Terra, introducendole nella Materia, per principio loro estranea, causa di sofferenza per le anime perché separate dal Dio Buono, con il quale vivevano in beatitudine e a cui anelano di ritornare. I catari proponevano, pertanto, un distacco dal mondo terreno e dai suoi valori per proporre l’attenzione verso un mondo celeste e luminoso di ben altro valore. Il mezzo per cui le anime potevano essere liberate e ritornare alla loro dimensione spirituale, fuori dal tempo, era la conoscenza, la consapevolezza della loro natura.

La maggior parte delle sette catare credevano nella trasmigrazione delle anime da un corpo all’altro, in una sequela di nascite e di morte, con diversi gradi di perfezione. Chi avesse condotto una vita onesta, sarebbe stato ricompensato reincarnandosi in un corpo più favorevole al suo progresso spirituale, fino alla definitiva liberazione. Chi, invece, trascorreva la sua vita nel crimine, si sarebbe degradato, reincarnandosi perfino in un animale. Perché le anime potessero tornare al Dio Buono,  che non poteva avere nessun contatto con la Materia, creata dal Principe del Male, Dio inviò un Messia, un Mediatore, Gesù, che secondo i Catari, era anche il più perfetto degli Angeli. Gesù scese nel mondo impuro della Materia, senza incarnarsi, però, perché non aveva corpo. La sua fu solo apparenza, una visione. Secondo l’interpretazione catara del Nuovo Testamento, Gesù, infatti, non ha potuto soffrire e trovare la morte sulla croce perché il suo corpo, che non era fatto di materia, non poteva provare dolore, né morire né risuscitare (aderendo, così, al concetto docetista della mera apparenza della nascita, sofferenza e morte di Cristo sulla terra). Prima di risalire in cielo per tornare alla sua vera essenza, insegnò agli Apostoli la via della salvezza lasciando alla Chiesa in Terra lo Spirito Santo a conforto delle anime esiliate. Il Demonio, però, era riuscito a sopprimere e a sostituire la chiesa di Cristo con un’altra falsa chiesa, quella cattolica, così legata al mondo terreno.

L’autentica chiesa cristiana, quella che possedeva lo Spirito Santo, era ovviamente quella catara, mentre la Chiesa di Roma era la Bestia, la prostituta di Babilonia. Per questo i catari sostenevano che chiunque obbedisse alla Chiesa romana non poteva salvarsi. Confutavano anche i sacramenti del battesimo e della comunione poiché, essendo l’acqua del battesimo e il pane dell’ostia fatti di materia impura, non potevano avere in sé lo Spirito Santo. La Croce anziché venerata doveva essere odiata, perché strumento di umiliazione del Cristo. I catari non davano alcuna importanza alle immagini e alle reliquie che la Chiesa cattolica considerava sacre e negavano anche che la Vergine Maria fosse stata la madre di Gesù in quanto, non avendo mai avuto un corpo, non poteva nascere (per i catari ella fu un Angelo che aveva assunto le fattezze di una donna).

Dualismo assoluto, dualismo mitigato

Il movimento cataro, a seconda dell’interpretazione accettata della creazione del mondo e del peccato originale, si divisero in due filoni: quello del dualismo assoluto e quello del dualismo mitigato.

La corrente del dualismo assoluto sosteneva l’esistenza di due principi assoluti ed in antitesi: il Dio buono aveva creato solo esseri spirituali, invisibili e puri, mentre il Dio malvagio era il responsabile della materia e del mondo visibile e causa del male, sia fisico che morale. Il Dio malvagio si era introdotto nel mondo celeste e aveva sedotto le anime portandole con sé sulla terra. Per trattenerle le ha imprigionate nei corpi e ingannate con la sensualità eil Dio buono aveva acconsentito che ciò avvenisse affinché le anime colpevoli fossero punite del loro errore. La terra era dunque un luogo di penitenza e le anime, in virtù della loro originale natura, potevano tornare in cielo solo dopo un periodo di purificazione. Per abbreviare questo periodo, il Dio buono inviò sulla terra suo figlio Gesù, la sua creatura più perfetta e la sua forma corporea, sotto la quale apparve agli uomini, non fu reale. La liberazione delle anime era solo possibile attraverso il rito cataro. Alla morte le anime non purificate entravano in altri corpi e continuavano questa migrazione da un corpo ad un altro fino a quando non avessero raggiunta la piena conoscenza e consapevolezza.

La corrente del dualismo mitigato riconduceva tutti gli esseri viventi ad un solo Dio, principio assoluto e creatore unico, e la coesistenza tra il Bene e il Male sulla Terra veniva spiegata attraverso una mitologia. Originariamente Dio aveva due figli, Satanael e Gesù; il primo, che era il primogenito, era stato investito del governo del cielo e del potere creatore. Ma l’orgoglio lo rovinò: aspirando a spodestare il padre coinvolse altri Spiriti nella rivolta, venendo, però, sconfitto. Dio lo cacciò dal cielo e, confinato nel mondo terreno, egli creò l’uomo e la donna. Dio, mosso dalla pietà e dall’amore creativo, dette un’anima alla creatura umana togliendo a Satanael la facoltà creatrice, lasciandogli, però, il governo della Terra. Successivamente inviò il suo secondo figlio, Gesù, sotto l’apparenza d’un corpo umano per compiere e portare a termine la sua opera redentrice. Questo secondo schema ammetteva quindi un unico principio di tutte le cose create, visibili e non, e sosteneva il ritorno di tutti gli esseri spirituali, Satanael compreso, nel seno di Dio, padre di tutti.

Indipendentemente dalla corrente a cui appartenevano, i catari ritenevano, comunque, peccaminoso l’amore verso le creature e le cose materiali, essendo la creazione opera del principe del male e del mondo visibile. Era, dunque, condannata l’inclinazione sensuale e la bramosia di beni materiali, come il possesso della ricchezza e la guerra. Era proibita l’uccisione degli animali, che potevano essere delle persone un tempo umane che non avevano finito la loro metempsicosi, ed il consumo di latte e carne (era lecito, però, nutrirsi di pesce). Anche il matrimonio era considerato peccaminoso poiché serviva solo ad aumentare il numero degli schiavi di Satana. La santità, o perfezione, catara poteva essere raggiunta solo col celibato ed era frequente vedere degli sposi separarsi di comune accordo per votarsi interamente alla purificazione delle loro anime.

Il rito cataro

Per comprendere il significato della rappresentazione catara dell'Evangelo, sia che appartenesse alla corrente dualista radicale o a quella moderata, dobbiamo sempre ricordare che alla base c’era la visione negativa del mondo quotidiano. Solo così possiamo comprendere la durezza di alcuni riti e il rigorismo ascetico di molte delle sue regole, come l'astensione, già menzionata, dai cibi carnei, abolendo dalla dieta non solo la carne, ma anche uova, latte e derivati, e la pratica del digiuno a pane e acqua, che veniva attuata per tre quaresime all'anno (prima di Natale, di Pasqua e dopo Pentecoste) e tre giorni alla settimana. Il rito cataro per eccellenza era quello del Consolamentum (indicato nelle fonti medievali anche con il termine di Baptismum spirituale), un rito complesso fatto con l’imposizione delle mani, che permetteva al semplice fedele di diventare un “perfetto”. In pratica era una cerimonia che racchiudeva in sé il valore dei sacramenti cristiani del battesimo, della cresima, del sacerdozio ed estrema unzione. Per poter ricevere il consolamentum, il fedele doveva superare un lungo periodo di iniziazione e solo dopo aver dato prova della sua reale ed intima vocazione con digiuni, veglie e preghiera.

Il giorno della cerimonia veniva introdotto in una casa di fedeli, vestito con una lunga tonaca nera a simboleggiare il distacco dal mondo, mentre tutto intorno c’erano ceri accesi che rappresentavano le fiamme dello Spirito Santo. Il perfetto che officiava la cerimonia spiegava al neofita i doni della religione e gli obblighi morali e spirituali ai quali si sottometteva. Dopo aver recitato il Pater Noster, la più importante, ed in pratica, l’unica vera preghiera riconosciuta dai catari, il futuro perfetto abiurava la fede cattolica. Dopo essersi inginocchiato tre volte, chiedeva di essere accolto nella nuova chiesa, promettendo di non mangiare carne, uova e altri alimenti di origine animale, di astenersi dagli atti sessuali, di non mentire né giurare e di non rinnegare la fede per paura della morte. Confessava pubblicamente i suoi peccati e ne chiedeva perdono. Ricevuta l’assoluzione, il perfetto officiante gli poneva sulla testa il Vangelo (la traditio orationis sanctae) e, insieme ai suoi assistenti, imponeva le mani su di lui pregando Dio di inviargli lo Spirito Santo. Poi recitava nuovamente il Pater Noster e gli dava il bacio della pace, imitato poi dai suoi assistenti. A sua volta il nuovo “consolato” baciava il fedele più vicino tra quelli che assistevano alla cerimonia e questo bacio si trasmetteva tra tutti i presenti (se il nuovo perfetto era una donna, l’officiante le toccava una spalla con il Vangelo e il gomito con il gomito). Da quel momento in poi era un perfetto: il vescovo locale gli assegnava un compagno, scelto tra gli altri perfetti, e come tale doveva lasciare tutti i suoi beni alla comunità per darsi alla vita errante, alla predicazione e alle opere di carità.

Il consolamentum era riservato ad un ristretto numero di eletti, mentre al resto dei credenti veniva generalmente impartito soltanto in punto di morte. Era comunque un sacramento “instabile”, mai definitivo, che poteva venire compromesso dal minimo peccato. Da qui non solo la necessità di rinnovarlo ogni qualvolta la presenza di più perfetti lo consentisse, ma anche lo stretto legame con altri due riti: quelli del martirium e dell’endura, entrambi generalmente riservati a coloro che erano in punto di morte. Il primo consisteva nel soffocamento del morente, l'altro nel digiuno totale fino alla morte per inedia. Entrambe le pratiche erano motivate dal fatto che solo nel dolore e nella morte poteva esserci la liberazione compiuta, perfetta ed immediata, dal male, e dalla paura che un'eventuale guarigione potesse trascinare il fedele nuovamente al peccato. Accanto a queste veniva praticata anche la salutatio, o abbraccio, che credenti e perfetti si scambiavano incontrandosi, spesso accompagnata dal melioramentum, un vero e proprio omaggio che il credente rivolgeva con un inchino al perfetto. Al rituale cataro appartenevano anche l’Aparelhament, una confessione pubblica dei propri peccati, e la Caretas, un bacio rituale di pace.

Per quanto riguarda la recita del Padre Nostro, in pratica, l’unica preghiera accettata dai catari (tranne alcune invocazioni minori), questa conteneva alcune significative correzioni del testo. In particolare al “dacci oggi il nostro pane quotidiano” si sostituiva l'espressione “dacci oggi il nostro pane soprasostanziale”, con la quale s'intendeva non tanto rievocare l'Ultima Cena o procedere alla consacrazione del pane stesso, ma invocare sui presenti lo Spirito Santo. I perfetti avevano l'obbligo di recitarlo più volte al giorno, abitualmente in serie da sei (sezena), da otto (sembla) o sedici (dobla).

Due preghiere catare

Le preghiere catare che andiamo a presentare (da Scrittori anticonformisti nel Medioevo, di René Nelli), conservate nei registri dell'Inquisizione, non si differenziano, nella sostanza, dalle preghiere cattoliche ortodosse, ma dal linguaggio impiegato è possibile desumere alcuni termini strettamente connessi al rituale cataro.

1) Pater cataro

Padre nostro, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno. Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano. Sia fatta la tua volontà in cielo come in terra. Perdona a noi i nostri peccati come noi perdoniamo a coloro che ci devono. E non indurci in tentazione.

Padre Nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno e sia fatta la tua volontà in cielo come in terra. Dacci oggi il nostro pane (quello) che è al di sopra di ogni cosa. E perdona a noi (rimetti a noi) i nostri debiti, come noi perdoniamo (rimettiamo) ai nostri debitori. E non indurci in tentazione, ma liberaci dal Malvagio.

 

La preghiera catara che si leggerà ora, e che risale al secolo XIV (Contea di Foix), appartenente alla linea dualistica radicale, pone con risalto l’esistenza di due “principi”: il Dio dreyturier, il Padre Santo, e il Dio straniero (il deus extraneus della Bibbia). I dualisti radicali rifiutavano il libero arbitrio, ritenendo che Dio non potesse avere in sé né la volontà né la potenza di fare il Male. Il libero arbitrio era stato inventato da Satana  per indurre gli angeli a pensare che la possibilità (illusoria) di fare il Bene e il Male fosse supe­riore al semplice potere di fare unicamente il Bene. I catari, sia dualisti radicali che moderati, erano anche dei docetisti e secondo loro Cristo sarebbe venuto sulla ter­ra solo in apparenza (o in un corpo spirituale): non sarebbe perciò nato dalla carne, ma avrebbe soltanto attraversato il corpo della Vergine Maria. Si osserverà infine che la caduta degli angeli è qui attribuita alla tentazione di lussuria - il Diavolo propone loro delle donne «che ameranno molto» - e a quella di orgoglio.

2) Preghiera catara

Padre santo, Dio giusto degli spiriti buoni [1], che non ti sei mai ingannato né mai hai mentito o errato, né hai esitato per paura della morte da assumere! nel mondo del dio straniero - perché noi non sia­mo del mondo né il mondo è nostro - concedi a noi di conoscere ciò che tu conosci e di amare ciò che tu ami.

Farisei ingannatori, che state alla porta del Regno e impedite di entrare a coloro che lo vorrebbero, mentre voi non volete [2].

Per questo prego il Padre santo degli spiriti buoni, che ha il potere di salvare le anime, e fa germogliare e fiorire per merito degli spiriti buoni, e per causa dei buoni dà vita ai malvagi e lo farà finché ci saranno dei buoni al mondo.

E lo farà fino a quando non vi sarà più (in questo mondo) nessuno dei miei «piccoli» che appartengono ai sette regni [3] e che sono caduti dal paradiso, da dove Lucifero li ha tratti con il falso pretesto che Dio non prometteva loro altro che il bene; mentre il diavolo nella sua grande falsità prometteva loro sia il Male che il Bene.

E disse che avrebbe dato loro donne che avrebbero amato moltissimo e avrebbe dato signoria agli uni sugli altri, e disse che vi sareb­bero stati fra loro re e conti e imperatori, e che con un uccello ne avrebbero catturato un altro e con una bestia un'altra [4].

Tutti coloro che si fossero sottomessi a lui sarebbero discesi e avrebbero avuto il potere di fare il Male e il Bene come Dio in alto: per loro dunque sarebbe stato molto meglio essere in basso e fare il Male e il Bene che non essere in alto dove Dio non concedeva loro che il Bene [5].

E così salirono su un cielo di vetro, e quanti vi salirono caddero e furono perduti.

Poi Dio discese dal cielo con dodici apostoli e si adombrò in santa Maria [6].

[Da René NELLI, Spiritualité de l’hérésie: le catharisme, Privat 1953].

  


NOTE

1 “Dio giusto dei buoni spiriti” è una frase che troviamo documentata nella religiosità popolare della Francia meridionale fino al secolo scorso; il concetto di estraneità del “buon cristiano” da questo mondo, governato (e creato) da Satana, ricorda il vangelo di Giovanni (15:19): Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”.

2 Cfr. Matteo 23:13 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci.

3 Cfr. Visione di Isaia: i sette cieli inferiori. Gli angeli dei sette cieli, sedotti da Satana e da lui imprigionati nel mondo materiale; ovvero i “perfetti” in attesa di tornare alla presenza di Dio.

4 È la gerarchia feudale, per sua natura maligna, a essere qui condannata.

5 Evidentemente Dio non ha il potere di fare il Male. Ricevendo la possibilità (illusoria) di fare il Male, gli angeli credono di essere liberi di fare soltanto il Bene se lo desiderano. In questo consiste la trappola satanica. In realtà, la libertà di fare il Male è essa stessa il Male. Sesso, potere e violenza sono per i catari i peggiori peccati.

6 Gesù Cristo e i dodici apostoli sono entità celesti inviate da Dio per salvare le anime; secondo la tradizione catara non Gesù Cristo non era della stessa natura di Dio.

 

    

  

  

©2005 Andrea Moneti

     


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