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Pieter Bruegel il Vecchio, Il Trionfo della morte (1562)
Il
Duecento è sicuramente un secolo di transizione, compresso tra le
innovazioni dell’XI e la grande letteratura del Trecento. è
un secolo di chiaroscuri e contrasti, come solo sanno essere i secoli
medioevali; basti pensare che si apre con la morte del campione del
misticismo Gioacchino da Fiore (1130-1202) e vede tra le sue file il
“razionalista” Sigeri di Brabante (1204-1289), interessato al dato
oggettivo prima di formulare ipotesi. Lo scontro tra razionalismo e
misticismo si combatte sul campo dell’interpretazione biblica e
della predicazione; se i frati domenicani sono i teorici di una
lettura letterale della Bibbia (cfr. Tommaso: «Solo dal senso
letterale può essere tratto argumentum»), il francescano
Bonagiunta da Bagnoregno ribadisce che alla sapienza non si giunge
per scienza ma per sanctitatem, sostenendo che è necessaria una
lettura allegorica del testo sacro. Ma
è anche il secolo in cui la folla appare sempre più prepotentemente
sulla scena, nuovo attore nella rinnovamento chiesto da più parte
alla Chiesa. Mantenere i fedeli nell’ortodossia è la nuova sfida
della Chiesa di Roma; per questo i nuovi ordini agiscono nel mondo,
girando di piazza in piazza e sono autorizzati dal vescovo a esporre
gli articoli di fede e a combattere l’eresia. Vediamo, dunque, direttamente lo scenario del duecento esemplificato attraverso la realtà dell’Italia settentrionale, in cui il mondo comunale convive con la signoria e con residui di feudalesimo. Dal
punto di vista geografico è possibile dividere l’Italia
settentrionale in tre sezioni precise. Area
nord occidentale (lingua. Volgari di natura gallo-italica,
ma anche il provenzale nella Valle
d’Aosta e nelle regioni alpine): si definiscono così alcune
zone del Piemonte, delle regioni alpine
e della Liguria. Qui rimase prevalente la presenza di corti
feudali (Savoia, marchesi di Monferrato); per questo, fin dagli ultimi
decenni del secolo XII, sotto l’influenza delle corti provenzali,
vennero accolti trovatori in lingua d’oc provenienti d’oltralpe.
L’area nord occidentale è il primo centro di diffusione della
cultura letteraria francese, fenomeno al quale non rimase estranea
neppure la città di Genova, in cui a fianco della letteratura in
volgare genovese (Anonimo fiorentino) troviamo la presenza e l’opera
di trovatori, sia provenzali che liguri (es. Lanfranco Cicala).
Partendo da quest’area i trovatori si spostarono progressivamente
vero est e in molte corti dell’Italia settentrionale. Area
Lombarda (lingua:
varie forme di volgari lombardi): va dalla zona dei laghi e dal
territorio degli importanti comuni di Milano, Pavia, Cremona,
spingendosi fino al Veneto. Anche qui vi fu la presenza di trovatori
in lingua d’oc, il più famoso fu Sordello da Goito, mantovano,
morto nel 1269. La produzione che caratterizza quest’area
fu quella di una poesia didattica, nei diversi volgari, di
intonazione sia religiosa sia laica. Area
veneta (lingua: volgari veneti): localizzabile nelle
province di Verona, Vicenza Treviso, Venezia,
Padova, Rovigo, quest’ultima in stretta relazione con la
corte di Ferrara. La presenza, anche in queste zone, di corti feudali
come quella dei Romano e degli Estensi favorì l’arrivo di trovatori
che si stabilirono e operarono nelle città Si creò così un canale
molto forte e costante con la letteratura francese, tanto che nella
metà del XIII le opere letterarie vengono scritte in lingua d’oil
o in una lingua mista franco-veneta: si tratta per la maggior parte di
opere di memorie e racconti di viaggio (basti l’esempio del Milione
di Marco Polo, scritto, appunto, in langue d’oil). A partire
dal 1222 si segnala la presenza rilevante dell’università padovana. Come si osserverà, il panorama non è coeso, né dal punto di vista culturale che politico sociale. Nell’area nord occidentale sono presenti alcune fra le più importanti zone feudali, in cui trovano rifugio molti trovatori, anche a seguito della crociata contro gli Albigesi, promossa dal papa e condotta dai feudatari del nord ai danni della Linguadoca, e che trovò il suo campione in Bernardo di Chiaravalle. L’unica anomalia è rappresentata dalla città di Genova, comune e patria di una ricca letteratura comunale che ha il suo apogeo nell’Anonimo genovese. Milano nel secolo XIV Regno
del comune ormai in evoluzione verso la signoria (cfr. la battaglia
di Desio del 1277, che
sancisce la vittoria dei Visconti) è invece l’area Lombarda in cui
prevale la poesia didattica sia religiosa che laica, anche se
importante resta la figura del trovatore mantovano Sordello. Nel
Veneto la forma comunale e dogale (Venezia) convive con la signoria (Este
a Ferrara, Romano a Verona, Vicenza, Treviso fino al 1259); dal punto
di vista culturale prevale la poesia cavalleresca e la prosa di
viaggio in lingua d’oil, affiancata all’esperienza in volgare
veronese di Giacomino da Verona. Si
tratta dunque di un mondo aperto a diversi influssi linguistici e
culturali, periferico rispetto al centro culturale che è la Toscana e
di frontiera in quanto costituisce la cerniera, il punto di contatto,
con le esperienze religiose, culturali, sociali e letterarie
d’oltralpe. Ma
restringiamo il campo e soffermiamoci sulla poesia didattica del nord
in lingua volgare e d’area comunale. Tre sono le matrici da cui
scaturisce questo genere di letteratura: l’esperienza comunale,
la scuola e la religione. Nel
corso del secolo XI
nell’Italia centro settentrionale nascono i Comuni
che rivendicano fin da subito la propria autonomia [1].
Per i cittadini far parte del Comune è fonte di orgoglio personale e,
ben presto, con il suo venir meno, viene vagheggiato come la forma di
governo ideale. Gli autori sono consapevoli di aver vissuto una
stagione straordinaria che ormai volge al termine: nelle loro opere il
Comune è sinonimo di libertà e liberalità [2]. In questi centri si forma una nuova classe sociale, quella borghese, che ha necessità e desiderio di istruzione ed usa il volgare come canale linguistico preferenziale: è a questo pubblico che si rivolge la poesia didattica, una classe mediamente colta, ormai salita alla ribalta politica. Allo
sviluppo del volgare fa da contraltare il perdurare del latino, da secoli lingua della cultura: molti degli autori sono
maestri di scuola, ben inseriti nella vita culturale del loro tempo, e
conoscono molto bene il latino e sono bilingui. La scuola garantì la diffusione e l’apprendimento della lettura e
della scrittura e dei rudimenti dell’aritmetica presso una fascia
sempre più alta di cittadini. Alla scuola tradizionale ecclesiastica
si affiancò a poco a poco una scuola laica: le famiglie del ceto
mercantile, che vedevano con chiarezza l’assoluta necessità di
fornire ai propri figli gli strumenti indispensabili per l’esercizio
degli affari, cominciarono ad assoldare maestri. In seguito in molte
città furono le stesse istituzioni pubbliche a creare scuole,
affidando la cura dei bambini sia ad ecclesiastici che a laici. La
religione non può che
essere una parte importante nella cultura del tempo. Nonostante la
tesi del Levi, che vedeva la nascita della letteratura italiana
fortemente legata all’eresia, sia ormai accantonata, non si può
fare a meno di rilevare come la presenza degli eretici, continua e
pregnante caratterizzi questi anni. I
movimenti ereticali, o
non conformisti, si svilupparono già a partire dall’XI secolo
ma acquisirono maggior forza nei
due secoli successivi. In questo brulicante mondo, l’eresia può
esser distinta, pur con le necessarie semplificazioni, in due filoni.
Il primo poneva come richiesta fondamentale la riforma, la
rifondazione della chiesa su base evangelica, in dura polemica con la
pratica della simonia e contro il potere temporale della Chiesa.
Questo indirizzo, che si può definire pauperistico,
si diffuse in molte zone agricole d’Europa, ma anche tra i
lavoratori salariati e il
proletariato cittadino; i movimenti che ne scaturirono presero
nomi diversi (patarini, Umiliati, valdesi poveri di Lione). Il
secondo filone fu quello degli eterodossi
dal punto di vista teologico, Catari o Albigesi, diffusi in
Provenza, Liguadoca e Lombardia, ma con propaggini in Germania ed
Inghilterra. I Catari rivendicavano una confessione diversa da quella
ortodossa, fondata su una rigida contrapposizione tra bene e male,
spirito e materia, anima e corpo, con conseguente rigorismo ascetico,
ma tale da essere accolta tra le fasce più elevate. San Domenico e gli Albigesi I
movimenti ereticali compresero immediatamente il valore e la potenza
della predicazione e se
ne appropriarono. Essa
avveniva in volgare, nelle piazze della città e con un linguaggio
immaginifico che faceva leva sulla paura
della morte e dell’aldilà che, dopo il Mille, aveva
sostituito quella della fine del mondo. Il sermone è, così, il
genere maggiormente rappresentato dal XII secolo in poi, anche a
seguito della grande diffusione degli ordini mendicanti (ortodossi e
non) che trasferirono la predicazione al di fuori delle chiese. La
città e il Comune diventano, dunque, il luogo ideale per la
predicazione, per fare proseliti, sia per i movimenti ereticali che
per quelli ortodossi. Con
il concilio Laterano IV del 1215 indetto da Innocenzo III, la Chiesa
cerca di mettere ordine fra i movimenti sancendo l’elenco degli
eretici, imponendo la possibilità di predicare solo ad alcuni ordini
e obbligando a predicare solo in chiesa o in luoghi stabiliti e
controllati: Così
si legge nel terzo capitolo degli atti del concilio: «Scomunichiamo
e anatemizziamo ogni eresia che si erge contro la Santa, ortodossa e
cattolica fede, come l’abbiamo esposta sopra. Condanniamo tutti gli
eretici, sotto qualunque nome: essi hanno facce divers, ma le loro
code sono strettamente unite l’una all’altra perché convergono
tutte in un solo punto, In
merito al problema dell’esistenza o meno del Purgatorio, il concilio
teorizza il Purgatorio come stato e l’Inferno come luogo di pena e
di dolore: assegna dunque validità ontologica alle paure dell’uomo
del Duecento. In linea con la sua dimensione didattica e di insegnamento, la letteratura del nord è scritta in volgare dialettalmente autentico e locale, illustre solo in senso stilistico e magari lessicale. Ciò si ricollega ad una preoccupazione viva negli ordini mendicanti di tardo Duecento ed inizio Trecento, quella di promuovere un’attività pastorale efficace e capillare, attraverso la compilazione di testi dottrinali e la traduzione di libri vecchi e nuovi: il fine era, infatti, rafforzare e diffondere un’educazione religiosa fra i laici. I
temi di questi testi riguardano la condotta
morale da tenere per guadagnare la vita eterna e di conseguenza
la visione oltremondana il cui significato è distribuito
programmaticamente su due piani; quello letterale e quello allegorico.
L’autore racconta, spesso in prima persona, una serie di fatti,
avventure, che il lettore coglie nella loro realtà di racconto,
derivandone la comprensione del significato primo, quello letterale;
ma nel testo ci sono continui rimandi ad un significato altro, che va
scoperto in un ambiente culturale più elevato, non collegabile
esclusivamente alla realtà della vicenda, e di valore generale. Il
fine dichiarato di chi scrive, autore certo, o anonimo, è quello
della edificazione morale dei
lettori. Ma, mentre alcuni affrontano tematiche apertamente
religiose, ed in particolare di argomento escatologico, parlando di
inferno e paradiso, della necessità di salvare le anime, altri si
rivolgono all’edificazione morale del pubblico, fornendo un corredo
di nozioni, di detti (proverbi), sentenze, nelle quali si trova
condensata la saggezza antica, adeguata alle esigenze sociali e
culturali della borghesia cittadina. Ciò che colpisce è sicuramente
la ripetitività dei temi e la piattezza didascalica dei versi: fatto
che, unito all’indubbio successo di pubblico che arrise a tali
componimenti, ci dà un’indicazione dell’attesa che nella classe
non colta dovette esserci per opere in volgare che aprivano un primo
spiraglio verso l’acquisizione di quella cultura rimasta fino ad
allora monopolio dei chierici. Uno
dei temi fondamentali e maggiormente presente nella poesia didattica
del Nord è, dunque, A
seguito del venir meno della paura del Mille, come si è detto,
l’uomo medioevale non può che focalizzare le proprie paure
sull’aldilà e sul retto modo di agire per conquistare la vita
eterna; il demonio, ad esempio, si fa più presente nella vita
dell’uomo e aumentano le sue tentazioni per il possesso delle anime;
al contempo La
Visione, il
viaggio nell’aldilà o la profezia sul giudizio universale, diventa,
allora, un mezzo per insegnare non solo cosa ci sarà
nell’oltretomba ma che comportamento tenere per ottenere la vita
eterna: essa fa leva, con la sua grande potenza immaginifica, sulla
possibilità di impressionare e spaventare. Al
pari delle opere raffigurative, gli autori della poesia didattica del
Nord danno corpo alle paure dell’uomo, inserendo in una precisa
cornice le acquisizioni teologiche propugnare dal Concilio Laterano
IV. Conques, chiesa di Sainte-Foy, Giudizio Universale (XI-XII secolo) Ad esempio il giudizio universale scolpito sul timpano della chiesa di Sainte-Foy, a Conques, riprendendo la visione apocalittica mostra il Cristo Pantocratore racchiuso in una mandorla a sette stelle. Una serie di didascalie iscritte sul bordo a rilievo aiutano l’osservatore a comprendere i temi narrati. Alla destra di Cristo, regno dei beati, tutto è pace e ordine, sottolineato da una composizione regolare. Alla sua sinistra prevale il movimento, il disordine, evidenziato dai forti effetti chiaroscuri dei rilievi: è il regno del male. Paradiso e Inferno sono rappresentati schematicamente come due case nella fascia inferiore, con le due entrate contrapposte proprio sotto i piedi del Redentore.
1 Cfr. 1176 battaglia di Legnano contro Federico Barbarossa, vittoria a Fossalta nel 1249 contro Federico II. 2
Quando Bonvesin scrive il De magnalibus (1288) i Visconti
stanno consolidando la loro posizione, ottenuta con Ottone Visconti
– arcivescovo nominato dal papa - il libero comune è avviato
verso la signora, ma la città ideale, nella mente di questi autori
resta il libero comune. |
©2007 Linda Cavadini