Sei in: Mondi medievali ® Medioevo e Medicina ® Per una storia della medicina antica e medievale ® La medicina nell'alto Medioevo ® 5. Le epidemie


     MEDIOEVO E MEDICINA    

a cura di Raimondo G. Russo


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    Premessa  -  1. Alcuni cenni storici  -  2. La medicina barbarica  -  3. La CHIESA E LA MAgia  -  4. La medicina e la chirurgia  -  5. EPIDEMIE  -  6. APPROFONDIMENTI E CURIOSITà


5.3.5 LA MORTE NERA

    

Partito dal Turkestan, il bacillo della peste, che era misteriosamente scomparso dall'Occidente fin dall'VIII secolo, cominciò a manifestare i suoi effetti nell’estate del 1347 a Caffa (l'odierna Feodosia), scalo commerciale genovese in Crimea, sul Mar Nero. Durante l’assedio della città una epidemia di peste divampò tra gli assedianti tartari e li costrinse alla ritirata non prima però che il khan tartaro Ganī Bek facesse un attacco di tipo guerra biologica, catapultando cadaveri infetti al di là delle mura della città.

   

I mercanti genovesi partirono alla volta dell'Italia in 12 galere trasportando così la peste prima a Pera, nel porto di Costantinopoli, poi a Messina, come narrato anche dal francescano Michele da Piazza nella sua Historia Siculorum [7]. La maggior parte della ciurma era morente di una malattia sconosciuta. Gli ufficiali della città isolarono le navi per due giorni, ma questo non impedì la diffusione dell'epidemia. In due mesi circa metà della popolazione messinese morì di peste. Quando i Messinesi intuirono da chi aveva avuto origine il contagio cacciarono le navi, ma ciò non bastò a fermare la peste: da questo momento la morte poteva arrivare improvvisamente. 

Genova rifiutò di accogliere le proprie navi infette, così che queste dovettero ripiegare sul porto di Marsiglia, nel gennaio 1348 ma ormai il contagio si era sparso per tutti i porti del Mediterraneo. Si diffuse poi a tutta l'Italia continentale, trasformandosi in peste polmonare, molto più letale e più contagiosa. La stima per la città di Firenze è di un terzo dell'intera popolazione morta per peste nei primi 6 mesi di epidemia.

Agli inizi del 1348 la peste si spostò nell’entroterra; il 20 agosto raggiunse Parigi, il 29 settembre Londra. Nello stesso anno raggiunse la Spagna e il Portogallo. Dopo una pausa durante l'inverno, il 1349 vide la peste imperversare in tutta Europa. Nel 1351 toccò la Svezia e nel 1353 gli stati baltici e la Russia: soltanto le zone più remote e scarsamente popolate riuscirono ad evitarla. 

In Europa la stima è di 20 milioni di morti su di una popolazione di 60 milioni di abitanti.

Giovanni Boccaccio (1313 – 21/12/1375) scrisse nel suo Decameron che la peste rendeva nulle le leggi umane, come rendeva vano ogni ordine sociale e civile: «altri [...] affermavano il bere assai e il godere e l'andar cantando a torno e sollazzando e il sodisfare d'ogni cosa all'appetito che si potesse e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi esser medicina certissima a tanto male».

Il cronista Matteo Villani (1280/90-1363), nella sua Cronica (1348 – 1363) riporta che «trovandosi pochi, e abbondanti per l'eredità e successioni dei beni terreni, dimenticando le cose passate come se state non fossero, si diedero alla più sconcia e disonesta vita che prima non avieno usata».

La peste, paradossalmente, creò una forte ricchezza nella gente sopravvissuta, in quanto pochi morivano lasciando delle volontà testamentarie, anche perché difficilmente i notai si recavano in casa dei moribondi. Dopo la peste, i tribunali vennero intasati da centinaia di cause legate a dispute ereditarie.

La gente, infatti, in preda al terrore, abbandonava al destino anche i propri congiunti: «...moltissimi morirono che non fu chi li vedesse, e molti ne morirono di fame, imperocchè come uno si ponea in sul letto malato, quelli di casa sbigottiti gli diceano: "Io vo per lo medico" e serravano pianamente l'uscio da via, e non vi tornavano più», come racconta il cronista fiorentino Marchionne di Coppo Stefani
[8].

«Costui abbandonato dalle persone e poi da cibo, ed accompagnato dalla febbre si venia meno. Molti erano, che sollicitavano li loro che non li abbandonassero, quando venia alla sera; e' diceano all'ammalato: "Acciocché la notte tu non abbi per ogni cosa a destare chi ti serve, e dura fatica lo dì e la notte, totti tu stesso de' confetti e del vino o acqua, eccola qui in sullo soglio della lettiera sopra 'l capo tuo, e po' torre della roba". E quando s'addormentava l'ammalato, se n'andava via, e non tornava. Se per sua ventura si trovava la notte confortato di questo cibo la mattina vivo e forte da farsi a finestra, stava mezz'ora innanziché persona vi valicasse, se non era la via molto maestra, e quando pure alcun passava, ed egli avesse un poco di voce che gli fosse udito, chiamando, quando gli era risposto, non era soccorso. Imperocché niuno, o pochi voleano intrarein casa, dove alcuno fosse malato».

   

Altri descrissero lo spettacolo dei morti per le strade, delle botteghe chiuse, dei rari funerali deserti. 
«Non come uomini ma quasi come bestie morivano», è l'impietoso commento di Giovanni Boccaccio nel Decameron

Sul piano demografico l'impatto di questi diversi morbi fu devastante, più nelle città che nelle campagne. Ciò è facilmente spiegabile con il fatto che le concentrazioni urbane favorivano il contagio. In città, tuttavia, la ripresa era resa più pronta dall'arrivo di immigrati, mentre in campagna gli effetti furono più duraturi. Tutta una serie di piccoli centri, ripetutamente falciati dalle epidemie tre-quattrocentesche, scomparvero. è il cosiddetto fenomeno dei "villaggi abbandonati", particolarmente forte in Germania, dove i 170.000 insediamenti umani del 1300 divennero 130.000 nel 1500. Anche in Italia, e particolarmente in Sardegna e nel Mezzogiorno continentale, molti centri abitati vennero meno. Nelle città della Penisola il quadro degli effetti delle epidemie sulle popolazioni fu assai differenziato. Secondo stime attuali, morì da un terzo a metà della popolazione dell'Europa, del Medio Oriente, del Nord Africa e dell'India.

Alla peste del 1348 ne seguirono numerose altre e ad esse si associarono, nei decenni successivi, tutta una serie di altre affezioni non sconosciute all'epoca precedente, ma che vennero ad assumere una virulenza molto superiore: così la varicella, la scarlattina, la parotite, la meningite (che colpiva soprattutto bambini e adolescenti), il tifo, il morbillo, la tubercolosi, il vaiolo. 

Fra il 1326 e il 1400 si registrarono in Germania trentadue anni di epidemie, trenta in Inghilterra fra il 1351 e il 1485, trentasette in Italia fra il 1361 e il 1502.

   

Circa un terzo della popolazione europea morì: per un confronto, durante la seconda guerra mondiale che non fu seconda a nessuno per stragi e distruzioni, i morti furono “soltanto” il 5%!!

Ma il 1348, primo anno della peste nera, secondo moltissimi studiosi rappresentò l’anno del concepimento dell’uomo dell’età moderna: fu la peste a mettere in moto il cambiamento d’epoca che segnò la fine del Medioevo ed aprì le porte al Rinascimento
[9].

  

    


7 «Successe dunque che, si era nell'anno del Signore 1347, circa all'inizio del mese di ottobre, dodici galee genovesi fuggirono dalla vendetta divina che il Signore fece scendere su di loro e raggiunsero il porto di Messina. Essi portavano con sé una così grave forma di peste che chiunque avesse parlato con un membro dell'equipaggio fu vittima della malattia mortale e non poté più sottrarsi in nessun modo alla morte...».

8  Marchionne di Coppo Stefani: il suo vero nome era Baldassarre de’ Bonaiuti. Nacque nel 1336 da una famiglia agiata del ceto dirigente cittadino, probabilmente di banchieri. Iniziò la sua carriera politica almeno dal 1366; l’anno dopo fu a Napoli e dal viaggio trasse anche una relazione al governo fiorentino sui rapporti della città col regno angioino. Considerato un esperto di questioni finanziarie, ebbe il suo momento di più intensa attività politica negli anni ’70, quando fu più volte scelto a rappresentare il comune in commissioni esecutive, missioni diplomatiche, incarichi politici di rilievo. Nel 1381 fu inviato come ambasciatore presso l’imperatore Venceslao, mentre l’anno successivo partecipava alla balìa che pose fine all’esperienza del governo delle arti uscita dal Tumulto dei Ciompi. Morì nel 1385. Una cultura diplomatica fu alla base della sua opera, la Cronaca, nella quale volle narrare la storia di Firenze dalla creazione del mondo fino al 1384.

9  Ugo Bosetti, «Pro.di.gio». n. 2, aprile 2003, p. 8.

   

    

©2005 Raimondo G. Russo

      


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