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a cura di Felice Moretti


di Felice Moretti


Pur appartenendo ad un regno diverso da quello del pellicano, anche il cervo è uno degli animali simbolici che, sin dai primi tempi cristiani, fu l'immagine allegorica di Cristo. Come il pellicano, che nel suo volo ascensionale racchiude la purezza celeste, il cervo che fugge è l'immagine dell'anima (anche Carl Gustav Jung ha sottolineato il simbolismo psichico del cervo) che si sottrae al diavolo, al peccato, al serpente tentatore.

Già antichi poeti e naturalisti greci e latini, Plinio, Teofrasto, Eliano, Marziale, Lucrezio, hanno ritenuto il cervo nemico implacabile dei serpenti. Marziale e Plutarco aggiungono che, col soffio delle sue narici, riesce a stanarli dalle sotterranee dimore e a divorarli, riacquistando in tal modo una nuova giovinezza.

Sin dal IV secolo della nostra èra gli scrittori ecclesiastici, da Agostino ad Ambrogio, da Eucherio di Lione a S. Bernardo, da Ugo di S. Vittore a S. Bonaventura, hanno interpretato questa particolare abitudine del cervo come metafora di Cristo vincitore delle forze del male. Da qui la fortuna dell'animale nei Bestiari medievali sin dal IV secolo, tanto che S. Epifanio, nel suo Commentario al Fisiologo, aveva dedicato al cervo uno dei ventisei capitoli, dove si leggono gli sviluppi di esegesi religiosa che fanno di esso uno degli emblemi di Cristo che combatte: l'immagine allegorica della parola vittoriosa del Salvatore. Il Physiologus infatti, partendo da David, cioè dal salmo 42 («Come la cerva anela ai rivi d'acqua, / cosí l'anima mia a Te anela, o mio Dio»), ricorda che il cervo è nemico del
drago. La notizia sembra derivata da Plinio, ma ancor più dalla confusione tra le due parole "cervo" ed "elefante" in greco; è difatti l'elefante, nella tradizione pliniana, il vero nemico del serpente. 

La caccia al drago, da parte del cervo, avviene cosí: se il drago si insinua nelle crepe del terreno, il cervo beve una quantità d'acqua e la rivomita poi in esse, costringendo il drago ad uscire per poi schiacciarlo ed ucciderlo. «Cosí - recita il Physiologus - anche il Signore nostro ha ucciso il grande drago per mezzo del­le acque celesti di virtuosa sapienza... Il Signore è venuto a dare la caccia al grande drago: allora il demonio si è nascosto nelle parti piú profonde della terra, e il Signore ha versato dal proprio petto il sangue e l'acqua, ci ha liberato dal drago mediante il lavacro di rigenerazione, e ha distrutto in noi ogni nascosta influenza diabolica». Il cervo, quindi, diviene figura del Cristo e le acque sono quelle rigeneratrici del battesimo. 

Il Bestiario di Cambridge del XII secolo, nella rielaborazione di dati biblici e pliniani desunti dal Physiologus, li interpreta in altro modo. Il cervo è reso invulnerabile dai colpi d'arco per aver mangiato un'erba detta dittamo; quando è malato, si avvicina alle tane dei serpenti e li cattura aspirandoli con le narici perché il lo­ro veleno non gli è nocivo, e se ne ciba per riacquistare la salute. 

Dopo aver mangiato i serpenti, tuttavia, il cervo corre alla fonte piú vicina e bevendo riacquista la giovinezza. Poiché il serpente è simbolo del demonio, l'autore del "Bestiario di Cambridge" interpreta la leggenda come l'allegoria della confessione: mangiato il serpente - cioè dopo aver peccato - il cervo (il peccatore) si abbevera all'acqua del pentimento e cosí facendo torna puro da ogni colpa. 

Leggère sfumature al tema sono riscontrabili nel Bestiario divino di Guglielmo di Normandia (sec. XII) e nel Bestiario moralizzato di Gubbio, dove l'ambivalenza del simbolo del serpente gioca un ruolo talvolta diabolico e talvolta cristologico. 

Il cervo partecipa con il
toro e con l'ariete all'onore di rappresentare Gesù Crìsto nella sua trìplìce qualità di Padre, di Capo e di Guida che vìgìla sulla famiglia crìstiana composta dalla Chiesa, sua sposa, e dai Fedeli, suoi figli. D'altronde, le sue abìtudini e attitudìni nella vita delle foreste giustificano questi suoi privilegi. Esso, infatti, si pone a capo del branco di cervi e di cerbiatti e, con lo sguardo sveglio e le orecchie attente, previene ogni pericolo per sé e per i suoi piccoli. A testa bassa, per le sue grandi corna, attrae con le na­rici i serpenti e li inghiotte; se avverte sintomi di avvelenamento, corre alla fonte, beve e ringiovanisce, e le corna e il pelo gli cadono di dosso. «Allo stesso modo - commenta l'autore del Bestiario divino - noi non possiamo alzare gli occhi al cielo in quanto grava­ti dalle grandi corna ramificate dei nostri peccati; è per questo che incappiamo nei serpenti, cioè i demoni, e per salvarci dal loro veleno non ci resta che ricorrere al Cristo, fonte di Acqua Viva». 

In sostanza, il cervo è simbolo di Crìsto che aiuta l'uomo a passare dalla vita terrena a quella celeste. Nei recenti lavori di scavo all'interno della cattedrale di Bitonto è stato rinvenuto un concio in pietra su una delle cui facciate è raffigurato un cervo a rilievo piatto. Trattasi di una delle 49 formelle, forse del X o XI secolo e forse facenti parte di un antico portale, su cui un fantastico bestiario si staglia a rilievo piatto. Su di esso si svolge la scena di un cervo dalle corna ramificate, azzannato al collo da un animale dalle fattezze incerte, forse un cane o forse un ghepardo, uno di quegli animali dalla simbologia negativa che mette in evidenza la lotta tra il male e il bene (il cervo), che resiste all'attacco e fugge. 

Su un altro concio in pietra, proveniente dal medesimo sito, è raffigurato, sempre a rilievo piatto, un cerbiatto sul cui dorso, ad ali spiegate, un uccello becca le sue piccole corna. L' immagine, pur ri­velando un tocco più lieve di tenerezza e leggiadria, non fa differenza nel contesto esegetico. Ambedue godono del medesimo privilegio: quello di significare Cristo. Ma se il cervo solitamente rap­presenta il Cristo incarnato, il suo cucciolo viene a precisare che s'intende Gesù bambino, nato per noi piccolo e indifeso. La grazia dell'aspetto, sottolineata dall'immagine del cerbiatto, richiama al cristiano la `grazia' o meglio la molteplicità delle grazie spirituali. 

Anche Nilo (Comm. in Cant. 55) sottolinea la distinzione fra cervo e cerbiatto, e spiega che, laddove gli uomini in gioventú soccombono facilmente alle passioni, fin dalla nascita il Signore si è di­mostrato in grado di schiacciare le potenze avverse (qui simboleggiate dall'uccello che becca le piccole corna) e annientare il male. 

Anche se in questo e in altri contesti viene degradata la figura cristologica a preda di caccia, la più onorevole e prelibata, del resto «il cervo - scrive Cardini - resta animale sacro, degno del sacrificio dell'altare e della mensa dei re». 

Il simbolismo animale nel Medioevo non si esaurisce nei soggetti trattati. Il tema è vastissimo. Mi preme solo sottolineare che il fecondo terreno su cui germogliò, continua ad offrire frutti generosi. Sì, perché se l'intelletto del teologo, del monaco e dell'artista dei secoli dell'età di mezzo ha partorito certe "invenzioni", ebbene, quelle furono di portata incalcolabile nella storia della civilizzazione oc­cidentale, e le loro conseguenze interessano ancora oggi i nostri modi di pensare, di agire e di sentire. E li interessano a tal punto che le "categorie" mentali dell'uomo del presente sono impregnate della sostanza dell'intelligenza medievale. Né è possibile trascurarla. Volente o nolente, anche nei tempi di tecnologia avanzata, l'uomo del presente deve fare i conti con la sostanza dell'uomo del passato.

    

Da leggere:

P. Galloni, Il cervo e il lupo. Caccia e cultura nobiliare, Roma-Bari 1983.

F. Cardini, Il cervo, in «Abstracta», 12 (febbraio 1987), 39-45.

F. Moretti, Specchio del Mondo. I “bestiari fantastici” delle Cattedrali. La cattedrale di Bitonto, 2a ed. riveduta e ampliata, ed. Schena, Fasano 2004.

   

    

©2006 Felice Moretti

      


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