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a cura di Felice Moretti


di Felice Moretti


Nella cornice della conoscenza codificata dalla legge dello spirito medievale, quegli stessi animali fantastici che già da tempo convivevano con l'umanità, entrano in una fase di nuove fortune in età romanica.

Il centauro, ad esempio, combinazione di uomo e di cavallo (semicaballus homo), con dorso umano e posteriore equino, sarebbe stato partorito dall’immaginazione dei poeti e poi plasmato dall’ingegno degli artisti dell'antica Grecia, che lo hanno creduto originario dei monti della Tessaglia. Qui viveva, secondo gli autori antichi, tutto un popolo di centauri poi sterminato dai loro più acerrimi nemici, i Lapiti.

Indipendentemente dalla poesia omerica (Odissea ed Iliade), virgiliana (Eneide) e ovidiana (Metamorfosi) e dalla favola greca, il centauro godeva presso gli Antichi di ottima reputazione perché metteva al servizio dell'uomo le principali qualità di cui il cavallo è la sintesi: la forza e la velocità. Nell'arte etrusca, queste qualità saranno poi tipiche non solo del cavallo, ma anche dei cervi e dei cani. Bronzi etruschi riproducono spesso nelle forme il mito del centauro dal dorso umano innestato in un posteriore di quadrupede, il cervo o il cane.

Se al centauro furono attribuite nel mondo antico qualità positive messe al servizio dell’intelligenza umana, d'altra parte, fu travolto da un capovolgimento di valori simbolici individuati nell'orgoglio richiamato della testa umana, dalla lussuria richiamata dal busto, dalla cupidigia richiamata dalle mani. è noto inoltre come fra i pagani il centauro fosse considerato un genio, un demone del mondo inferiore.

Per gli antichi greci, il centauro godette di un privilegio che non fu esclusivo dell'aquila: quello di psicagogo, cioè di conduttore di anime verso plaghe celesti divine e felici. Per questo, con l'avvento del Cristianesimo, il centauro pretese un posto di tutto rispetto nella fauna emblematica che si richiamava a Cristo salvatore.

In ragione della sua fluttuante simbologia e delle variazioni anatomiche combinantesi in onocentauro o in leontocentauro e spesso sessualmente indefinibili, la rappresentazione del centauro fu pressocché esclusa dall'iconografia nei secoli prima del Mille. Solo nei primi secoli del secondo millennio, essa fu recuperata all'arte dall'intuizione dei monaci che videro nel centauro l'allegoria della doppia natura di Cristo: l'umana e la divina. La prima, in virtù delle quattro zampe che legano il centauro alla terra; la seconda, in virtù del testo del Genesi: «Dio creò l'uomo a propria immagine e somiglianza». Ma il cristianesimo ereditò anche la cattiva reputazione che fece del centauro il simbolo delle passioni più basse tanto da identificarlo con Satana. Nel IV secolo San Basilio vide nel centauro la figura del demonio. Simbolo della sensualità sfrenata  e della cieca violenza, l'ibrido animale, dipinto da Giotto in Assisi, rappresentava il trionfo di san Francesco sulle passioni.

Cattedrale di Bitonto, capitello della cripta: il leontocentauro. Nell'immagine in alto: Dante e Virgilio davanti al centauro (da un manoscritto del secolo XV)

Nessuna pietà per la centaura, voluttuosa e seduttrice perfida che più tardi Dante piazzerà nell'inferno assieme a tutti gli altri suoi soci, Chirone incluso. Seduzione, voluttà, lussuria, omosessualità sono per la coscienza collettiva del Medioevo i peccati più gravi di cui è gravida la centaura o il centauro e per i quali le facoltà dell'intelletto sono annientate dalla bestialità. Pertanto, la matura consapevolezza di realtà ed immagini sconcertanti, composte secondo guise disordinate e deformi di tratti umani e animali, fu evidenziata dalle decorazioni scultoree che costituirono la sintesi insuperabile del pensiero della Chiesa: significativi richiami alla centralità dell'uomo. In questo compiuto sistema didattico che mirava alla distinzione dell'uomo e alla sua separazione dal mondo inferiore, bestiale, si realizzava un compiuto sistema di potere la cui insegna visualizzante non era altro che l’interpretazione delle sue richieste. L’artista fu uno strumento di questo potere: strumento di formazione di una ideologia che calava dall'alto ad organizzare il consenso. La sua funzione essenziale fu quella di dare forma, attraverso l’arte, a richieste che gli giungevano da altri senza rifiutarla. Eius enim sola ars est.

     

Da leggere:

Dante Alighieri, La Divina Commedia, testo critico della Società Dantesca Italiana, Inferno, XII, vv. 55-139, Hoepli, Milano 1988.

Charbonneau-Lassay, Le Bestiaire du Christ, Arché, Milano 1980.  

E. Mâle, L’art religieux du XII siècle en France, Paris 1947.  

F. Zambon, Il Fisiologo, Milano 1975.

F. Moretti, Specchio del mondo. I ‘Bestiari fantastici’ delle cattedrali. La cattedrale di Bitonto, pref. di F. Cardini, ed. Schena, Fasano 1995 (dal volume è tratta la seconda immagine di questa pagina).

   

    

©2002 Felice Moretti

    


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