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a cura di Felice Moretti


di Felice Moretti

Il sabba: il demonio è rappresentato come caprone.


E la mente smarrisce i suoi pensieri, li riordina e poi di nuovo sfuggono; li insegue fra il paradiso e l'inferno, fra il bene e il male, senza posa. Quando sta per arrendersi, si ferma, scruta i mostri e si impadronisce del sano insulto dell'artista che lì, sul portale della cattedrale, ha tentato di tracciare i confini del bene e del male, della dannazione e della salvezza.

Consapevole del suo ruolo, 1'artifex ha messo in guardia l'uomo della sua generazione e delle generazioni successive a non lasciarsi trascinare dal peccato nelle fauci spalancate del diavolo che, sotto forma di caprone, erutta i vizi dell'umanità. Come radice o vaso d'impurità, il caprone è raffigurato nella parte inferiore degli stipiti del portale centrale della cattedrale bitontina, con quelle fauci aperte in cui "si concentrano tutti i fantasmi terrificanti dell'animalità".

Legato al culto di Artemide (la Venere dei Latini, nei paesi di influenza ellenistica), il caprone prestò le sue zampe, i piedi e le corna e talvolta tutto il corpo al dio Pan, considerato come propagatore del potere procreativo universale; cavalcato da Afrodite e da Dioniso nell'antica mitologia ellenistica, veniva dato come ricompensa a quegli attori che si erano distinti sulle scene dei teatri greci in un genere di composizioni più considerate e apprezzate. Da qui il nome di tragados col quale si designavano generalmente gli attori, da dove poi il nome di tragodia, tragedia.

Sebbene nell'antico culto ebraico il caprone avesse assunto un ruolo positivo, come la vittima scelta per espiare i peccati del popolo d'Israele, tanto da essere poi messo in relazione con la profetica figura di Cristo Redentore, messo a morte per espiare i peccati del mondo, tuttavia, già nel primitivo cristianesimo, il suo ruolo assume connotazioni marcatamente demoniache.

Il caprone e la pantera: particolari dello stipite del portale centrale della Cattedrale di Bitonto.

In piccola età, quando ancora è capretto, la sua figura può ancora prestarsi ad interpretazioni simboliche legate al sacrificio; può ancora essere il capro espiatorio scelto nel culto di Mosé; ma da adulto, quando è assalito dai desideri della carne che gli danno una carica irrefrenabile e impetuosa, il caprone suda, spandendo un odore nauseabondo col quale insozza tutto ciò che lo circonda. È l'immagine dell'uomo che si abbandona ai vizi piú degradanti, che rendono appariscente la sua depravazione anche nei tratti esteriori tanto da rendere palpabile il vizio.

In tutta la demonologia medievale il caprone è Satana che si caratterizza con le corna e i piedi bifidi, è la figura della libido sessuale, un'immagine teriomorfa che incarna - secondo Origene - «lascivos et inquietos sensus».

Con elementi caprini Satana presiedeva - secondo una letteratura demonologica - alle turpitudini dei sabba e riceveva immondi omaggi. Fu anche con tratti caprini che Satana apparve a Rodolfo il Glabro «...mi apparve ai piedi del letto una figura di omiciattolo dall'aspetto tenebroso. Per quanto mi fu possibile distinguere, aveva modesta statura, collo esile, volto smunto, occhi nerissimi, fronte increspata da rughe, naso schiacciato, bocca sporgente, labbra gonfie, mento stretto e affilato, barba caprina, orecchie irsute e a punta, capelli ritti e scarmigliati, dentatura canina, cranio allungato, petto sporgente, dorso a gobba, natiche che si scuotevano, panni sudici; era affamato e con tutto il corpo in agitazione...». 

Nell'arte, Satana, l'Angelo caduto, ha assunto anche la forma di un Angelo celeste ma con tratti ignominiosi: piedi caprini, orecchie di fauno e ali fatte di membrana come quelle del pipistrello.

    

Da leggere:

L. Réau, Iconographie de l'art chretien, I, Paris 1955.

Charbonneau-Lassay, Le Bestiaire du Christe, Milano 1980.

F. Moretti, Specchio del mondo. I ‘Bestiari fantastici’ delle cattedrali. La cattedrale di Bitonto, pref. di F. Cardini, ed. Schena, Fasano 1995 (da cui è tratta la seconda immagine di questa pagina).

L. Morini (a cura di), Bestiari medievali, Torino 1996.

       

      

©2003 Felice Moretti

      


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