Sei in: Mondi medievali ® Immaginario medievale ® Franco Cardini: Mostri, belve e animali nell'immaginario medievale


di Franco Cardini

Il basilisco in una miniatura del Physiologus.

    

Le fonti attraverso le quali avviarsi allo studio degli animali nel medioevo – sia nella loro realtà obiettiva, sia nella loro, rappresentazione e nel ruolo che essi assolvevano all'interno della cultura del tempo - sono molte. I documenti relativi alla conduzione agraria possono informarci a proposito degli animali domestici, dell'allevamento, dei costi; i documenti militari ci dicono parecchie cose circa i cavalli; gli statuti dei comuni cittadini e rurali c'informano sui rapporti fra gli animali e le comunità; le cronache, la novellistica, le vite dei santi ci forniscono una quantità di particolari sulla vita quotidiana; le enciclopedie, i trattati, infine quegli specifici scritti che vanno sotto il nome di "bestiari" ci danno il quadro delle conoscenze scientifiche del tempo e del significato etico-etimologico che si attribuiva loro. Inoltre c'è tutta la vasta letteratura d'origine esopica, tradotta anche in racconti o in azioni sceniche di tipo giullaresco (basti pensare al Roman de Renard). Oltre alle fonti scritte, molte sono poi quelle iconografiche; e notizie relative alle caratteristiche fisiche degli animali si possono poi avere dall'archeologia: dall'abitudine barbarica di seppellire certi animali con l'uomo, fino ai depositi di rifiuti che ci forniscono materiali come avanzi di cibo, utili per un'indagine condotta con l'ausilio dell'osteologia, la scienza storica d'oggi è in grado di "far parlare" una quantità di oggetti, di materiali, di resti. 

In questa sede, però, noi ci occuperemo relativamente poco di quale fosse la realtà della presenza animale nel medioevo; e tale aspetto della questione {che non potrà in ogni modo essere ignorato) ci servirà semmai soltanto come termine di confronto per quello che sarà il nostro problema effettivo: quale fosse cioè il ruolo, il significato, la posizione degli animali reali o immaginari nella cultura medievale. 

Per inquadrare bene questo tema, occorre precisare che la cultura tardoantica e altomedievale non era, al riguardo, univoca. Essa si presentava, anzi, come il risultato di parecchie componenti: quella propriamente scientifica, esito del modo di affrontare la realtà tipico della scienza greca; quella mitico-magica, ereditata dalle culture orientali ma passata a inserirsi profondamente nel tessuto ellenico e poi romano grazie alla sintesi operata, dal III secolo a.C. in poi, negli ambienti cosiddetti "ellenistici"; quella cristiana, erede del mondo ebraico ma anche di quello greco-orientale; quella sciamanica portata dalle culture delle steppe che si erano impiantate nel mondo euromediterraneo in seguito alle "migrazioni dei popoli" dei secoli III-X d.C., e nelle quali gli animali avevano un valore e un significato primari.

Tutto ciò dette origine a un mondo animale complesso e non sempre coerente, all'interno del quale tuttavia si potevano discernere due tendenze ben precise, e molto diverse tra loro. Da una parte, quella scientifica e razionalizzatrice avviata da Aristotele, che consisteva nell'ordinare gli animali per categorie, studiarli osservandone le abitudini e sezionandone i corpi, spogliandone la considerazione da qualunque aspetto magico o mitico. Dall'altra, quella che si concretizzò sotto l'influenza delle dottrine gnostiche in una quantità di scritti a carattere magico- astrologico, e secondo la quale il cosmo era intessuto di occulti rapporti che collegavano gli astri, gli animali dell'aria, della terra e dell'acqua, le piante, le pietre. Da principi di questo genere sarebbe partita tutta la scienza dei bestiari, degli erbari, dei lapidari, opere tuttavia nelle quali osservazioni scientifico-razionali, visioni filosofiche e argomentazioni magiche si sarebbero variamente unite con elementi etico-allegorici desunti dalle scritture cristiane e con dati empirici tratti dalle varie tradizioni folkloristiche. Da qui l'impressione di confusione e di contraddittorietà che talora il lettore moderno riporta avvicinando per la prima volta certi testi, e alla quale si deve reagire non già tentando forzose "razionalizzazioni" di essi dall'esterno, bensì cogliendone la sintassi e la coerenza intime. 

Nel IV secolo a.C., il grande Aristotele aveva tentato una prima sistemazione delle cognizioni zoologiche del suo tempo in alcune grandi opere: Storia degli animali, Parti degli animali, Generazione degli animali, Movimento degli animali. Tuttavia, il medioevo aveva perduto il contatto con la scienza aristotelica, e lo avrebbe recuperato indirettamente solo tra XII e XIII secolo, per il tramite bizantino e arabo. Certo, l'occidente medievale conobbe parecchie opere latine variamente ispirate ad Aristotele o nelle quali ci si confrontava con lui: ma, non essendo in grado di confrontarle con l'originale, non poté mai apprezzarne appieno il significato. 

Tramite essenziale tra Aristotele e medioevo latino, fu la Naturalis historia del poligrafo e naturalista del I secolo d.C., Plinio il Vecchio, il quale ispirandosi essenzialmente all'aristotelica Storia degli animali dedicò al mondo della zoologia i libri VIII-XI del suo trattato. Plinio. tuttavia. si comportò ben diversamente da Aristotele che aveva accuratamente scartato, o ricordato soltanto per confutarle, tutte le leggende riguardanti gli animali che già al suo tempo circolavano ma che egli non aveva potuto controllare di persona, o che stimava puro frutto di fantasia. Allo stesso modo, Aristotele non si era curato dei mostri e delle creature mitologiche; Plinio, al contrario, dette spazio a tutto ciò, attingendo a una serie di fonti anche orientali e immettendo questo mondo nella cultura tardoantica e poi medievale. L'affidabilità di Plinio varia, insomma, con il variare delle sue fonti: per gli animali esotici, che egli non conosce o conosce poco, si affida ora ad Aristotele, ora a viaggiatori e mitografi specie greci che invece abbondano di descrizioni di mostri e di meraviglie; per quelli domestici, usa Columella e gli scrittori latini di questioni agrarie, anch'essi fonte nota e stimata nel medioevo.

Insieme con Plinio, va ricordato almeno Gaio Giulio Solino, vissuto fra il m e il IV secolo d.G., i cui Collectanea rerum memorabilium fornirono al medioevo ampie cognizioni sui mostri e le terre lontane.

Fra V e XII secolo, la cultura medievale si basò essenzialmente sull'esegesi della Scrittura e sul commento delle auctoritates, cioè degli scrittori dell'antichità tradotti o, sovente, riassunti in latino. Tale studio era quindi essenzialmente etico-allegorico: i dati scientifici, ad esempio, non avevano tanto un valore autonomo in sé, quanto servivano a intendere e a ben comprendere in quali modi la potenza di Dio si fosse dispiegata nel creato.

E, poiché nelle scuole monastiche e poi vescovili si faceva grande uso delle favole esopiche ridotte in lingua latina da Fedro, dove agli animali si prestavano voce e comporta mento umani e dove dalle storie degli animali si traeva un insegnamento morale, ecco che cultura esegetica e morale esopica si fusero in un atteggiamento che al mondo animale non guardava tanto per trarne notizie sul mondo della zoologia, quanto per assumerne informazioni sul piano etico-allegorico. Ad esempio, di fronte alla notizia che il leone cancella le proprie impronte sul terreno, non ci si domandava se essa corrispondesse più o meno a una realtà effettiva: ma - applicando il sistema esegetico dei «quattro sensi della scrittura» - si constatava che il dato naturalistico fornito a livello letterale corrispondeva a una realtà superiore nell'ambito della quale il leone diveniva il simbolo del Cristo che cancella i peccati del mondo.

Questo fu l'atteggiamento mantenuto nei confronti del mondo animale - e nello stesso modo riguardo alle piante negli erbari, alle pietre nei lapidari - da tutta la vasta produzione enciclopedica che giunge al XII secolo e che ha le sue tappe fondamentali nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia (sec. VII), nel De rerum natura di Beda (secolo VIII), nel De universo di Rabano Mauro (secolo IX). Presupposto a questa cultura enciclopedica e alla nostra comprensione di essa, è che la natura è, con là scrittura, specchio della Rivelazione divina, e che quindi banale e pericolosa curiositas sarebbe il conoscerla in sé e per sé: il saggio non deve mirare alla comprensione dei nessi obiettivi tra le cose, che restano ancora qualcosa di superficiale rispetto alla realtà, bensì ai rapporti tra le cose e Dio. E in quest'ordine di idee, è chiaro che non è importante conoscere la struttura intima e le effettive abitudini del leone, quanto capire in che senso esso può essere figura del Cristo (o, in un differente contesto, figura del demonio).

Il XIII secolo e la rinascita in Occidente della scienza aristotelica, base di partenza per il progresso scientifico moderno, segnerà rispetto a questo atteggiamento una effettiva rivoluzione, anche se gli esiti e le conseguenze di essa non saranno immediatamente visibili. Le enciclopedie e i trattati duecenteschi di Vincenzo di Beauvais, di Ruggero Bacone, di Alberto Magno, di Tommaso di Cantimpré segneranno nei confronti degli animali e non solo di essi un ben diverso modo d'intendere informazione e osservazione. Di tale mutato atteggiamento è specchio, ad esempio, il De arte venandi cum avibus dell'imperatore Federico II, il quale alla sua corte incoraggiava la s peculazione naturalistica e la stesura di trattati di cinegetica, di ippiatria, insomma di opere nelle quali - con l' occasione della caccia o della cura delle malattie dei cavalli - s'investigasse attentamente sulla natura. Nel suo De arte venandi, Federico dimostra di aver appieno inteso la lezione metodologica di Aristotele in quanto non esita a confutare lo stesso grande filosofo greco, allorché i dati da questi proposti non sembrino coincidere con l'esperienza desunta dalla diretta osservazione. 

Il Duecento, secolo della razionalità scolastica, eliminò quindi la cultura etico-allegorica? No, dal momento che essa non era tanto un modo d'intendere la realtà, un atteggiamento "prescientifico", quanto piuttosto un linguaggio espressivo dipendente da una specifica visione del mondo. Gli animali continuarono anche dopo Alberto Magno e Tommaso d'Aquino a essere "significanti": cioè a costituire segni che rinviavano a realtà di diverso ordine. Lo vediamo ad esempio nei trattati di araldica oppure in quelli di alchimia, nei quali si continua ad utilizzare una simbologia animale per esprimere realtà morali o filosofiche. 

L'attualità dei bestiari andò quindi ben al di là del XIII secolo. Modello dei bestiari è un trattato redatto forse nel il secolo d.C. in greco, e denominato Physiologos, dove si prendevano in considerazione circa cinquanta animali e si associavano a citazioni scritturali: si fondava in tal modo una tipologia cristiana dell'animale, scopo della quale era l'associazione di un'immagine zoologica e di un'idea cristologica. Traduzioni del Physiologos si ebbero in siriano, armeno, etiopico e naturalmente - fino dal IV secolo - in latino. Chi si stupisce per l'esotismo della fauna simbolica medievale deve tener conto di due cose: anzitutto che gli uomini e le idee (e le immagini con entrambi) viaggiavano a quel tempo molto più che non si ritenga oggi, e che per esempio l'arte delle steppe con il suo contenuto prevalentemente animale ha lasciato ad esempio all'iconografia romanica un'eredità profonda; in secondo luogo, che fonte principale per tale fauna simbolica è appunto il Physiologos, che traeva i suoi animali essenzialmente da due libri della Bibbia, Deuteronomio e Levitico.

La tradizione avviata dal Physiologos latino penetrò profondamente nella cultura medievale, ma la lettura allegorica degli animali andò complicandosi mediante l'uso di altre chiavi interpretative, fornite ad esempio da certe somiglianze esteriori dei vari animali, da rapporti numerici o cromatici, da elementi di tipo etimologico o pseudoetimologico. Isidoro di Siviglia ad esempio, trattando degli animali nel libro XII delle Etymologiae, si serviva di Plinio e del Physiologus, ma anche di Varrone, di Virgilio, di Ovidio, e fondava o accoglieva leggende (o altre ne scartava) sulla base di accostamenti che la scienza del tempo definiva etimologici, e che noi definiremmo piuttosto omofonici (4) o pseudomofonici: ad esempio, il "castoro" si chiamerebbe così perché si "castra", eccetera. 

Nel XII secolo, un grande e famoso bestiario fu quello - a lungo attribuito a Ugo di San Vittore - dal titolo De bestiis et aliis rebus, mentre verso il 1150 Ugo di Fouilloy scriveva un Aviarium. Grande diffusione ebbe anche un Liber monstrorum, forse d'autore anglosassone dell'VIII secolo. Nel corso del Duecento, si diffuse una grande quantità di bestiari redatti nei vari idiomi volgari. La Bibbia, Fedro, le leggende e le immagini orientali penetrate in Europa dalle culture delle steppe o attraverso i testi narranti le vicende della spedizione di Alessandro in India (e, più tardi, attraverso i racconti dei viaggiatori) , le figure allegoriche desunte dai passi scritturali d'argomento profetico o escatologico, i segni che comparivano o che comunque venivano segnalati nei cieli, le visioni individuali e collettive, i simboli astrologici; la "zoologia immaginaria" del medioevo non è affatto una congerie disordinata di fantasie, anche se molte ed eterogenee sono le fonti alle quali essa ebbe ad attingere. Siamo dinanzi a un linguaggio, che ha la sua grammatica, la sua sintassi, il suo svolgimento etimologico, la sua avventura semantica. Decodificarlo è possibile: e sarà un modo non già per dissacrarlo e "disincantarlo", che anzi a conservargli intatti sacralità e incanto bisogna tendere; ma soltanto un modo per comprenderlo.

   

BIBLIOGRAFIA:

Per la lettura e comprensione di Plinio, dalla quale bisogna partire, ci si rifaccia alla bella traduzione italiana: Gaio Plinio Secondo, Storia Naturale, vol. 5, Einaudi, Torino 1982 (i libri di zoologia sono nel vol. 2, pag. 135-679). Sulle enciclopedie medievali, cfr. M.T. Beonio Brocchieri-Fumagalli, Le enciclopedie dell’Occidente medievale, Loescher, Torino 1981, e il fascicolo speciale dedicato a Momenti e modelli nella storia dell’enciclopedia di “Rivista di Storia della filosofia” 1, 1985.

Quanto al simbolismo animale nell’arte del medioevo, argomento sul quale esiste una bibliografia immensa, si può partire da G. de Champeaux – S. Stercks, I simboli del medioevo, tr. it. Jaca Book, Milano 1981; G. Heinz-Mohr, Lessico di iconografia cristiana, tr. it. I.P.L., Milano 1984; C. Gaignebet – J. D. Lajoux, Art prophane et religion populaire au moyen age, P.U.F., Paris 1985.

Il Liber Monstrorum è stato tradotto e studiato da F. Porsia (Dedalo, Bari 1976) e da C. Bologna (Bompiani, Milano 1977) in due belle e dote edizioni, entrambe da consultarsi.

Fra i bestiari tradotti in italiano e quindi agevolmente consigliabili, ci limitiamo a segnalare: Il Fisiologo, a cura di F. Zambon, Adelphi, Milano 1975; Il bestiario di Cambridge, a cura di S. Ponzi, Ricci, Parma-Milano 1974; Le proprietà degli animali (bestiario moralizzato di Gubbio; Libellus de natura animalium), a cura di A. Carrega-P. Navone, Costa e Nolan, Genova 1983. 

Molte osservazioni intelligenti ed affascinanti in A. Cattabiani, Bestiario, Editoriale Nuova, 1984.

     

 

      

© Franco Cardini (e rivista «Abstracta»). 

   


indietro

Torna su

Immaginario medievale: indice Home avanti