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PROVINCIA DI PISTOIA

Pistoia

La Fortezza di Santa Barbara

a

Istituto di Ricerche storiche e archeologiche di Pistoia

a cura di

  Gianluca Iori e Simone Zini

             pag. 5


La fortezza di San Barnaba in base ai documenti d'archivio entra a pieno titolo nel contesto delle fortezze avanti il  principato che furono realizzate da quella cerchia di architetti che ruotavano intorno a Lorenzo il Magnifico. Sia ragioni storiche, cioè la conoscenza degli eventi in quel passaggio dal XV al XVI secolo, sia ragioni stilistiche – la pianta è impostata su schema quadrato, adattandosi al vecchio perimetro trecentesco con bastioni agli spigoli; i bastioni non presentano il fianco rientrato con lobo, dove vengono alloggiate le traditoie, ma adottano il fianco rientrato che si congiunge perpendicolarmente con la cortina muraria perimetrale; nell'alzato si accentua molto il verticalismo dello spigolo del bastione; la fortezza di San Barnaba si contraddistingue per l’organicità del disegno che segue ferree regole matematico-geometriche nella ricerca della fortezza ideale – inducono ad attribuire a Giuliano da Sangallo il progetto della seconda fortezza, che la stessa fu realizzata approssimativamente fra il 1506 e il 1526, mentre si può escludere che sia stato Nanni Ungaro perché della sua presenza a Pistoia si ha testimonianza certa solo nel 1543.

Nello stesso periodo si deliberò di rifortificare le mura della città che minacciavano di crollare e si provvide a staccare le mura trecentesche dalla fortezza. Questo stacco consentiva di isolare attraverso un fossato, più a secco che allagato, la struttura dal perimetro della città contemporaneamente alla realizzazione del raddoppio della torre mastio pistoiese. Una soluzione analoga fu adottata a Firenze nel 1534 nella costruzione, per volere di Alessandro dei Medici, della Fortezza da Basso. Questa soluzione univa la possibilità di staccare il fortilizio dalle persistenze medievali, organizzando intorno a sé un sistema di difesa autonomo rispetto alle mura perimetrali della città. Lungo il perimetro della fortezza si realizzava un fossato con controscarpa, possibilmente allagato, e una serie di interventi con battifolle pentagonali in stipe di terra, cioè delle "collinette" di terra, che avevano una duplice funzione: quella di rompere il tiro teso delle cannoniere degli assedianti e, allo stesso tempo, quella di dividere il fronte d'assalto della fanteria in due. Lo stacco delle mura dai fortilizi permetteva, anche in caso di caduta della città, di tenere la roccaforte principale da cui, attraverso sortite, tentare di riconquistare la città stessa. Inoltre, questo stacco delle mura dai complessi fortificati impediva agli assedianti di porsi allo stesso livello di quota dei difensori, come era possibile in precedenza quando essi raggiungevano e occupavano lo spalto delle mura cittadine.

Vista delle cannoniere superiori dal puntone Nord-Ovest (si noti la Torre mastio pistoiese con raddoppio ed inglobamento nel puntone).

Dopo l’avvento al potere, Cosimo I diede inizio ad una politica di potenziamento delle fortezze, segno visibile e tangibile del potere militare. Nel 1543, a Pistoia, furono adottate le misure idonee a reperire i fondi necessari ai lavori di ristrutturazione del sistema difensivo e di realizzazione dei bastioni che si conclusero, quasi trenta anni dopo, con il completamento del bastione di porta Carratica. 

Nanni Ungaro fu incaricato del progetto dei bastioni nel 1543. Propose di costruire dei baluardi di terra battuta con stipe di erba e legnami intorno ai principali ingressi della città. La soluzione indicava l’intento di adottare delle strutture di difesa provvisorie e di rapida esecuzione, ma si rivelavano inadatte a durare nel tempo, infatti era sufficiente la pioggia e la stessa vegetazione a farle deperire e farle franare. Furono le stesse istituzioni cittadine a chiedeere che le nuove fortificazioni fossero di «...di muraglia ferma e stabile...di sassi rozzi, terra, ghiaia…». Nanni Ungaro quindi approntò il nuovo progetto per la città visionato dagli Otto di Pratica e dallo stesso Duca, che fu adottato per realizzare i bastioni in muratura. Questi progetti comportavano la realizzazione di bastioni sui raccordi delle mura civiche, la traslazione delle porte coperte dalle cannoniere dei fianchi rientrati dei bastioni e la realizzazione dei ponti per scavalcare il nuovo fossato. Ma, poco dopo, abbiamo notizia dell’intervento del Bellucci detto il Sanmarino per proseguire la realizzazione dei bastioni. Per la scarsa documentazione, non sono del tutto chiare le ragioni dell'avvicendamento del Bellucci a discapito di Nanni Ungaro, anzi le provvisioni comunali, eccetto una breve citazione, tacciono. Possiamo ipotizzare che la presenza a Pistoia del nuovo architetto fosse legata alle frequenti visite fatte dagli ambasciatori pistoiesi; fra il gennaio e l'aprile del 1543-44 essi furono inviati ben nove volte a Firenze presso il Duca, perché non erano molto contenti dell'opera dell’Ungaro. Molto  probabilmente, per completare l’opera di quest’ultimo, venne designato il Bellucci. Le aree da ultimare erano il bastione di porta Lucchese e quello di porta al Borgo. Il Bellucci morì nel 1554 colpito da un’archibugiata durante l’assedio alla piccola fortezza dell’Aiuola nel Chianti. Si può ipotizzare che sia stato l’autore dei disegni del bastione di Porta Carratica e di quello della Fortezza, anche se il Buontalenti giunse a Pistoia nel 1571 per portare a conclusione i lavori, in particolare quelli per il raccordo fra il bastione e la fortezza, saldando di nuovo la fortezza alla città e costituendo un fronte bastionato adatto ad intervallare la linea difensiva fra le due estremità della cinta di Pistoia.. Il Buontalenti non fu l’autore del progetto, come si è creduto per molto tempo, anche se chiuse le cannoniere originarie che si aprivano sulle punte dei bastioni e inserì le cannoniere a tiro teso nello spazio fra le mura civiche e il nuovo bastione.

 

I fatti del 1643

Le vicende dell’assalto a Pistoia da parte delle truppe del Barberini sono legate al conflitto che contrappose Ferdinando II, granduca di Toscana, alleato con il Duca di Parma e con quello di Modena, oltreché con la Repubblica di Venezia, al papa Urbano VIII e ai Barberini che avevano occupato Castro e Ronciglione. Nel corso del conflitto, il granduca aveva inviato una guarnigione in Umbria a combattere e dal territorio Pistoiese erano transitate le truppe di Parma al comando dello stesso duca, Odoardo Farnese, cugino di Ferdinando II, che aveva una dormito una notte all’interno della fortezza.

Alla fine di settembre del 1643, delle milizie guidate da Monsù di Vallenzè, “Balì Gerosolimitano Generale dell’Armi Pontificie a Ferrara”, si mossero da Bologna verso Pistoia e nella città giunse notizia, l’ultimo giorno di quel mese, che l’esercito nemico aveva superato Porretta e scendeva verso la pianura. Le truppe papaline presero la strada della valle del torrente Limentra, dopo che erano state respinte, presso Spedaletto, dalle bande della montagna guidate da Giulio Biccalieri che le avevano impedito di scendere dal passo della Collina. Giunsero a Pistoia dalla via Baiana nella val di Bure nel pomeriggio del 2 ottobre.

I comandanti delle truppe del Barberini avevano sottovalutato sia la potenza militare del granducato, sia le capacità strategiche dello stesso Ferdinando II. Tutte i documenti e le memorie seicentesche dell’evento sottolineano il valore dei Pistoiesi nella difesa, anche in conseguenza della scarsezza di truppe all’interno della città, l’operato del governatore Capponi e in modo poco velato la scarsa attenzione di Firenze alle richieste di aiuto. In realtà, dai documenti d’archivio e, talvolta, anche dalle cronache traspare che le truppe all’interno della città non erano poche, erano state armate e la città era ben fortificata. I fanti e i cavalleggeri al comando di Monsù di Vallenzè erano sprovvisti di artiglieria pesante; per quanto fossero numerosi, ma i documenti d’archivio non sono univoci e indicano cifre  fra quattromila e seimila fanti e cavalieri, potevano ben poco contro una città bastionata e fortifica in  modo da resistere agli attacchi condotti con il cannone. La fortezza di Santa Barbara si rivelava imprendibile per la sua posizione e struttura, anche se fosse caduta la città, era sempre possibile organizzare la resistenza e la controffensiva dal fortilizio. Le armi erano assai efficaci: gli obici da 106 mm erano in grado di spazzare la campagna a ridosso delle mura, i sagri erano usati per guardare le porte, mentre i falconetti su staffa quindi inclinabili e ruotanti erano posti lungo lo sviluppo dei baluardi, infine gli smerigli, caricati a mitraglia.

Bombardiere (XVI sec.).

La sera di venerdi 2 ottobre le truppe di Monsù di Vallenzè, dopo aver chiesto inutilmente alla città di arrendersi, attaccarono a porta San Marco tentando di farla saltare con una mina, ma fu tutto inutile perché la porta che era stata rimessa a nuovo poco prima non saltò. Dall’alto delle mura i colpi di arma da fuoco degli assediati furono assai efficace e costrinsero gli assedianti a ritirarsi. Ci fu un altro assalto a porta al Borgo e alcuni tentativi di scalare le mura, ma fu tutto vano. I soldati e i cittadini all’interno della città respinsero ogni attacco e provocarono molti feriti e morti fra le truppe avversarie. Dopo due o tre ore di scontri esse si ritirarono. I Pistoiesi lavorarono il giorno seguente per rafforzare le difese temendo un nuovo attacco notturno, ma le truppe del Vallenzè erano ormai sulla via del ritorno. Si distinsero per episodi di “scorticamento” nei confronti di contadini, occuparono qualche giorno la fortezza di Sambuca, ma furono presto scacciati dopo aver subito  nuove perdite e aver lasciato altri soldati prigionieri delle milizie granducali.

 

La fortezza

Si accede alla fortezza dall’antica piazza d’Armi, ora parco pubblico di piazza della Resistenza. Si attraversa il ponte in pietra che, in origine, era in legno e scavalcava l’antico fossato. Prima di superare la porta si può ammirare, sul paramento esterno in pietra serena della stessa, lo stemma mediceo. Questa porta fu aperta quando fu costruita la seconda fortezza appoggiandosi a quella trecentesca. Essa aveva in origine un sistema di chiusura a ponte levatoio con rastrello interno le cui guide sono ancora visibili nell’androne che conduce all’interno della fortezza. Alla fine dell’androne vi sono due entrate opposte e perpendicolari all’ingresso principale, accanto a ciascuna di esse si aprono delle feritoie per archibugi. Si volta a destra e si entra nella fortezza. L’edificio che si vede subito a sinistra è stato parzialmente distrutto durante i lavori di restauro del 1970: era un fabbricato a semplice schema con il tetto a capanna ricoperto con coppi e tegoli. Le tracce della sua estensione sono ancora visibili per terra nella piazza d’armi ricoperta dal prato. Probabilmente la sua costruzione è precedente a quella della fortezza, possiamo ipotizzare che una parte di esso fosse l’antico oratorio di San Barnaba che fu salvato dalle demolizioni e intorno al quale fu costruito il fortilizio. Al piano superiore, in origine, abitava il castellano, ma non sempre perché, nel Cinquecento, probabilmente alloggiava fuori dalla fortezza. Una parte dell’edificio, quella completamente distrutta e di cui restano tracce del suo perimetro sul terreno, era adibita a stalle e, successivamente, a carcere. Attualmente questo edificio ospita la biglietteria.

Ingresso principale della fortezza con stemma mediceo e garitta settecentesca.

Invece di fermarci nella piazza d’armi interna della fortezza, proseguiamo e poco oltre questo primo edificio si possono ammirare due rampe di scale che risalgono al XIV secolo, quella di sinistra, chiusa e non più praticabile, e al XV, l’altra. Da essa si sale all’antico torrione mastio che guarda Pistoia. Era parte della fortezza trecentesca, ma la sua mole fu raddoppiata nel 1525, come si evince guardando la facciata davanti alle rampe. La torre fu inglobata nel puntone della seconda fortezza e perse la sua funzione di porta principale d’accesso alla città. Questa torre mastio è visitabile solo poche volte durante l’anno, se si sale sono visibili la torre del Barbarossa a Serravalle e i passi appenninici verso Bologna e Modena. Che la sua fosse solo una funzione di osservazione e non difensiva in caso di assalto, è confermato pure dall’assenza di un apparato sporgente in alto. È interessante notare che la sua altezza è in relazione con il raggio d’orizzonte sul territorio, ma sorprende che tale relazione matematica trovi conferma in un edificio della prima metà del Trecento. In cima alla prima rampa di scale, si prende a destra e si giunge sulla piazza d’armi del primo puntone. Da qui si può osservare il torrione che, in alto, sul lato maggiore che guarda Pistoia, aveva otto monofore successivamente tamponate, a conferma della sua funzione di punto di osservazione anche sulla città.

  


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©2002 Gianluca Iori e Simone Zini (Istituto di Ricerche Storiche e Archeologiche di Pistoia)

   


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