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DE CASTRO VENANDI CUM ARTIBUS  a cura di Falco, Girifalco e Metafalco

PARTE SECONDA, di Metafalco

      

Assodato che lo stallone dei Beni Culturali non è il caro Ministro R. But., ma lo stallo grande, grandissimo in cui versa il patrimonio storico artistico italiano, non resta altro che chiedersi perché si sia arrivati a questo punto. Perché una delle nazioni più ricche di testimonianze di cultura, storia e arte non riesca a valorizzare questo immenso patrimonio e lo lasci imputridire per l’indifferenza, l’incapacità e l’incompetenza di chi si dovrebbe occupare della gestione dei beni, mentre orde di avvoltoi ci girano intorno minacciosamente con l’intento di spolpare quanto rimane fino all’osso?
Qual è il panorama di cui si può godere se ci si affaccia sul Belvedere della Gestione dei Beni Culturali?

Innanzi tutto un Ministero incapace di dare valide linee guida per la gestione dei Beni, che ripete meccanicamente le belle parole TUTELA - GESTIONE - VALORIZZAZIONE ormai del tutto inflazionate e pertanto prive di valore. Parole con le quali il Codice Urbani bombarda gli addetti ai lavori, ma che risultano completamente vuote dal punto di vista della concretizzazione, organizzazione, concertazione di un organico programma di valorizzazione dei Beni Culturali che poggi le proprie basi sulla valorizzazione e qualificazione (N.B. non solo ri-qualificazione) del personale.

Ma non è tutto: danno il proprio valido contributo anche le Regioni, gli Enti Locali Territoriali chiamati ad esercitare il proprio importante ruolo nella tutela gestione e valorizzazione perché più vicini alla realtà del territorio e quindi maggiormente capaci di interpretare le esigenze della collettività. Come? Intessendo ragnatele politiche, coltivando le cosiddette “conoscenze”, perché non si sa mai possono sempre servire, brindando con primitivo di Manduria (rigorosamente D.O.C.). E perché proprio il primitivo? Ovvio: per la valorizzazione della realtà locale! Ebbene sì, per le nostre Soprintendenze tutela gestione e valorizzazione si concretizzano in un'unica tipologia di manifestazioni: tavole imbandite con le prelibatezze della Regione di turno per la valorizzazione del patrimonio enogastronomico.

E per finire perché non parlare della gestione privata dei Beni Culturali? Perché non spendere due parole su un Ministero al quale non sembra opportuno vigilare sulle garanzie che le società di Servizi Aggiuntivi dovrebbero offrire sul piano della qualificazione del personale e della tipologia dei contratti? Le società di Servizi Aggiuntivi non sono sottoposte ad alcun controllo se si eccettua la valutazione dei servizi in sede gara d’appalto. Così, nascondendosi dietro la scusa mediocre della creazione di nuovi posti di lavoro, non guardando alle condizioni del personale di queste società fatiscenti, il Ministero dice sì al precariato, alla creazione di migliaia di contratti rigorosamente a termine che imprimono sulla fronte di molti giovani la “P”, lettera che indica l’appartenenza ad una casta precisa, quella dei Precari. Eppure c’è chi (comodamente sprofondato nella propria poltroncina parlamentare) è convinto che questo possa essere un toccasana per il barboso problema della disoccupazione; i contratti a termine garantiscono lavoro per tutti: turnando di tre mesi in tre mesi prima o poi arriverà per tutti il proprio turno. Sarebbe forse opportuno spiegare a queste persone che questa non è proprio l’esatta esegesi del motto “lavorare meno, lavorare tutti”!

Ma ciò che c’è di più sconcertante, che aggiunge all’amarezza delle mie parole la rabbia che accompagna le aspettative disattese è che questa politica è stata promossa non da un Carcarlo Pravettoni qualsiasi, convinto che lo Stato debba essere gestito come un’azienda, non da chi ci aspetteremmo che voglia che il Bene Culturale produca profitto e non cultura, ma da un uomo di Sinistra il quale è stato premiato per la trovata diventando Sindaco di Roma.

Le conseguenze? Se il Bene culturale non è considerato una ricchezza di per sé, ma solo in relazione agli utili che ne possono pervenire; se non è più considerato una ricchezza per lo spirito, ma soltanto per il portafoglio allora si può dire addio alle iniziative veramente culturali perché tutto seguirà solo l’ottica di profitto, di ciò che può far fare moneta, di ciò che in una parola bene interpreta le esigenze del mercato. E se a questo scopo può servire, così tanto per arrotondare, trasformare i nostri musei in caffetterie, paninoteche, sale da tè, allora che cosa augurare ai visitatori se non un caloroso Buon Appetito?

   

  Lo stallone culturale, parte prima

  

©2005  Metafalco; disegno di Girifalco.

    


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