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di Lawrence M.F. Sudbury

          

Marco AurelioA volte, a scuola, studiando la storia romana, capita di incontrare nomi di popoli ostili all'Impero, magari citati solo un paio di volte, senza alcuna specificazione. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda il tumultuoso periodo a cavallo tra fine dell'"Alto Impero" e inizio del "Basso Impero", in cui gli avvenimenti si susseguono e solo poche righe vengono dedicate a vicende che, in realtà, occuparono anni interi della vita imperiale.

Un esempio in questo senso  è dato dalle cosiddette "Guerre Marcomanniche", che impegnarono Marco Aurelio per ben più di dieci anni  contro una serie di tribù spesso solo menzionate senza alcuna specificazione ma che meriterebbero approfondimenti ben maggiori.


 
  • LE "GUERRE MARCOMANNICHE"

Innanzitutto, concentriamoci sugli eventi.

Le "Guerre Marcomanniche" (che i Romani definirono "Bellum Germanicum" [1] o "Expeditio Germanica") furono una serie di guerre che durarono più o meno una dozzina di anni (circa dal 166 al 180) e che impegnarono l'Impero contro Marcomanni, Quadi e altre popolazioni germaniche residenti su entrambi i lati del Danubio settentrionale e centrale. Queste guerre, come accennato, occuparono la maggior parte del regno di Marco Aurelio e proprio durante esse egli iniziò a scrivere la sue Meditationes che, infatti, recano, nel primo libro, la notula "fra i Quadi, presso il fiume Granua" [2] (il Granua corrisponde all'attuale Hron).
Ma cosa aveva portato  allo scoppio di tali guerre?

Archeologi al lavoro in una necropoli creata per i morti nell'Epidemia AntoninaNegli anni immediatamente successivi al governo di Antonino Pio, l'Impero cominciò ad essere attaccato da ogni lato. Un guerra contro i Parti, durata dal 161 al 166, era appena stata vinta, ma aveva portato con sè una terribile epidemia  (la cosiddetta "Epidemia Antonina") che le truppe, al loro ritorno, avevano diffuso e che, risultando in circa 20 milioni di morti, indebolì pesantemente Roma sia dal punto di vista economico che militare. In quello stesso periodo, nell'Europa centrale, stavano cominciando i primi movimenti delle "Grandi Migrazioni", con i Goti che, spostandosi verso occidente, facevano pressione sulle tribù germaniche stanziate in quelle aree. Tali tribù, a loro volta, iniziarono ad attaccare le zone settentrionali del limes imperiale, in particolare verso la Gallia e lungo il Danubio.
 

Nel  162, una prima invasione delle piccole tribù dei Chatti e dei Chauci venne facilmente respinta L'Impero Romano nel II secolodalle truppe limitanee ma, verso la fine del 166, un esercito di 6000 Longobardi, Ubii e Lacringi  invase la Pannonia. Anche questa invasione venne respinta con relativa facilità dalle forze stanziali (i vessilliferi dellla I Legione "Adiutrix" e la "Ala I Ulpia Contrariorum") ma diede inizio ad una serie di eventi che portarono alla guerra vera e propria. Il governatore militare della Pannonia, Marco Iallio Basso, infatti, diede il via ad una serie di negoziati con 11 tribù [3], in cui fece da mediatore Ballomar, re dei Marcomanni e cliente di Roma: una tregua venne concordata e le tribù si allontanarono dal limes, ma non si riuscì a raggiungere un accordo definitivo. Nello stesso anno, i Vandali e i Sarmati Iazigi invasero la Dacia, uccidendo il suo governatore Calpurnio Proculo e, per contrastarli, l'imperatore decise di spostare la "V Legione  Macedonica", veterana delle "Guerre Partiche", verso la Mesia. Con l'epidemia che stava devastando l'Impero, Marco Aurelio non poteva fare molto di più e una spedizione punitiva guidata da lui stesso dovette essere posposta fino al 168. Nella primavera di quell'anno, comunque, Marco Aurelio e Lucio Vero lasciarono Roma e stabilirono il loro quartier generale ad Aquileia, da dove riorganizzarono la difesa dell'Italia e dell'Illirico, costituendo, tra l'altro, due nuove legioni (la II e la III Legione Italica) per poi attraversare le Alpi e raggiungere la Pannonia. Nel Area delle operazioni contro i Marcomannifrattempo, i Marcomanni e i Vandali Victuari avevano attraversato il Danubio alla ricerca di territori fertili ma, secondo la Historia Augusta, il solo avvicinarsi dell'esercito imperiale a Carnuntum fu sufficiente a persuaderli a ritirarsi e a fornire assicurazioni di non belligeranza. A questo punto, i due imperatori tornarono ad Aquileia per acquartierarsi per l'inverno ma, durante il viaggio, nel gennaio 169, Lucio Vero morì  [4] e Marco Aurelio dovette far ritorno a Roma per occuparsi dei funerali del fratello.

Nell'autunno dello stesso anno, in ogni caso, l'imperatore fu costretto a lasciare nuovamente la capitale imperiale con il cognato Claudio Pompeiano (suo braccio destro lungo tutta la campagna): i Romani avevano raccolto tutte le loro forze e intendevano soggiogare le tribù indipendenti (in particolare quelle sarmatiche) che vivevano tra il Danubio e la Dacia. Mentre, però, le legioni erano impegnate in questa lunga e poco fruttuosa campagna, alcune tribù colsero l'occasione per attraversare il limes e razziare i territori romani: a est i Costoboci guadarono il Danubio, misero a ferro e fuoco la Tracia e discesero lungo i Balcani fino a raggiungere Eleusi (dove, tra l'altro, distrussero il tempio dei famosi Misteri). Intanto, Didio Iuliano, comandante della frontiera renana, ricacciava una nuova invasione dei Chatti e degli Hermunduri, mentre i Chauchi Guerrieri suebirazziavano le coste della Belgica. L'invasione più importante e pericolosa fu, comunque, quella dei Marcomanni a ovest. Il loro capo, Ballomar, aveva formato una grande coalizione di popoli germanici (la "Confederatio Suebica", che veniva creata unendo più tribù alleate in caso di guerra) e aveva attraversato il Danubio, ottenendo una schacciante vittoria contro 20.000 Romani a Carnuntum, per poi guidare gran parte delle sue truppe (mentre coloro che rimanevano razziavano il Norico) verso sud, dove rasero al suolo Opitergium (odierna Oderzo) e  misero Aquileia sotto assedio: era la prima volta che forze ostili entravano in Italia dal 101 a.C., quando Gaio Mario aveva sconfitto i Cimbri e i Teutoni e, sebbene l'esercito del prefetto del pretorio Furio Vittorino tentasse di opporre una tenace resistenza, le legoni furono nuovamente vinte e il loro generale ucciso.

Questo disastro forzò Marco Aurelio e rivalutare le sue priorità: truppe dalle varie frontiere vennero spostate contro Ballomar sotto il comando di Claudio Pompeiano, un nuovo comando militare, la Pretura dell'Italia e delle Alpi, venne creato a difesa delle stade che conducevano in Italia e tutta la flotta danubiana venne rafforzata. In questo modo, si riuscì a liberare Aquileia e, per la fine del 171, gli invasori vennero cacciati dal territorio italico. A questo punto, le armi lasciarono il passo alla diplomazia e Roma iniziò a negoziare con alcune tribù in preparazione di una controffensiva contro gli Suebi: un trattato di pace venne firmato con i Quadi e gli Iazigi e i Vandali Hasdingi e i Lacringi divennero alleati dell'Impero. Nel 172, finalmente, i Romani attraversarono il Danubio e penetrarono nel territorio marcomannico. In realtà, sappiamo molto poco degli avvenimenti che seguiroSesterzio "Germania Capta"no, ma certamente la campagna fu vittoriosa e portò al soggiogamento dei Marcomanni e dei loro alleati  (in particolare di Naristi e Cotini), come risulta chiaramente dall'adozione da parte dell'imperatore dell'appellativo "Germanicus" e dal conio di sesterzi con l'iscrizione "Germania Capta".
 
Miracolo della pioggia nella Colonna AurelianaNel 173, le armate imperiali si volsero contro i Quadi, che avevano rotto il trattato e fornito aiuto ai Marcomanni. L'episodio bellico più famoso di questa campagna  fu il cosiddetto "miracolo della pioggia", poi  raffigurato anche nella Colonna Aureliana: secondo Cassio Dione Cocceiano, la XII Legione Fulminata stava per essere sbaragliata da una compaggine di Quadi nettamente preponderante e stava per arrendersi quando un improvviso scroscio di pioggia rinfrescò i Romani e una serie di fulmini sbaraglio i Quadi [5]. Alcuni, come Cassio Dione, attribuirono il "miracolo" all'intervento di alcuni maghi egizi, mentre Tertuliano alle prghiere dei soldati cristiani. Comunque fossero andate le cose, i Quadi furono vinti e l'anno seguente i Romani poterono marciare nuovamente contro gli Iazigi, ma, pochi mesi dopo, i Quadi deposero il re fantoccio pro-romano Furtius e installarono, al suo posto, il bellicoso Ariogaesus, cosicchè Marco Aurelio fu costretto a ritornare e a esiliare questo nuovo capo ad Alessandria [6]. Secondo il normale costume romano, i Quadi vinti furono costretti a fornire ostaggi e contingenti ausiliari per l'esercito imperiale, mentre guarnigioni residenti vennero create in tutti i loro territori. Così, per la fine del 174, la vittoria su Marcomanni e Quadi era completa e Marco Aurelio potè finalmente occuparsi Colonna Aurelianadelle popolazioni sarmatiche, che furono vinte in poche battaglie, concedendo all'imperatore la soddisfazione di fregiarsi anche del titolo di "Sarmatico" e dandogli la possibilità di formare due nuove provincie imperiali: la "Marcomannia" e la "Sarmatia" che, però, durarono ben poco a causa sella ribellione di Avidio Cassio a oriente [7]
 

Ebbe così inizio la cosiddetta "Seconda  Guerra Marcomannica". Marco Aurelio marciò verso est con le sue legioni, accompagnate da distaccamenti di ausiliari marcomanni, quadi e naristi, guidate dal procuratore Marco Valerio Massimiano e, dopo aver facilmente sedato la rivolra di Cassio, potè finalmente far ritorno a Roma per la prima volta dopo quasi 8 anni: il 23 dicembre 176, con il figlio Commodo, celebrò un trionfo congiunto per le vittorie germaniche e sarmatiche e, a ricordo, fece erigere la Colonna Aureliana, su imitazione della Colonna Traiana. Il suo riposo, però, si doveva dimostrare di breve durata. Nel 177 i Quadi si ribellarono nuovamente, presto seguiti dai loro vicini e l'imperatore dovette, ancora una volta, muovere verso nord. Arrivato a Carnuntum nell'agosto 178, si dispose immediatamente a sedare la ribellione, attuando una tattica assolutamente identica a quella che già una volta gli aveva assicurato il successo: prima attaccò e sbaragliò i Marcomanni e poi, nel 179, mosse contro i Quadi, contro i quali le truppe guidate da Marco Valerio prevalsero nella decisiva battaglia di Laugaricio, nei pressi dell'odierna Ptuj in Slovenia (per inciso, tale battaglia è quella della scena d'apertura del famoso film "Il Commodo, ritratto nei panni di ErcoleGladiatore" di Ridley Scott). I Quadi vennero ricacciati a ovest nella cosiddetta "Magna Germania", laddove, in seguito, il prefetto Terutenio Paterno ottenne una nuova vittoria contro di essi presso l'odierna Trenčín, in Slovacchia. Ma, il 17 marzo 180, l'imperatore morì a Vindobona (Vienna) e il suo successore Commodo, avendo ben poco interesse nella prosecuzione della guerra, a dispetto dei consigli dei suoi generali, negoziò la pace con Marcomanni e Quadi e tornò a Roma per celebrare il proprio trionfo (22 ottobre 180) e fregiarsi, due anni dopo, del titolo di "Germanicus Maximus". Si sa molto poco delle operazioni che seguirono, ma, sicuramente, già questa serie di scontri aveva mostrato la debolezza dell'Impero contro gli attacchi germanici: è pur vero che metà delle truppe dell'aquila furono stanziate sul limes settentrionale, ma questo non bastò a bloccare il flusso di penetrazione iniziato durante le Guerre Marcomanniche, che culminerà nelle grandi invasioni del IV secolo [8].

Ma chi erano i protagonisti di questa "avanguardia germanica" che aveva osato sfidare il più grande impero del mondo conosciuto? 

  • GLI SUEBI

Abbiamo visto che le tribù germaniche che penetrarono oltre il limes romano erano unite in una sorta di Migrazioni sveveconfederazione, a formare un gruppo noto come Suebi (o Svevi). Il signifcato di tale nomCranio ritrovato con ancora il nodo svevoe, derivante dal proto-germanico "*swēbaz", era semplicemente "uomini liberi" e l'insieme delle tribù che formavano l'unione erano già note ai Romani dai tempi della campagna di Cesare contro Ariovisto (circa 58 a.C.). Il loro nome appare anche nella mitologia norrena (come "Swabaharjaz" - "Guerriero Svevo") per indicare i Germani così come conosciuti dagli Scandinavi [9]. Tacito ci dice che l'insieme degli Suebi comprendeva i Quadi, i Senoni e i  Marcomanni, ma anche, e qui si sbaglia, tutte le tribù settentrionali e orientali non sottomesse a Roma e  accomunate dalla particolare usanza di pettinarsi i capelli con i cosiddetto "nodo svevo" [10]. Inizialmente, la spina dorsale della unione era data dai Senoni, ma, poco a poco, Marcomanni, Quadi e, forse, Alamanni e, molto più difficilmente, anche i Longobardi, andarono a formare il cuore dell'esercito svevo.
Provenendo dal Mar Baltico (definito dai Romani "Mare Svevo"), verso il I secolo, gli Suebi erano concentrati intorno all'Elba, da dove, a seguito delle pressioni dei popoli orientali, come visto, scesero verso sud, stanziandosi intorno al Danubio.

Localizzazione SveviDopo le "Guerre Marcomanniche", essi si stanziarono in numerosi nuclei che coprivano l'intera zona centro-europea e, in particolare, l'area nord e ovest- renana, dove vissero per quasi 200 anni, ma, quasi certamente a seguito della pressione unna, il 31 dicembre 406, in unione con Vandali e Alani, gli Svevi attraversarono il limes romano a Mainz e invasero la Gallia. Mentre Vandali e Alani si  scontravano con i Franchi, alleati dei Romani, per il predominio in Gallia, gli Svevi, guidati da re Hermeric, continuarono a scendere verso sud, fino ad attraversare i Pirenei e a penetrare nella Penisola Iberica, fuori dal controllo di Roma dopo la ribellione di Geronzio e Massimo nel 409 [11].

 

Dopo aver attraversato i Paesi Baschi, si stabilirono nella ex provincia romana della Galizia, nella Hispania nord-occidentale (più o meno corrispondente all'odierna Galizia e al Portogallo settentrionale), giurarono fedeltà all'imperatore Onorio e vennero accettati (in realtà un po' gioco-forza) come "foederati", con un governo Regno svevo nella Penisola Ibericaassolutamente autonomo: così la "Swabia", a partire dal 410, divenne il primo regno indipendente nato dalle ceneri dell'Impero a coniare una moneta propria e, forse per le sue dimensioni ridotte e la sua rilevanza politica molto relativa, potè durare indisturbata fino al 585, quando venne inglobato dall'ondata dei Visigoti. Gli invasori germanici si stanziarono soprattutto nelle aree di  Braga (Bracara Augusta), che divenne la loro capitale, di Porto (Portus Cale), di Lugo (Lucus Augusta) e di Astorga (Asturica Augusta), mentre una piccola tribù, i Buri, si stanziarono nell'area tra i fiumi Cávado e Homem, ancora oggi conosciuta come "Terras de Bouro".
Uno dei segreti per il mantenimento di un regno relativamente lungo in un periodo travagliato come il V secolo, fu la capacità di Hermeric di stabilire da subito ottime relazioni con la popolazione Ispano-Romana locale, adottandone la lingua e usi e costumi, cosa che permise per parecchio tempo una sopravvivenza del governo autonomo anche quando, a partire dal 416, l'imperatore inviò i Visigoti a combattere contro Vandali e Alani in Iberia. Al termine di questo processo di amalgama, Hermeric abdicò a favore di suo figlio Rechila (438) che regnò per dieci anni in pace, lasciando la corona al figlio Rechiario, che si era convertito al Cristianesimo priscillanista nel 447. Il Cattolicesimo divenne così religione di stato  e restò tale, con solo una breve parentesi Ariana sotto il regno di Remismundo. Nel  456 Rechiario morì dopo essere stato sconfitto dal re visigoto Teodorico II e, dopo di lui, il regno svevo cominciò a declinare: gli Suebi vennero sempre più spinti verso l'angolo nord-occidentale della penisola e una lotta dinastica oppose due capitribù, che si fronteggiarono sulle due sponde del fiume Minius (Minho). Nonostante ciò, l'indipendenza formale perdurò fino a che il re visigoto Leovegildo detronizzò definitivamente l'ultimo re svevo Andeca [12], ponendo fine ad una civiltà che si era caratterizzata soprattutto per la sua capacità di omogeneizzarsi con le culture con cui entrava in contatto.

Suebi intenti ad acconciarsi i capelliMa come vivevano gli Suebi?
Sostanzialmente gli Suebi erano una popolazione a base nomadica, che viveva disseminata in piccole unità familiari o tribali. La maggioranza dei matrimoni erano monogamici e i bambini erano molto amati e rispettati. La maggior parte dell'economia si basava sull'allevamento del bestiame, ma sono state rinvenute prove di piccoli commerci di ambra, metalli e vetro. Non esisteva una lingua scritta ma vi era un grande ripetto per la storia tribale e mitologica, che veniva tramandata attraverso lunghe canzoni  da imparare a memoria. Gran parte delle case erano in legno e costruite in modo piuttosto rozzo, dal momento che dovevano fungere unicamente da dimore temporanee, ma si prestava grande attenzione a che ciascuna casa fosse ben distanziata dalle altre, forse per impedire una rapida diffusione del fuoco in caso d'incendio. La maggior parte dei vestiti degli Suebi, sia uomini che donne, consisteva in pelli di animali cacciati, con lunghi mantelli  allacciati da una Artefatti Svevifibbia, e tessuti di lino grezzo, spesso ricamato e bordato di rosso. In caso di guerra, le varie tribù sceglievano un re e i suoi ufficiali in comando. Ascia svevaL'arma più tipica era un'ascia da combattimento e da lancio, ma alcuni guerrieri usavano anche spade, giavellotti e lance chiamate "framea". I guerrieri più ricchi e più nobili avevano cavalli e semplici corazze ed elmetti di cuoio da indossare in battaglia, ma, in generale, l'equipaggiamento era piuttosto semplice, con la sola eccezione degli scudi, normalmente molto colorati. Dal punto di vista religioso, prima della conversione al Cristianesimo, il popolo era fortemente animista, senza templi o luoghi sacri ma con l'idea che la natura stessa fosse di per sè sacra, cosicchè i culti avvenivano in caverne, su laghi e lungo ruscelli [13].

  • I MARCOMANNI
Guerriero marcomannoTra gli Suebi, la popolazione probabilmente più influente e numerosa era quella dei  Marcomanni, i primi Germani menzionati da Cesare come facenti parte dell'esercito di Ariovisto. Il loro luogo base d'insediamento era posizionato tra il Reno, il Meno ed il Danubio superiore, nella zona  precedentemente occupata dagli Elvezi, e ivi risiedettero fino alla fine del I secolo a.C.. Probabilmente il loro nome derivava dall'antico germanico "Mark-Man" ("Uomo di Confine"), ad indicare la loro posizione  particolarmente spostata verso il limes rispetto alle altre tribù sveve.
Dopo essere stati sconfitti da Druso nel 9 a.C., si spostarono verso est, nell'odierna Boemia e Moravia, da cui scacciarono i Galli Boi. E' qui che, sotto il re Maroboduo,  assunsero una posizione di particolare rilievo all'interno degli Suebi  e riuscirono a creare un regno egemonico che si estendeva fino all'Ungheria, ma che, dopo essere scampato al pericolo delle legioni di Roma (Tiberio si fermo a pochi chilometri dai loro avamposti), venne sgretolato dall'invasione dei Cherusci di Arminio verso il 18. A seguito di tale sconfitta, il re  fu cacciato (chiese asilo a Tiberio, che glielo accordò, mandandolo a vivere a Ravenna) e sostituito da Catualda che, però, nel 20, venne sconfitto dagli Ermunduri e finì anch'egli in esilio nella Gallia NarboLa sconfitta marcomanna nella Colonna Aureliananense, lasciando il trono al filo-romano Vannio. Questi riuscì ad unificare  il suo popolo con i Quadi e regnò fino al 50 a.C., quando  venne cacciato (su istigazione degli Ermunduri e dei Lugi e con il loro aiuto) dai suoi nipoti  Vangio e Sidone. Questi si spartirono il regno, dividendo nuovamente Quadi e Marcomanni, ma mantennero assoluta lealtà verso Roma, mentre a Vannio fu concesso dall'imperatore Claudio di spostare la sua corte in Pannonia.

Solo sotto Domiziano cominciarono i problemi con l'Impero:  non avendo fornito, in qualità di "clientes" il necessario aiuto alle legioni impegnate nella "Guerra Dacica", Marcomanni, Quadi e Iazigi furono attaccati da Roma, La guerra si protrasse dall'89 al 97, fino a che Traiano rinegoziò una pace incerta, che fu rotta da scontri sporadici nel periodo di Adriano, tra 136 e 136. Erano i prodromi delle "Guerre Marcomanniche" che, come visto, impegnarono a lungo Roma, segnando, in pratica, la fine della Pax Romana e dando inizio alle invasioni barbariche. Dall'inizio delle guerre in poi, la storia dei Marcomanni confluirà in quella dell'intera "Federazione Suebica" [14].
 
  • I QUADI
Guerriero dei Quadi3La seconda grande tribù "sveva", quasi sempre citata in unione con i Marcomanni, è quella dei Quadi. In realtà, di loro non si conosce molto: compaiono nella storia romana solo quando vengono sconfitti da Druso e si stanziano, ovviamente con i Marcomanni,  presso il fiume Morava. Nel I secolo d.C., durante l'imperium di Tiberio, divennero "clientes" di Roma e, probabilmente, fu loro assegnata una zona più orientale, corrispondente all'odierna Slovacchia, dove risultano residenti ai tempi di Tacito [15].
Sempre da Tacito sappiamo che Cameo raffigurante un cavaliere dei Quadii loro contingenti furono molto importanti per Vespasiano nella conquista del trono imperiale contro Vitellio e che, come compenso, essi ricevettero dall'imperatore non solo il loro riconoscimento e appoggio politico-militare da parte di Roma, ma anche un aiuto in denaro ed armi.

Da questo momento in poi, le loro vicende si mescolano con quelle dei "cugini" Marcomanni fino almeno al III secolo, periodo in cui riemersero brevemente come tribù singola quando vennero attaccati da Caracalla (nel 214) per non aver inviato le truppe ausiliarie come richiesto dal trattato che li rendeva "foederati" e il loro re Gabiomaro venne giustiziato. Un nuovo scontro si ebbe nel 374 con le truppe di Valentiniano I per uno sconfinamento sul Danubio, ma, in pratica, dal IV secolo in poi, di fatto, i Quadi come tribù singola non esistevano più, uniti com'erano a formare il nucleo portante degli Suebi, dei quali condivisero le vicende fino al VI secolo [16].
 

 

NOTE:

  

(1)  AA.VV., Historia Augusta, "Marcus Aurelius", XII.92.
(2)
 M.Aurelius, Meditationes, I.
(3)  Cassius Dio, Historia  Romana,  LXXII.
(4)  AA.VV., Historia Augusta, "Lucius Verus", IX.7-11.

(5)  Cassius Dio, op. cit..
(6)  Ivi.
(7)  AA.VV., Historia Augusta, "Marcus Aurelius", XXIV.5.
(8)  D.S. Potter, The Roman Empire at Bay: AD 180-395, Routledge 2004, p. 12.

(9)  M. Todd, The Early Germans, Wiley-Blackwell 2004, pp. 71-72.
(10)  P.C. Tacitus,  De Origine et Situ Germanorum, XXIX.
(11)  J. B. Bury, Invasion of Europe by the Barbarians, W. W. Norton & Company 2000, pp. 41-46.
(12)  M. Busk, The History of Spain And Portugal from Bc 1000 to Ad 1814, Kessinger Publishing 2005, pp. 87-93.

(13)  M. Speidel, Ancient Germanic Warriors: Warrior Styles from Trajan's Column to Icelandic Sagas, Routledge 2004, pp. 81-123 e passim.
(14)  D.S. Potter, op. cit., pp. 93-94.

(15)  P.C. Tacitus,  op. cit.
(16)  D.S. Potter, op. cit., p. 95.
 
      

       

©2009 Lawrence M.F. Sudbury

     


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