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E' una storia semplice quella dei rapporti
tra Germani e Roma che ci viene insegnata a scuola. Forse troppo
semplice.
![]() A
questo punto, la risposta ad una seconda domanda diventa prioritaria:
possiamo davvero dire che i Germani furono la causa prima del collasso
finale dell'Impero d'Occidente o non dovremmo piuttosto parlare delle
"invasioni barbariche" come di una conseguenza della situazione creatasi
in precedenza?Gli storici specializzati in storia tardo-imperiale hanno a lungo lavorato sotto l'ombra di due opere monumentali: Declino e Caduta dell'Impero Romano (7) di Edward Gibbon (1787) e Storia Socio-Economica dell'Impero Romano (8) di M.I. Rostovtzeff (1926). Nonostante l'intellettuale illuminista e lo storico marxista abbiano approcci molto differenti, privilegiando il primo spiegazioni morali e culturali del declino imperiale ed enfatizzando il secondo i fattori economico-sociali, entrambi arrivano a conclusioni, seppur parziali, che tenderebbero a sottolineare come l'approccio che vede le invasioni come conseguenza sia certamente da privilegiare. Una sorta di "summa" delle due visioni (sotto alcuni aspetti complementari), viene da Peter Heather (9) che elenca e, successivamente, spiega dettagliatamente i vari aspetti che portarono l'Impero d'Occidente ad essere una entità statale solo di nome ben prima della rottura del limes. Sostanzialmente, l'Impero
non aveva alcuna possibilità di difendersi da qualunque genere di
invasione perchè non esisteva più, crollato com'era per effetto della
propria elefantiasi e della progressiva e dilagante anarchia. Le
comunicazioni erano pressoché inesistenti, le risorse scarse, l'apparato
militare completamente disgregato, il sistema educativo allo sbando e le
strutture legali e governative, che a lungo avevano formato il collante
del grande corpo imperiale, si erano trasformate in centri autonomi di
comando, spesso in contrasto tra loro. Paradossalmente, persino la
diffusione del cristianesimo, sottraendo le migliori menti di Roma dal
"cursus honorum" classico, per farne vescovi e abati, aveva contribuito
ad indebolire un sistema civile ormai unicamente autoreferenziale (10).A tutto ciò non era estraneo l'impressionante decremento demografico (si parla di un -20% tra il 250 e il 400), dovuto a epidemie di peste bubbonica, che aveva distrutto i mercati, ridotto notevolmente il volume dei commerci, quasi annullato gli scambi internazionali e, conseguentemente, indebolito le relazioni tra le varie parti di un Impero che si era accartocciato su se stesso, riducendosi vivere su una serie di economie locali di sussistenza legate alle produzioni agricole rurali (in crescita più o meno ovunque, con le sole eccezioni di Gallia e Italia) (11). Conseguentemente, anche l'aspetto e la funzione delle città erano cambiate sostanzialmente: le élites locali si erano rifugiate nelle "villae", spesso basate su un sistema economico autarchico, ed erano state sostituite nel governo urbano da burocrati nominati da Roma (e, in molti casi, è difficile persino capire quale dei due elementi, tra la fuga dlle élites in campagna e l'arrivo di prefetti dall'esterno, fosse causa e quale effetto), il cui compito diveniva pressoché unicamente quello di raccogliere tasse non più utilizzate a livello locale, con una ovvia decadenza delle strutture periferiche. In
questo quadro, l'apparizione dei Goti ai confini interni dell'Impero non
fu vissuta come una tragedia, ma, soprattutto nel primo periodo di
Valente, quasi come una benedizione: Roma, non avendo più, se non solo
nominalmente, un vero e proprio cursus honorum, non aveva più un
esercito, neppure quello formato dai provinciali che aveva difeso
l'impero negli ultimi tre secoli e che, comunque, si era consumato in
guerre civili senza fine. La presenza di "Foederati" nelle aree di
confine significava essenzialmente due cose: la possibilità di difesa
del limes, per lo più, in una prima fase, contrapponendo Germani
occidentali, da molto tempo più stanziali e legati all'agricoltura, a
Germani orientali, ancora fortemente legati ad una economia nomadica, e
la possibilità di avere guerrieri in armi senza dover sborsare gli
enormi salari che, in precedenza, con la crescita esponenziale del
numero delle legioni, avevano risucchiato una altissima percentuale
delle risorse imperiali. Si trattava, però, di una situazione a dir poco
incerta, con i "mercenari" germani sempre in bilico tra fedeltà alla
parola data e fedeltà al proprio gruppo etnico. Tutto precipitò quando
alcuni burocrati locali pensarono di poter approfittare della
situazione, vessando le tribù visigote appena stanziate sul limes
orientale: il risultato fu Adrianopoli, con da una parte i Visigoti e
dall'altro un esercito composto per circa 2/3 da popolazioni germaniche
e comandato da ufficiali germanici. E con Adrianopoli, si ebbe l'inizio
della fine (12).
Questo dato è soprattutto evidente
dal punto di vista socio-economico. Mentre nell'impero la
complessità sociale si stava via via semplificando in poche
classi definite (che si cristallizzeranno nell'alto medioevo
nella classica triade "bellatores-oratores-laboratores") a
seguito di una chiusura economica sempre più tendente
all'autoarchia e di una ruralizzazione dell'intero impianto
sociale, entrambe dovute ad un sistema comunicativo instabile a
causa del persistente clima di insicurezza sociale, le tribù
germaniche, prima quelle occidentali, poi quelle orientali,
stavano vivendo una fase espansiva non solo demograficamente,
come per lungo tempo si è teso a sottolineare forse con troppa
enfasi, ma anche e soprattutto proprio dal punto di vista di una
sempre crescente complessità
Molto probabilmente, un tale processo si compì, in termini culturali, solo in seguito, dopo la presa del potere a Roma (o meglio a Ravenna), con un assorbimento della cultura dei popoli conquistati che venne, nel corso del tempo, mescolata a connotazioni tipicamente "barbariche", non in un meccanismo di sostituzione, ma di lenta mutazione e omogeneizzazione che diede luogo a quello che oggi possiamo definire alto-medioevo romano-barbarico (16).
NOTE:
(1) J.B. Bury, The
Invasion of Europe by Barbarians, Lewis Books, Londra e New
York 2000, pp. 146 ss.
(2) S. Fischer-Fabian, I Germani, Garzanti, Milano 1985, pp. 106 ss. (3) Ivi, pp. 87-90. (4) Jordanes, The Origins and Deeds of the Goths, Dodo, Sydney, 2007, passim. (5) E. Lamberth, The making of Germanic Culture, Ashworth, Londra 2006, pp. 99 ss. (6) J.B. Bury, cit., pp. 182 . (7) E. Gibbon, The Decline and Fall of the Roman Empire, Phoenix Press, New York 2005. (8) M.I. Rostovtzeff, The Social and Economic History of the Roman Empire, Biblo-Moser , Moscow 1926. (9) P. Heather, The Goths, Wiley-Blackwell , Londra 1998, passim. (10) Ivi, pp. 194 ss. (11) S. Fischer-Fabian cit., passim. (12) L. Clayton, A Military History of the Roman Empire, Penguin, Londra 1997, p. 233. (13) P. Heather, cit., pp. 96 ss. (14) I.M. Ferris, Enemies of Rome: Barbarians through Roman Eyes, Gloucestershire, Paths 2000, pp. 118 ss. (15) H. Wolfram, History of the Goths, University of California Press, Berkeley 1988, p. 2 11. (16) O. Hermann, The Germanic Culture, Avalon, New York 1993, pp. 98 ss. |
©2008 Lawrence M.F. Sudbury