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di Luisa Derosa


 IntroduzioneLe schede: 1. Adamo ed Eva2. Vita di Cristo3. Arazzo di Bayeux4. Santa Margherita - 5. San Nicola6. San Francesco (Bonaventura Berlinghieri)7. San Francesco (Giotto)


6. San Francesco e storie della sua vita (fig. 9)

Bonaventura Berlinghieri (Lucca, notizie 1228-1274)
Datata e firmata 1235
Tempera su tavola
Pescia, chiesa di San Francesco
Isr. A.D. mccxxxv / bonave(n)tura Berli(n)ghieri

Descrizione e iconografia

Il santo raffigurato al centro della tavola indossa il saio cinto da una corda con il cappuccio a punta. I dettagli di questo abbigliamento hanno un valore simbolico ben preciso. L’abito di stoffa di sacco fu scelto da Francesco quando egli iniziò a predicare e vivere come gli apostoli, in osservanza dei più rigidi principi evangelici. Il saio era l’abito indossato dai contadini, dai mendicanti, dai diseredati, ovvero dai gruppi sociali più poveri. Lo stesso cappuccio a punta ricordava il sacco ripiegato con cui i contadini e i pastori si coprivano il capo per ripararsi dalle intemperie. La scelta di indossare l’abito dei poveri non era, però, l’unico motivo che giustifica l’abbigliamento di Francesco: cappuccio e tonaca evocano, infatti, la forma della croce e la corda portata in vita ha un valore penitenziale.

Ai lati della figura del santo, entro tondi, sono raffigurati due angeli mentre sui lati si dispongono sei scene relative alla sua vita. A partire dal lato sinistro si hanno in successione, dall’alto verso il basso, Le Stimmate, la Predica agli uccelli, la Guarigione di una bimba. Sull’altro lato i Miracoli degli storpi, degli zoppi, degli ossessi.

Le prime due scene sul lato sinistro fanno riferimento a due celebri avvenimenti della vita di Francesco, che testimoniano il nuovo modello di santità proposto dal poverello di Assisi. Nella scena delle Stimmate egli rivive le sofferenze di Cristo per aver accettato incondizionatamente le sofferenze dell’intera umanità. In questa scena iniziale si condensa il significato dell’intera opera ed i miracoli che seguono sono la testimonianza concreta di questo messaggio. Il valore degli episodi scelti contribuisce ad identificare il vero senso di lettura delle scene, organizzate non per successione cronologica ma in funzione del più profondo significato religioso della missione di Francesco. La scena successiva è dedicata alla predicazione del santo, secondo un dato iconografico costante. Nelle immagini non lo si mostra predicare direttamente agli uomini ma agli uccelli. Questi sono divisi secondo le indicazioni di Tommaso da Celano in colombe, cornacchie e  monachine, precisa allusione agli agricoltori, ai poveri ed ai diseredati, gli interlocutori prediletti di Francesco, come i poveri ed i diseredati lo erano stati per Cristo. Anche in questo caso il valore simbolico delle creature del cielo identifica il significato più profondo della predicazione francescana.

I miracoli rappresentati di seguito sono quelli avvenuti subito dopo la morte del santo, che furono «letti ed annunciati al popolo presente papa Gregorio», secondo il racconto che ne fa il primo biografo di Francesco, Tommaso da Celano, e che servirono per l’immediata canonizzazione. Il primo di essi avvenne addirittura lo stesso giorno della tumulazione del corpo. Questi miracoli adempiono al passo evangelico di Matteo (2, 2-6) in cui Cristo enumera i prodigi compiuti: «I ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti si sollevano e i poveri ricevono la buona novella». Nel linguaggio iconografico anche gli schemi usati per rappresentare questi eventi sono presi a prestito da quelli già noti dei miracoli di Cristo. La madre che nella scena raffigurata in basso a destra implora la guarigione della bimba richiama, ad esempio, la sorella di Lazzaro, mentre la guarigione dello zoppo, nel riquadro centrale sul lato destro evoca l’episodio della Lavanda dei piedi.

Nel primo dei miracoli raffigurati, che è quello avvenuto presso la tomba del santo appena morto (e che costitutisce anche il primo miracolo raccontato nella Vita prima di Tommaso da Celano), il Berlinghieri adotta l’espediente narrativo della visione simultanea: il personaggio della madre è raffigurato due volte nello stesso riquadro, prima inginocchiata e implorante, poi, una volta ottenuta la prodigiosa guarigione, lieta e con la bambina sulle spalle. Nella donna che supplica ed è esaudita si specchia ogni devoto che speri un epilogo analogo, rivolgendo al santo la propria fervida preghiera.

La tomba del santo sotto cui si rifugia la fanciulla paralizzata al collo ha la forma di una cassapanca-altare, chiusa sul davanti da un enorme serratura. Si tratta di un’allusione al sarcofago del santo che venne in uno spazio scavato nella roccia viva e sopra fu posto un grande e inamovibile altare. Fra la duplice figura della madre, prima inginocchiata e supplice, poi in piedi mentre si allontana con la figlia risanata, si interpone un gruppo di figure maschili che indossano tutte un mantello fluttuante, forse l’eco visivamente confusa del clero presente alla solenne tumulazione.

Il secondo episodio, che ha come fonte lo stesso testo della Vita prima, riguarda un gruppo di persone menomate agli arti, fra le quali spicca il fanciullo di Montenero, paralizzato dalla cintola in giù. Questi, dopo essere rimasto molti giorni fuori dalla chiesa, portato a toccare il sepolcro del santo, subito fu risanato e poté uscire da solo. è lo stesso fanciullo a fornire i particolari del miracolo:

«Raccontava quel ragazzino che mentre giaceva presso la tomba del santo glo­rioso, gli si parò innanzi proprio sopra il sepolcro un giovane vestito da frate, con delle pere in mano, e questo giovane lo chiamava; poi, offrendogli una pera, lo incoraggiò ad alzarsi. Il fanciullo prendendo dalle mani di costui la pera rispondeva: "Sono paralizzato e non posso alzarmi". Tuttavia mangiò la pera che il giova­ne gli aveva dato e cominciò a stendere la mano verso l’altra pera che gli veniva offerta sempre dal medesimo giovane. Costui l’esortava di nuovo ad alzarsi ma lui non si alzava sapendosi paralizzato. Mentre il fanciullo stendeva la mano il giovane, continuando a mostrargli la pera, gli prese la mano e dopo averlo condotto fuori dalla chiesa, sparì dalla vista. In quel momento il fanciullo si vide del tutto ‘guarito e cominciò a gridare cosa gli era capitato rendendolo noto a tutti».

Coerentemente al racconto solo in questa scena Francesco è rappresentato con il volto giovanile e senza barba. Accanto al santo stanno due frati acclamanti e stupiti, da cui il poverello di Assisi si distingue per le stimmate nere e il nimbo; egli porge la pera al fanciullo inginocchiato, il primo del gruppo degli storpi. Il pittore ha messo loro a tracolla una borsa, un attributo che accentua l’aspetto patetico della scena, dato che serve a connotarli come mendicanti. La scena si svolge al disotto di una specie di ciborio a cupola, sotto cui è l’altare-tomba. Sulla mensa un libro, un calice e un’ampollina indicano che si è all’interno di una chiesa. Sulla destra due edifici, come due quinte teatrali, indicano il «fuori»: a questo spazio appartengono due storpi miracolati che si avviano a uscire di scena e un lebbroso, volto invece verso l’edificio sacro, fermo ed esitante se varcare o meno la soglia. E provvisto di bordone, di bisaccia e di una castagnetta, lo strumento con cui i lebbrosi segnalavano la loro temuta presenza. Questo personaggio simboleggia la misericordia senza limiti del messaggio francescano: perfino colui che è costretto ad annunciare la sua orrida presenza perché tutti si debbano allontanare, morto a questa vita, trova nel santo aiuto e comprensione, perché Francesco ha attuato davvero i precetti del vangelo: i lebbrosi mondati, come ricordato in precedenza, manifestano la venuta del Messia (Mt 2, 2-6).

Il principio della visione simultanea è utilizzato anche nel terzo miracolo che rappresenta la guarigione di Bartolomeo da Narni, che Francesco compie apparendogli in visio­ne: già nella fonte scritta è evidente la volontà dell’autorità religiosa di ampliare i limiti geografici della devozione a Francesco, di togliere alla tomba il ruolo di protagonista che vincola la fama del santo al potere taumaturgico del corpo custodito in Assisi. Si narra nella biografia del santo che Bartolomeo si era addormentato un giorno sotto l’ombra di un noce e si era svegliato paralizzato. Il racconto contiene alcuni particolari di carattere popolare legati alla superstizione medievale: il noce, infatti, rappresenta un tipo di albero con forte connotazione negativa. Sei anni dopo la paralisi Bartolomeo sognò il beato Francesco che lo invitava a recarsi a un bagno (ricordiamo che a Narni sgorgano tuttora acque curative, che dunque poteva­no essere, nella realtà, una meta consueta e famigliare). L’infermo, destatosi, non sapendo cosa fare, racconta per filo e per segno la visione al vescovo della città, il quale lo consi­glia di recarsi al bagno e lo benedice col segno della croce. Così, aiutandosi con il suo bastone, si avvia barcollante, come meglio può, verso il luogo suddetto. Il bagno è ormai vicino, ma è notte ed egli sbaglia la strada; e la solita voce lo avverte e gli indica la giusta direzione. Appena giunto al bagno, una mano gli tocca il piede e un’altra mano la gamba riportandoli alla posizione normale. Immediatamente guarito, Bartolomeo balza fuori dall’acqua lodando e benedicendo l’onnipotenza del Creatore e il beatissimo servo suo Francesco che gli aveva fatto una grazia cosi grande.

Nella tavola di Pescia Francesco è mostrato nell’attimo in cui compie il miracolo: Bonaventura Berlinghieri ha utilizzato lo schema della Lavanda dei piedi agli apostoli da parte di Cristo, il medesimo schema che nelle Opere di misericordia illustra il precetto: «Visitare gli infermi».

Il quarto e ultimo miracolo illustrato dal pittore riguarda la liberazione degli ossessi. Egli condensa in un unico riquadro due miracoli raccontati da Tommaso da Celano, che hanno per protagonisti Pietro da Foligno, guarito davanti alla tomba del santo, e una donna di Narni succube anch’essa dei demoni.

La storia di Pietro da Foligno raccontata da Tommaso da Celano ricalca quella di Bartolomeo di Narni per quanto riguarda gli aspetti legati alla superstizione popolare, dato che a impadronirsi del povero Pietro sono i diavoli abitatori delle fonti, i fauni della mitologia antica, subdolamente in agguato in attesa della vittima inerme. Rimase ossesso per tre anni «Venendo infine alla tomba del santissimo strapazzato dai demoni furibondi che si accanivano e lo dilaniavano con crudeli tormenti, appena ebbe toccato il sepolcro, fu li­berato in modo straordinario, con chiaro e manifesto miracolo».

Nella scenetta dipinta accanto a Pietro da Foligno dalla cui bocca spalancata esce un nero diavoletto alato, Bonaventura Berlinghieri dipinse due donne ammanettate; anche dalla loro bocca escono i diavoletti neri. Una delle due figure femminili è dipinta con il seno nudo. Si tratta di un topos biografico: nella vita di un santo l’incontro con una donna posseduta è una tappa obbligata, perché la donna, per la pesante eredità di Eva, era immaginata più facile preda delle tentazioni del demonio.

       

Notizie storico-critiche

Questo dipinto introduce, nel campo delle immagini sacre, alcune importanti novità. La prima riguarda la forma cuspidata della tavola, al posto della consueta forma rettangolare delle tante icone di santi provenienti da Bisanzio. L’innovazione ha un preciso significato rispetto alla tradizione: essa accentua il senso ascensionale del dipinto facendo coincidere la testa del santo nello spazio apicale tra i due angeli. è lo schema che si ritrova nelle tante croci dipinte toscane dove la figura di Cristo rappresentato in genere con gli occhi aperti è affiancato da storie della passione e circondato dagli angeli acclamanti nella cimasa. Ricordiamo che l’autore della tavola appartenne ad una famiglia di pittori a lungo attiva tra la Toscana e l’Emilia, specializzati nel realizzare croci dipinte. Il richiamo a Francesco come immagine vivente di Cristo è sottolineato da altri particolari. Le stimmate in primo luogo, il saluto con il palmo della mano aperto, segno di adesione e partecipazione al messaggio evangelico, ovvero di “testimonianza”, ed il vangelo, simbolo della sua missione.

Il racconto si svolge secondo una scansione ternaria. Episodi della vita, miracoli alla tomba davanti al corpo, miracoli procurati dalla sola visione del santo che agisce dall’aldilà. Attraverso tale scansione Berlinghieri o chi per lui costruisce il nuovo modello di santità.

Nella figura del santo prevalgono schemi e modi di antica origine bizantina, ravvisabili nella posa rigidamente frontale del santo, nella schematicità dei tratti fisiognomici e nel carattere ascetico e impersonale dell’immagine: si tratta però di modi ormai divenuti maniera, ridotti a pura cifra stilistica, che rivelano una certa stanchezza nel riproporre formule non più avvertite come attuali. Una maggiore freschezza narrativa si nota, invece, nelle scene laterali anche se identico rimane l’orizzonte figurativo entro cui si muove il pittore.

   

Per saperne di più

C. Frugoni, Francesco e l’invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini fino a Bonaventura e Giotto, Torino 1993.

   

    

©2006 Luisa Derosa. La scheda fa parte del corso monografico (Narrare per immagini nel Medioevo, a.a. 2003-2004, prof. Pina Belli D'Elia) di Storia dell’Arte medievale del Corso di Studi in Scienze della Formazione primaria, Facoltà di Scienze dell'Educazione e della Formazione dell'Università di Bari. Immagini a cura di Maurizio Triggiani.

    


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