Sei in: Mondi medievali ® Medioevo e Medicina ® Per una storia della medicina antica e medievale ® La medicina nell'alto Medioevo ® 5. Le epidemie


     MEDIOEVO E MEDICINA    

a cura di Raimondo G. Russo



    Premessa  -  1. Alcuni cenni storici  -  2. La medicina barbarica  -  3. La CHIESA E LA MAgia  -  4. La medicina e la chirurgia  -  5. EPIDEMIE  -  6. APPROFONDIMENTI E CURIOSITà


5.4.7 LA TUBERCOLOSI  

  

CENNI DI STORIA

Le prime osservazioni sulla malattia tubercolare provengono dall'antichità. Tracce della malattia sono state trovate su scheletri del neolitico (oltre 4000 anni a.C.). Già in mummie egiziane si sono riscontrate alterazioni dello scheletro caratteristiche della tubercolosi ossea (morbo di Pott, con grave deformazione della colonna vertebrale).

Anche Ippocrate ha descritto dettagliatamente la tisi quale malattia distruente il polmone ed Aristotele aveva ipotizzato il contagio della tubercolosi attraverso l'aria respirata dal soggetto sano in vicinanza del malato.

Sembra che i cinesi avessero identificato la tisi sino dai tempi dell'imperatore Chin-Nong (3216 a.C.).

I medici empirici cinesi formulavano la prognosi palpando il polso dell'arteria omerale. Se il polso era forte e duro, la malattia veniva giudicata incurabile e l'ammalato abbandonato a se stesso. Anche gli indiani conoscevano la malattia: precisi accenni sono nei Veda e nell'Ayurveda di Sussruta. Notizie più o meno chiare sono rintracciabili negli scritti persiani ed egizi.

Le Scuole mediche greche conoscevano la tubercolosi: accurate descrizioni del morbo si trovano negli scritti di Areteo di Cappadocia, nelle opere di Galeno e negli Aforismi di Ippocrate, il quale per primo ha codificato ciò che si tramandava con la tradizione orale.

Nel Medioevo la tubercolosi, detta “peste bianca”, fu messa in ombra quale piaga endemica da colera e peste nera: essa non era considerata una sola malattia ma comprendeva 6 o 7 malattie diverse.

Non c'era nessun concetto di igiene, i malati venivano messi su letti con lenzuola sporche che poi venivano riciclate senza lavaggio. Questo portò alla diffusione di malattie, soprattutto nelle zone molto affollate.

La lebbra attecchì perché è una malattia ad incubazione molto lenta (simile alla tubercolosi, anche se i due microrganismi sono rivali: infatti dove c'è la lebbra non c'è la tubercolosi e viceversa). Ciò non toglie che la tisi mietesse molte vittime, a vari livelli della società, e sia il teatro sia le canzoni dell’epoca riportavano tale calamità.

   

Sia in Francia sia in Inghilterra si credeva che potesse essere guarita con l’imposizione delle mani da parte di persone sacre, i Re. Con il termine "tocco" si intendeva in particolare il tocco della scrofola, con cui i medici designavano l'adenite tubercolare, ossia l'infiammazione delle linfoghiandole causate dai bacilli della tubercolosi.  

In Francia le scrofole erano correntemente chiamate “mal le Roi”; in Inghilterra erano dette “King's Evil”: i Re, mediante il semplice tocco delle loro mani, compiuto secondo i riti tradizionali, pretendevano di guarire gli scrofolosi.

      

LA MALATTIA

La tubercolosi è una malattia infettiva e trasmittibile. Le possibili vie di trasmisssione sono:

·        1. Il contatto diretto con il tubercolo o altro materiale batteriogeno.

·        2. Infezione per via intestinale: la tubercolosi Intestinale era trasmessa attraverso il latte di mucche malate, ma anche con i cibi di alcuni animali infetti. Erano possibili ulcere intestinali da tubercolosi.

·        3. La più comune era la via inalatoria, ma anche per secrezioni oculari, per via sessuale, o durante il parto.

è una malattia a decorso lento, quasi impercettibile ma pericolosa e mortale. I segni premonitori sono tenui e sfumati: magrezza, anoressia, febbricola, tossetta e debolezza.

EFFETTI BENEFICI DEL CLIMA

Tra il 900 e il 1300 la Terra si riscaldò di circa 1,7 centigradi, secondo calcoli recenti. Gli scienziati hanno definito quel periodo – uno dei più favorevoli della storia umana – il migliore in assoluto del Medioevo dal punto di vista climatico. L'incremento nella produzione di derrate alimentari, secondo molti studiosi, si dovette agli inverni più miti e alle stagioni più lunghe, che consentivano più di un raccolto. Le zone più fertili furono meno colpite da alluvioni e siccità (le precipitazioni aumentarono, ma l'acqua evaporava prima). Il tasso di mortalità scese in molte aree, sia per la maggior disponibilità di cibo sia perché le persone trascorrevano meno tempo ammucchiate in capanne umide e piene di fumo che favorivano la diffusione della tubercolosi pleurica e di altre malattie infettive. 

Nel decorso della malattia essa viene trasferita a tutti gli organi corporei. Così la tubercolosi dermica è spesso una malattia secondaria. Nel Medioevo la sola cura era rappresentata dai salassi ematici.

   

EZIOLOGIA

La causa è di 5 specie strettamente correlate, che formano il complesso del Mycobacterium tuberculosis: M. tuberculosis, M. bovis, M. africanum, M. microti, e M. canettii.

Il M. tuberculosis (bacillo di Koch) è responsabile della maggioranza dei casi di tubercolosi.

Il termine “tubercolosi è comunque recente, essendo stato coniato solo a metà del XIX secolo, e venne impiegato comunemente solo 125 anni fa. La parola tuber deriva dal verbo tumescere che, in latino, indica ogni protuberanza degenerativa. La sua forma diminutiva al plurale (tubercula) venne ritrovato in Plinio e Celso (I sec. d.C.) che per primi indicarono che i tubercula erano protuberanze che «tunica sua includuntur».

In effetti all’inizio la parola tuberculum non aveva niente a che fare con la malattia oggi nota come “tubercolosi”.

Il greco era la lingua comune nell’area mediterranea: si trovano testi medici in greco-latino – tranne che per Celso – e non venne usato il vocabolo tabes, ma quello phthisis, formato dal verbo greco phthio, a significare la tubercolosi. La parola phthisis indicava, tra l’altro, la malattia polmonare, come già negli scritti di Ippocrate. Galeno (II sec. d.C.) indubbiamente usa tale parola per “tisi polmonare” (Index Hippocraticus; Claudii Galeni Opera Omnia). (La parola latina tabes è in effetti la traduzione letterale di phthisis e significa anche 'consunzione'). Nei lavori di Aretaios emerge un sinonimo per phthisis: phtoe, che è stato utilizzato da Galeno come una combinazione sintomatologica. La parola “tisi” divenne in seguito parte del linguaggio latino del Medioevo e divenne prevalente sulla dicitura “tuberculosi”, che era in effetti più latina in origine. Comunque fosse stata chiamata, essendo descritta con i suoi segni e sintomi, la fonte e lo sviluppo rimasero un mistero. 

      

La trasmissione della malattia avviene principalmente da uomo a uomo; un requisito è il contatto diretto.

Nel secolo XVI si trovano i primi concetti sulla predisposizione, sulla ereditarietà e sul contagio tubercolare. Interessante è la teoria di Gerolamo Fracastoro, assertore dell'esistenza di semi contagiosi invisibili ad affinità elettiva per il polmone. Giovan Battista Montano (1488-1550), insegnante di medicina nello studio di Pavia, affermava che è pericoloso sputare nell'ambiente, essendo persino possibile, ponendo il piede nudo sull'escreato di un tisico, contrarre la malattia. La scoperta dell'agente patogeno (R. Koch, 1882) e l'ideazione del pneumo-torace artificiale terapeutico (C. Forlanini, 1888) segnavano due tappe fondamentali nella conoscenza della malattia e della sua terapia.

I RIMEDI

Tra i possibili rimedi medievali possono essere ricordati: 

BISTORTA (Polygonum bistorta): la pianta veniva impiegata nella lotta contro le malattie polmonari ed in particolare come tonico preventivo della tubercolosi.

CAMOMILLA: veniva coltivata non solo come uso medicinale, ma anche per proteggere l’orto stesso da eventuali malattie: una consuetudine in quei tempi, funestati da malattie infettive, era quella di cospargere quest’erba sul pavimento o di bruciarla lentamente sulla brace del camino come l’incenso, questo sarebbe servito per allontanare le infezioni della tubercolosi o della peste

5.4.8  LA PROTEZIONE DOPO LE PANDEMIE

Furono proprio le pestilenze e la propagazione nel continente di letali febbri virali a favorire la diffusione di una mutazione genetica grazie alla quale s’è sviluppata l’immunità al virus dell’AIDS.

Altri ricercatori si oppongono a tale osservazione (ritenendo che la sola epidemia di vaiolo ne fu la causa). è quanto affermano alcuni studi pubblicati recentemente [41].

Le sofferenze patite dai nostri avi durante le terribili epidemie di peste e di colera che dal Medioevo fino al XIX secolo decimarono la popolazione europea, non sono state vane. Furono proprio le pestilenze e la propagazione nel continente di letali febbri virali a favorire la diffusione di una mutazione genetica grazie alla quale almeno il 10% degli europei di oggi è immune al virus Hiv dell'Aids.

Lo afferma uno studio condotto da due biologi britannici pubblicato sulla rivista «Journal of Medical Genetics», il quale spiega così il perché la piaga dell'Aids si sia abbattuta fino ad oggi con molta più ferocia sull'Africa che non sull'Europa. Un europeo su dieci presenta la mutazione genetica, denominata CCR5-Δ32 [42], che rende resistenti all'Hiv impedendo al virus l'ingresso nel sistema immunitario. La percentuale sale fino al 14-15% in Scandinavia, dove le epidemie si protrassero fino al 1800.

è proprio nelle aree dove le epidemie sono state più recenti, dunque, che si rileva il maggior numero di individui immuni. La mutazione invece si riscontra molto raramente nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e risulta del tutto assente nelle popolazioni dell'Africa sub-Sahariana e dell'Asia, come pure fra gli Indiani d'America. «Il fatto che il CCR5-Δ32 sia limitato all'Europa suggerisce che le epidemie del Medioevo ebbero un ruolo importante nell'incremento della frequenza della mutazione».

La frequenza della mutazione genetica è aumentata ogni volta che si verificava un'epidemia: dalla Morte Nera del 1347 passando per la Grande Peste di Londra del 1665-66 fino ad arrivare alle epidemie che travolsero Copenhagen, la Svezia, la Russia, la Polonia e l'Ungheria fino agli inizi del XIX secolo.

La selezione naturale ha incrementato il numero dei portatori della mutazione da uno su 20.000 nel XIV secolo ad uno su dieci tre secoli più tardi. Ogni volta che le epidemie di peste e di febbri emorragiche virali si abbattevano su un villaggio uccidendone la metà degli abitanti, si registrava fra i sopravvissuti un aumento degli individui protetti dalla mutazione genetica. Questi ultimi poi trasmettevano la resistenza naturale alla prole, che a sua volta era più predisposta a sopravvivere ad epidemie successive.

Popolazione/Nazione      Incidenza della mutazione = PROTEZIONE (dati preliminari)
      

Danesi

  

                                        25 %  

Norvegia   

                                        20 %

Italia meridionale                                            12.5 %
Europei                                         10 %
Sicilia                                           3 %  
Asia centrale                                           2 %

      Asia orientale, Africa, Indiani americani           0 %  

Caucasici                 Frequenza gene mutato = 0.092
Neri, Giapponesi         Frequenza gene mutato = 0  

 

IN CONCLUSIONE… FU LA FINE DI UN PERIODO STORICO?

Bisogna risalire al “dono fatale del bestiame” per comprendere l’evoluzione degli agenti patogeni [43].

Non esistevano prima della conquista nelle Americhe il vaiolo, il morbillo, la febbre gialla, la malaria perniciosa, e probabilmente la difterite, la varicella, la pertosse, la febbre tifoide e la scarlattina; non esisteva in Eurasia l’influenza e in Africa la sifilide era assente.

Se le epidemie di peste dell’autunno del Medioevo e dell’età moderna si diffondevano insieme agli eserciti che devastavano i territori dei paesi che si intendeva soggiogare, oggi le malattie non conoscono frontiere e il veicolo di una pandemia può essere rappresentato dal miliardo e mezzo di passeggeri dei voli aerei ignari di trasmettere il virus dell’influenza o il batterio della tubercolosi. Con l'intensificazione del traffico aereo, le malattie infettive possono ormai passare da un continente all'altro nello spazio di qualche ora.  


41  H. Samson et al., Resistance to HIV-infection in caucasian individuals bearing mutant alleles of the CCR-5 chemokine receptor gene, «Nature», 382 (6593):668-9, 1996.
- F. L
ibert et al., The delta CCR5 mutation conferring protection against HIV-1 in Caucasian population has a single and recent origin in Northeast Europe, «Human Molecular Genetics», 3:399-406, 1998.
- G. L
ucotte, Distribution of the CCR5 gene 32-basepair deletion in West Europe. A Hypothesis about the possible dispersion of the mutation by the vikings in historical times, «Human Immunology», 62 (9):933-936, 2001. 
- ed altri, tra cui: A.P. G
alvani, 2003; K. Gale, 2004; K. McKeown, 2004; S. Kampis, 2005; S.R. Duncan, 2005.

42  La dicitura CCR5-Δ32 indica la delezione di 32 coppie di basi ccr5Gene per regione CCR5 su cromosoma 3 (p21.3 – p24). Recettore per chemochine. La mutazione (delezione di 32 coppie di basi) = recettore non funzionale, non può essere infettato dai macrofagi o virus Hiv. La maggior resistenza si ha con l’omozigosi; è parziale con eterozigosi.

43  Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie, Einaudi, Torino 1998.

   

   

   

©2006 Raimondo G. Russo

         


indietro

Torna su

Medioevo e medicina: indice Home avanti