Sei in: Mondi medievali ® Medioevo e Medicina ® Per una storia della medicina antica e medievale ® La medicina nell'alto Medioevo ® 4. La medicina e la chirurgia


     MEDIOEVO E MEDICINA    

a cura di Raimondo G. Russo


  


    Premessa  -  1. Alcuni cenni storici  -  2. La medicina barbarica  -  3. La CHIESA E LA MAgia  -  4. La medicina e la chirurgia  -  5. LE EPIDEMIE  -  6. APPROFONDIMENTI E CURIOSITà


TRE ESEMPI DI CHIRURGIA MEDIEVALE

 

Esame chirurgico di un cranio fratturato

Le fratture della testa erano maneggiate con cura.

Qui il medico (magister), con le mani da entrambi i lati del corpo, compie una attenta valutazione, esplorando la frattura con un dito. Secondo Rogerius (Chirurgia, I, 4), «non esiste modo migliore per identificare una frattura del cranio».

Come indicato nel testo allegato, probabilmente vorrà trapanare, poi ripulire la ferita e medicarla.

Un unguento chiamato “apostolicon chirurgicum” era usato in questi casi.

Rolandus Parmensis, Chirurgia, I, 5-6, esame chirurgico di una frattura del cranio (manoscritto del Nord Italia, circa 1300, Roma).

Il testo sopra la figura indica: «Riguardo alla frattura ha la forma di una fessura. Talvolta succede che il cranio è fratturato da una fessura ed è diviso cosicché nessun lato è più elevato dell’altro e non è certo se la frattura si estenda anche all’interno del cranio. Per scoprirlo il paziente deve tenere chiuse la bocca e le narici e poi soffiare con vigore; se il fiato esce dalla fessura si sa che il cranio è fratturato anche all’interno del cervello. Trattarlo come segue: se la ferita è stretta, si allarga e a meno di essere impedito dal sanguinamento, si trapana immediatamente con strumento di ferro, molto attentamente, da entrambi i lati della fessura. Fare tanti fori che sembri opportuno, e poi tagliare il cranio da entrambe le parti con un bisturi (spathumina), cosicché l’incisione si estenda fino ai limiti della fessura. Attentamente rimuovere il pus che ne esce con della seta di un sottile tessuto introdotto lateralmente tra il cervello ed il cranio, con l’aiuto di una piuma…[poi medicare…]».

 

Operazione di Celso, per i calcoli della vescica

Nei tempi antichi e medievali, i calcoli della vescica erano rimossi con un metodo detto “di Celso” in ricordo della dettagliata descrizione di Celso nel suo De Medicina (VII, 26).

Secondo lui e secondo Rogerius (Chirurgia, III, 41-43), dopo che il paziente ha digiunato parecchi giorni, il calcolo scende nel tratto urinario. 

I manoscritti di John Arderne (il padre della chirurgia inglese, XIV secolo) contengono schemi di come il calcolo fuoriesce nel pene dopo che è stato escisso.

Nel procedimento tradizionale, comunque, il medico inseriva un dito nell’ano, per manovrare il calcolo nella discesa nella vescica, mentre premeva dall’esterno per coadiuvare e controllare il movimento.

Ciò è descritto nel testo che illustra la miniatura seguente.

Rolandus Parmensis, Chirurgia, III, 34, operazione di Celso per calcoli della vescica (manoscritto del Nord Italia circa 1300, Roma).

Dopo che il calcolo è sospinto all’uscita della vescica, viene rimosso chirurgicamente. L’operazione (così come oggi) si svolgeva dal retro. Questo viene mostrato nella miniatura, con il paziente nella posizione tradizionale, le gambe flesse a forbice, tenute ferme dagli assistenti (discipuli), mentre il chirurgo estrae il calcolo attraverso una incisione sanguinante.

Vengono anche descritti i trattamenti precedente e successivo, come segue:

«Se c’è un calcolo nella vescica, assicurarsene come segue: porre a sedere su una panca una persona forte, con i piedi su uno sgabello; il paziente si siede sulle sue ginocchia, le gambe legate al suo collo con una benda, o equilibrate sulle spalle dell’assistente.

Il medico sta in piedi di fronte a lui e inserisce due dita della sua mano destra nell’ano, premendo con il pugno sinistro sul pube del paziente.

Trattenendo la vescica dall’alto con le sue dita, vi manovra per identificare se il solido rigongiamento sia il calcolo della vescica che è soffice e carnosa; così si identifica ciò che impedisce la minzione.

Se si vuole estrarre il calcolo, si fa precedere una dieta leggera o il digiuno per due giorni.

Il terzo giorno si rintraccia il calcolo, lo si porta al collo vescicale e all’ingresso e con due dita sollevate nell’ano, si incide longitudinalmente con apposito strumento, e si estrae il calcolo.

[La medicazione, mattina e sera, per nove giorni]».

(Rogerius, Chirurgica, III, 36).

  

Riduzione vertebrale, per scuotimento su una scala

Nelle riduzioni spinali, la meritoria reputazione dei Greci per metodiche mediche progressive, trova un’eccezione:  il brutale metodo per ridurre la dislocazione spinale, appendendo il paziente (o la vittima) ad una scala che viene calata a terra verticalmente, così da scuotere le vertebre dislocate nell’opportuno posizionamento.

Questo procedimento viene descritto nel V secolo nel trattato ippocratico Sulle Articolazioni (Perì Arthron), capitolo 44, copiato ed illustrato quattro secoli dopo da Apollonius nel lbro Slogature, capitolo 2.

In accordo con la tradizione ippocratica, una gobba o gibbosità, considerata per lo più incurabile, può essere trattata scuotendo il paziente legato ad una scala.

Apollonius, Slogature, 2, riduzione vertebrale, per scuotimento su una scala (manoscritto da Bisanzio, circa 1100, Firenze, Libreria Laurenziana, MS 74.7, folio 200 ).

 

Tale procedura può essere vista nella miniatura e seguita in dettaglio nel testo che l’accompagna.

«I casi ove la curvatura sia bassa nella spina vertebrale sono trattati al meglio con la testa all’ingiù.

…Imbottire la scala…Porvi sopra il paziente, sul retro, usando usando bende soffici ma forti, stringere le sue caviglie alla scala, legando assieme le gambe, sopra e sotto le ginocchia, e legarlo lassamente ai fianchi ed al torace, stringere le braccia e le mani, stese lungo il corpo, ma non alla scala.

Allora sollevare la scala contro una alta torre o una casa. Il terreno deve essere solido e gli assistenti ben esercitati, cosicché lascino cadere lentamente la scala ed in positione verticale… è meglio calarla da un palo con una carrucola… scuotendo con tale apparato, ma è sconveniente discutere i dettagli.  

I casi in cui la curvatura sia alta sulla spina vertebrale sono trattati al meglio con i piedi in basso.

…Legare saldamente il paziente alla scala al petto, ma lassamente al collo, solo per tenerlo diritto.

Portare la testa alla sommità della scala. Legare il resto del corpo lassamente qui e là, solo per tenerlo verticale.

Legare strettamente le gambe fra di loro, ma non alla scala, cosicché siano in linea con la schiena».

  

In tempi più recenti, fino al XIX secolo, tali procedure venivano ancora utilizzate in medicina, ed anche nelle punizioni corporali.

  

     

©2005 Raimondo G. Russo

     


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